Un nuovo e interessante Paper sulla Festa su Academia.edu

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Ho recentemente ricevuto nella mia casella di posta un avviso da Academia.edu riguardante un nuovo studio scientifico riguardante la bella Festa del Mandorlo in Fiore; ovviamente mi sono fiondato a leggerlo per vedere se potesse interessare i lettori del sito.

Ritengo che la risposta possa essere affermativa e, così, sono qui a parlarvene 🙂 .

Iniziamo con i riferimenti biliografici: potrete trovare il paper in oggetto a questo indirizzo (previa registrazione gratuita al sito); potrete anche scaricarlo, come ho fatto io, per leggerlo con calma.

Il titolo dello studio è: Dal Folklore all’Arte. “Impressioni sulla Sagra del Mandorlo in fiore” nella pittura del Novecento ed è stato realizzato dal Prof. Giuseppe Cipolla.

Nello studio si analizza, con buon dovizia di particolari, la storia di un premio internazionale di pittura agrigentino che ci permette di apprezzare a tutt’oggi alcune opere che ritraggono la Festa del Mandorlo in Fiore.

Premetto che io sono esclusivamente un appassionato della cultura siciliana (e, quindi, non ho le competenze culturali necessarie ad una lettura approfondita delle opere) ma il vedere le riproduzioni delle opere mi ha fatto un enorme piacere, specie considerando che sono ben due anni che la Festa non si svolge in forma compiuta per ben note cause.

È vietata la riproduzione delle opere ma vi consiglio sicuramente di scaricare il paper e guardare coi vostri stessi occhi l’opera di Gianbecchina dedicata a quella che allora era la Sagra del Mandorlo in Fiore (è stata cambiata la denominazione alcuni anni fa) o quella di Fritz Itzinger: entrambe raccontano (ognuna a modo loro) uno scorcio di vita che è almeno ancora parzialmente vivo qui ad Agrigento.

Nello studio sono presenti anche raffigurazioni di altre opere che non sono da meno; ma le due sopracitate sono quelle che ho apprezzato di più.

Sono giunto al termine e posso solo raccomandarvi di scaricare il paper e di leggerlo da voi.

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“Le Vergini Delle Rocce” di D’annunzio, Il Libro Che Ispirò La Festa Del Mandorlo In Fiore

L’idea di realizzare una manifestazione che, attraverso l’eccezionale raro fenomeno della precoce fioritura dei mandorli, esaltasse la primavera agrigentina fornendo così un indiretto ma significativo contributo per il lancio e la commercializzazione di alcuni prodotti agricoli tipici siciliani nacque un pomeriggio d’inverno del 1934 in una saletta dell’Hotel des Temples, un insediamento ricettivo di prim’ordine sorto dalla ristrutturazione di una villa intorno al 1882 e frequentato da una selezionata clientela internazionale anche perché solidamente inserito in un qualificato circuito isolano di escursioni (Palermo, Agrigento, Siracusa e Taormina).

Attorno ad un caffè si erano incontrati il dottor Alfonso Gaetani conte d’Osero, passato alla storia come ideatore della Sagra, e l’ambasciatore di Francia a Roma, conte Charles De Chambrun, che, quando gli impegni erano meno pressanti, raggiungeva volentieri la Sicilia delle cui bellezze si dichiarava ammirato sostenitore.

Fra i due, non si sa come, la conversazione era improvvisamente scivolata sul poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio, per cui l’ambasciatore, incantato dalla natura agrigentina, aveva confidato di essere rimasto colpito un giorno da alcune descrizioni colte nella lettura di un testo dello scrittore pescarese dal titolo “Le vergini delle rocce”.

Nel libro scritto da D’Annunzio nel 1895 ci sono alcuni riferimenti geografici alla Sicilia e al territorio che lo fa singolarmente somigliare a quello agrigentino.

 

L’autore descrive un centro abitato di nome Trigento con una vallata sottostante limitata in fondo dal mare dove fioriscono filari di mandorli le cui piante di aspetto arido e tormentato sono datrici di un frutto opulento. Che Trigento fosse allora Agrigento?

 

Questa fu la domanda che si posero i due interlocutori.

E così, mentre il diplomatico francese rifletteva sulla bellezza di quel paesaggio meravigliosamente descritto da D’Annunzio, il conte Gaetani partorì l’idea di celebrare il rito spontaneo dei mandorli in fiore con una festa aperta a tutti, la Festa del Mandorlo in Fiore appunto.

Composto nel 1894 e pubblicato a puntate sulla rivista “Il Convito”, “Le vergini delle rocce” fu edito in volume nel 1896. Il titolo allude a un famoso quadro di Leonardo conservato al Louvre.

Il romanzo rappresentò una svolta importante, non tanto per la resa poetica, inferiore a quella dei romanzi precedenti, quanto per la testimonianza che offre sia dell’evoluzione spirituale e culturale dello scrittore, sia di una nuova disposizione narrativa.

Il protagonista del romanzo è Claudio Cantelmo, che vorrebbe un figlio per farne un nuovo Re di Roma, un superuomo quindi, e cerca invano una moglie fra le tre figlie dei Capece – Montagna, famiglia borbonica tra le più illustri e magnifiche delle due Sicilie, che vive ritirata nei suoi feudi, nell’antico castello di Trigento (Agrigento, appunto?); ma è difficile scegliere fra le tre belle principesse variamente seducenti e attraenti che vivono sullo sfondo di magnifici e suggestivi scenari naturali.

Cantelmo, assertore della dottrina del «superuomo», convinto che solo la classe aristocratica ha il diritto e la possibilità di governare, disgustato dalla realtà politica contemporanea, dominata, a suo parere, da demagogia e corruzione, sostiene che i nobili devono tenersi lontani dalla lotta politica finché non verrà il giorno in cui il popolo, oppresso dal disordine e dalla miseria, offrirà ad uno di loro la corona regale; ecco che il protagonista vorrebbe procreare il futuro sovrano.

In questo romanzo, dall’intreccio debole, la dottrina del superuomo diventa misura di giudizio etico – politico sulla società contemporanea e il portante strutturale di un idoleggiamento di creature belle, di paesaggi stupendi, tra cui quelli di Trigento che ispirarono la Festa del Mandorlo in Fiore, di scene voluttuose e seducenti, al di là di ogni preoccupazione morale o psicologica.

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La Valle Dei Templi In Onda Su Rai Due Nel Programma “Detto Fatto”

Agrigento torna a far parlare di sé (in bene).

Dopo il grande successo della puntata del nuovo programma di Alberto Angela intitolato “Meraviglie”, andata in onda la settimana scorsa, in cui si è parlato della Valle dei Templi inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità redatta dall’Unesco, la città è andata nuovamente in onda ma questa volta nella puntata del 10 gennaio scorso (al minuto 01:26:33) del programma pomeridiano di Rai Due “Detto Fatto” condotto da Caterina Balivo.

Galeotto, in questo caso, è stato un piatto tipico della zona di Agrigento, ovvero “La cupoletta dal cuor leggero”, una ricetta a base di pesce che prevede un nasello con un cuore di macco di fave. Il piatto agrigentino è stato presentato dallo chef palermitano Fabio Potenzano, dopo che la conduttrice napoletana ha esordito dichiarando candidamente di non essere mai stata ad Agrigento.

Durante la preparazione della ricetta Caterina Balivo ha mandato in onda le immagini della Valle dei Templi presenti nel famoso videoclip della canzone “Lontano dagli occhi” della cantautrice senese Gianna Nannini, cover dell’omonimo brano di Sergio Endrigo; video che presenta come location anche Punta Bianca e Scala dei Turchi.

Così la conduttrice ha invitato il pubblico “ad andare a vedere la Scala dei Turchi e la Valle dei Templi in cui si tengono concerti meravigliosi” e ha raccontato che Agrigento è al primo posto nella classifica delle città d’Italia con più single.

Nel corso della trasmissione la presentatrice ha anche dato delle notizie riguardanti la Festa del Mandorlo in Fiore, mostrandosi molto interessata all’evento e cercando di saperne di più dallo chef palermitano.

Alla fine ha perfino chiesto al Sindaco di Agrigento di mettersi in contatto con la redazione di “Detto Fatto” in modo da farle avere maggiori notizie al riguardo e consentirle così di potere essere presente alla manifestazione.

 

E la risposta del Sindaco Calogero Firetto non si è fatta attendere, infatti, a distanza di un giorno, il Primo cittadino di Agrigento si è messo in contatto con il programma e con Caterina Balivo invitandola a soggiornare in città durante la Festa del Mandorlo in Fiore che si terrà dal 3 all’11 marzo.

 

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“La Mennulara” di Simonetta Agnello Hornby

"La Mennulara" di Simonetta Agnello HornbyQuesto romanzo è stato il fortunato esordio per la famosa autrice siciliana Simonetta Agnello Hornby e l’inizio di una lunga serie di successi letterari.

Si presenta fin dalle prime pagine come una storia intrigante e complessa, con allo sfondo una Sicilia divisa tra sentimenti arcaici e la rincorsa alla ricchezza.

Il racconto inizia il 23 settembre 1963, giorno della morte di Rosalia Inzerillo, conosciuta da tutti come la “Mennulara”, per essere stata da giovane una raccoglitrice di mandorle.

La Mennulara, Mennù per la famiglia Alfallipe dove inizia a lavorare come domestica all’età di 13 anni, ma che ben presto, si aggiudica un ruolo ben più importante di quello di semplice cameriera, in quanto, grazie alla sua brillante intelligenza, diventa l’amministratrice di tutti i beni della famiglia, salvandola da un sicuro fallimento dovuto alla disorganizzazione amministrativa del capo famiglia, Orazio.

Senza di lei, Orazio Alfallipe avrebbe dissipato proprietà e rendite.

Senza di lei, Adriana Alfallipe, alla morte del marito, sarebbe rimasta sola in un palazzo enorme e senza di lei, i loro figli, Gianni, Lilla e Carmela, sarebbero cresciuti senza futuro.

Pur essendo semi analfabeta, leggendo e scrivendo in modo incerto, era comunque estremamente abile nei conti. Per questo diventa per una presenza fondamentale per la famiglia Alfallipe sia dal punto di vista affettivo, amata e odiata in misura diversa da ciascuno dei componenti della famiglia, che da quello economico: la sua abilità nel gestire i beni della famiglia, consente loro di vivere nell’agiatezza, senza preoccupazioni economiche ma anche senza il minimo sentimento di riconoscenza per il suo operato, tanto che al suo funerale, gli stessi proveranno non solo un senso di sollievo, ma scateneranno una “caccia al testamento” per riuscire ad accaparrarsi le misteriose ricchezze della defunta.

La vita della Mennulara che fin dalla prima giovinezza è stata segnata da eventi drammatici come la morte del padre, la responsabilità di mantenere la sorellina e la madre malate di tubercolosi e la violenza carnale subìta e che solo grazie all’intelligenza e al suo temperamento tenace ed inflessibile, era riuscita a trasformarli in eventi a lei vantaggiosi, circondandosi da una corazza di austera freddezza e incutendo a tutti timore e rispetto reverenziale, fa della sua storia il fulcro attorno al quale si sviluppa l’intero romanzo e la vita di un paese di provincia, Roccacolomba, dove tutti parlano (e sparlano) di lei, favoleggiando sulla ricchezza che avrebbe accumulato in modo quasi misterioso, forse addirittura grazie a dei poco chiari legami con un mafioso.

Tutti ne parlano perché sanno e non sanno, perché c’è chi la odia e la maledice e chi la ricorda con gratitudine, perché di bene, la Mennulara ne ha fatto, anche se i suoi modi selvatici e la sua scontrosità non la rendono popolare, anzi “Selvaggia era e selvaggia rimase: se uno le faceva una domanda trasaliva tutta, rispondeva grugnendo, lanciava certe occhiate come un cane pronto a difendersi, aveva gli occhi neri come carboni accesi che volevano bruciare chi le rivolgeva la parola.

Così la descrivono in paese e proprio attraverso gli abitanti del paese e i membri della famiglia Alfallipe, il racconto si snoda di capitolo in capitolo in un susseguirsi di colpi di scena che sempre più trasformano la figura della protagonista da carnefice a vittima, spogliandola del suo gelido riserbo e restituendoci un personaggio indimenticabile, vivo e palpitante, oltre a uno spaccato dell’entroterra siciliano, dove le passioni, la violenza, la malattia, le amanti, la vita e la morte ma anche il pettegolezzo che tutto porta e tutto trasforma, impregnano il romanzo di un fascino che avvince il lettore, pagina dopo pagina.

 

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