Palmarum Insula: ISOLA DELLE PALME

gruppo folkloristico palmarum insula

L’Associazione Culturale Folk-Popolare “Palmarum Insula” nasce alla fine del 2017 grazie alla creatività e alla passione del dott. Giuseppe Mazziotta, supportato dal quartetto folk “I Cumpari” (costituito quest’ultimo nel 1996 per iniziativa di quattro amatori del folklore siciliano).

Il quartetto folk I CUMPARI nasce nel 1996 quasi per gioco in seguito alla richiesta di un noto ristorante di Augusta (SR), di allietare i clienti durante il pranzo domenicale tipico siciliano. Dal successo ottenuto fin dalle prime apparizioni si decise quindi di portare avanti l’iniziativa, divulgando e mantenendo inalterata nel tempo l’arte folklorica e popolare siciliana.

Gruppo Folkloristico I CumpariI Cumpari sono rigorosamente impegnati nella continua ricerca ed elaborazione di testi e brani, che costituiscono il patrimonio della nostra memoria, avendo come principale obiettivo quello di tramandarli inalterati nei testi e nelle musiche, riproponendo inoltre gli stessi usi e costumi di un tempo ormai passato ma sempre tanto cari alla nostra gente.

Le musiche e i canti vengono curati personalmente dal dottor Giuseppe Mazziotta e dal maestro Vincenzo Di Maria, i quali volutamente, per rimanere fedeli il più possibile alla tradizione folklorica e popolare, hanno fatto interpretare i canti a un cantante con una voce non studiata per il canto, ma intonata e che volutamente conservi delle naturali imperfezioni e dissonanze tipiche siciliane: Salvatore Gallo. La ritmica è affidata a Giovanni Coco.

I Cumpari sono stati tra i primi a riproporre le tipiche serenate del passato, commissionate dal fidanzato per la propria donna e svolte sotto i balconi come tradizione vuole la sera prima del matrimonio.

 

Il quartetto vanta un bagaglio di esperienza inestimabile, che mette a disposizione di chi abbia il piacere di condividere momenti dedicati alla tradizione tipica siciliana mantenendo forti elementi quali l’amicizia e la passione per un genere musicale di altissima levatura culturale: il folklore.

Ritornando ai Palmarum Insula, la loro denominazione rappresenta l’antico nome latino della città di Augusta, in passato conosciuta come “L’isola delle Palme”, per la sua fiorente vegetazione di arecaceae.

Con la costituzione dell’Associazione Culturale Folk-Popolare Palmarum Insula, si concretizza l’esigenza di mantenere inalterata nel tempo e promuovere, soprattutto nel mondo dei giovani, la tradizione musicale folk-popolare siciliana!

 

gruppo palmarum insulaAd oggi il gruppo vanta circa quaranta elementi, numero destinato a crescere in virtù delle continue richieste di adesione.

I costumi sono stati realizzati rispettando i colori folkloristici siciliani ma con, altresì, attenti richiami alla tradizione tipica augustana e che prevede lunghe gonne di vario colore, che si rifanno ai tipici colori dei nostri agrumi: rosso, giallo, verde, blu, ricoperte da bianchi grembiuli orlati da qualitativi merletti e per finire comode camicie chiare arricchite anch’esse da merletti, sulle quali venivano posti corpetti in velluto nero.

Il gruppo si avvale di strumenti tipici siciliani quali la fisarmonica, “ u friscalettu”, il flauto, la chitarra, “u tambureddu”, le percussioni e “a zotta”. Non possono di certo mancare altri due strumenti musicali: “a quartara” ed il “marranzanu”.

“A Quartara” ha delle antiche origini contadine infatti non è altro che un recipiente in terracotta di medie dimensioni e fornito di due grossi manici nella parte superiore; è usato da millenni in Sicilia per trasportare e conservare, mantenendo una fresca temperatura, acqua o vino, hanno diverse dimensioni e tendenzialmente quelle di forma più piccola venivano utilizzate con più facilità durante i trasporti per tenere e rinfrescare l’acqua da bere.

Le quartare vengono oggi acquistate a scopo decorativo dell’arredamento di rustici e ville di campagna. Ma oggi se ne fa un uso particolare, infatti, in occasioni di feste popolari venivano e vengono usate come strumento musicale: grazie alla loro particolare forma panciuta e che funge da cassa di risonanza può facilmente assimilarsi a uno strumento musicale a fiato dal caratteristico suono, pertanto soffiando dentro, con una particolare inclinazione, il vaso emette un suono cupo molto simile a quello di un basso tuba e che consente di essere utilizzato come accompagnamento musicale nella musica folklorica siciliana.

Il “Marranzano” invece, detto anche scacciapensieri, è uno strumento musicale idiofono costruito da una struttura di metallo ripiegata su sé stessa a forma di ferro di cavallo. Nel dialetto siciliano, conosciuto anche come mariolu, marauni , marranzanu (o marranzano) ‘ngannaladruni (“inganna ladroni”), perché era uno strumento suonato da gente che veniva appositamente collocata ai confini dei possedimenti affinchè durante la notte lo suonassero; l’origine del suono veniva distorta non permettendo di capire da dove potesse arrivare e quindi, avendo la funzione di segnalatore per allontanare eventuali malintenzionati li dissuadeva dal compiere dei furti. Da qui divenne purtroppo, il poi più noto segnale in ambito mafioso, proprio perché in molti film, avente come trama la mafia, veniva adoperato per avvisare l’imminenza di un pericolo o di un regolamento di conti. Tale strumento è spesso utilizzato nella musica siciliana per accompagnare canzoni e tarantelle.

L’Associazione accoglie in seno persone altamente selezionate dotate di spirito di gruppo e, soprattutto, di passione per la tradizione folk-popolare siciliana. L’obiettivo prefissato dall’Associazione è quello di rivisitare, riscoprire e salvaguardare il vasto patrimonio culturale folk-popolare siciliano attraverso la rappresentazione inalterata di musica e balli, brani cantati e recitati, nonché usi e costumi appartenenti alla tradizione siciliana. In particolare si fa riferimento alla scuola folkloristica Catanese e popolare Siracusana, dalle quali il dottor Mazziotta e il maestro Di Maria hanno attinto nel tempo, accrescendo la loro esperienza e bagaglio culturale, onorandosi di aver lavorato a fianco di esponenti della canzone siciliana quali, fra tutti, Felice Ventura, Riccardo Maglia, Lucia Siringo, Tano Fiorito e altri ancora.

Il gruppo, inoltre, fa riferimento e ne trae notevole ispirazione da colei che da sempre è stata designata come la capostipite della musica popolare siciliana: Rosa Balistreri. I Palmarum Insula sono soliti, durante i loro spettacoli, renderle omaggio riproponendo alcuni dei suoi brani più celebri, oltre ad un considerevole repertorio musicale dove vengono eseguiti brani più complessi ed elaborati che richiedono il supporto di più voci.

L’Associazione non ha scopo di lucro. Grande interesse è rivolto ai valori sociali solidaristici che rivisitano non solo la vecchia tradizione musicale ma anche quella degli usi, dei costumi e della morale. Ed è proprio a questa morale che i “Palmarum Insula” si ispirano, devolvendo di volta in volta al prossimo più svantaggiato e meritevole il proprio ricavato.

L’Associazione si trova anche coinvolta nelle varie occasioni e feste organizzate durante gli anni scolastici dagli Istituti Scolastici che decidono di presentare e rappresentare delle performance tipicamente siciliane svolte dai propri alunni. Questi ultimi infatti vengono accompagnati e supportati durante l’esecuzione dal gruppo “Palmarum Insula” , così sostenendo e tramandando le antiche tradizioni della nostra Sicilia e gli antichi valori di un tempo a studenti di diversa età. Grazie al corpo docenti che con passione e volontà accompagnano gli alunni in questa bellissima iniziativa, ai Dirigenti Scolastici, e soprattutto ai bambini, protagonisti della scena, i quali si rivelano sempre davvero strepitosi ed entusiasti, rendendo queste giornate allegre e piene di gioia!

I Palmarum Insula, spesso, aggiungono al loro repertorio la presentazione dei famosi Pupi Siciliani, sono marionette alte circa un metro, riccamente decorate, che rievocano le epiche gesta cavalleresche di paladini.
Aspetto della tradizione e della cultura siciliana, che ha l’odore della cultura di un tempo, di uomini antichi e anche di tradizioni, con colori e storie che possono affascinare i più anziani ma evidentemente non solo loro, infatti la passione e la tradizione coinvolge anche i più giovani e i più piccini, che desiderano immergersi nel folklore siciliano.

Considerevole è l’importanza di non far perdere il nostro dialetto e le nostre radici quali origine della nostra identità, così come è fondamentale e di notevole importanza la figura dei nonni, che possiedono un bagaglio di vita quotidiana ricchissima di esperienza, che hanno tanto da insegnarci soprattutto per tradizione orale visto che non abbiamo testi scritti che ci rimandano al passato; di fatto i racconti dei nonni sono un tesoro raro e inestimabile a cui bisognerebbe attingere, ascoltandoli, facendone tesoro e custodirli.

L’Associazione culturale folk-popolare “Palmarum Insula” di Augusta, supportati dal quartetto folk “I Cumpari”, in occasione del Natale e delle festività natalizie propone un concerto di musica, canti e poesie della tradizione natalizia siciliana nelle loro versioni originali proprio per non farne perdere valore e bellezza.

Animare ad esempio un presepe vivente con una determinato repertorio, curato nei dettagli e nei minimi particolari, risulta quasi un viaggio a ritroso nel tempo, quel tempo in cui certi valori possedevano un significato e che ad oggi risultano più labili.

Il tema portante degli spettacoli è l’Amore, il quale viene decantato con lo scopo di suscitare una serena riflessione in chi ascolta, tramite musiche e inni di lode alla nascita “dò bambineddu” e “dò presepi” e, ancora, attraverso componimenti poetici in grado di trasportare gli spettatori indietro nel tempo, al Natale vissuto dai vecchi e malinconici “pescatori”, coloro i quali incarnano pienamente il carattere triste e nostalgico dei capofamiglia costretti ad emigrare per lavoro, trascorrendo così, in solitudine e lontano dagli affetti più cari, il Santo Natale.

Esperienza sonora unica e genuina, una vera e propria finestra sul passato duro e poco agevole, che si propone di offrire spunti di riflessione sulle quali poter trovare spunti per affrontare problemi di vita quotidiana e modalità di approccio.

Il gruppo esegue brani notissimi e dolcemente commoventi della tradizione natalizia siciliana come “A la notti di Natali”, “ E Nasciu”, “Sutta ‘nperi di nucidda” e si cimenta nella recitazione della preghiera del “Padre nostro”, tutta in dialetto siciliano, con grande gentilezza ed eleganza.
I Palmarum Insula, quando possibile, in riferimento ai propri ideali solidaristici, propongono in ogni concerto un’offerta da destinare al prossimo più svantaggiato.

I concerti solitamente vengono eseguiti preferibilmente all’interno di chiese o stabili appropriati alla compostezza del repertorio e dello spettacolo in se.
In conclusione, il gruppo viene particolarmente ricercato per spettacoli di piazza, sagre, feste patronali, eventi speciali quali serenate e intrattenimenti vari.

L’intento dell’Associazione Culturale Folk-Popolare “Palmarum Insula” è quello di portare sempre alto il significato di folklore siciliano, altamente educativo per i grandi e per i bambini! Difatti oltre l’amore e la passione per l’arte folkloristica siciliana, è fondamentale lo studio e la dedizione affinché possa essere approcciato e divulgato con serietà e dignità per come tale genere musicale merita.

Viva la Sicilia, i suoi capolavori musicali e le sue tradizioni.

 

Pagina Facebook del Palmarum Insula: https://www.facebook.com/palmarum.insula/

Pagina Facebook dei Cumpari: https://www.facebook.com/icumpari/

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I costumi tipici siciliani del gruppo folkloristico Gergent

i costumi femminili del gruppo folkloristico gergent

Il termine tradizione, dal latino traditiònem (deriv. da tràdere = consegnare, trasmettere) può assumere diverse accezioni: nel nostro caso la utilizzeremo come sinonimo di consuetudine, intendendo con questo termine, la trasmissione nel tempo, all’interno di un gruppo umano, della memoria di eventi sociali o storici, delle usanze, dei riti, della mitologia, delle credenze religiose, dei costumi, delle superstizioni e leggende.

Le tradizioni popolari o folkloristiche sono in questo senso una consuetudine, le danze, i canti, i proverbi, gli antichi mestieri che attraverso le tradizioni di un popolo si mantengono in vita e che il Gruppo Folklorico Gergent con la sua attività costante, in campo nazionale e internazionale, porta avanti da circa ventisei anni.

i costumi maschili del gruppo folkloristico gergentLo studio, quale ricerca “storica” inerente ai balli, ai canti, ai costumi e agli utensili utilizzati, non è mai mancato al presidente Claudio Criscenzo prima, e al figlio Luca dopo, che con non grande passione per l’arte e la cultura in generale, l’hanno sempre portato avanti, facendone anzi un punto di forza e di peculiarità del gruppo Agrigentino.

Dell’innumerevole patrimonio di costumi tipici siciliani, purtroppo oggi non resta molto, essendo oramai quasi del tutto spariti; tuttavia, qualche traccia la si può ritrovare nei paesi dell’entroterra siciliana dove ancora oggi usi e tradizioni sono più radicati, e con essi alcuni costumi tradizionali sia maschili che femminili.

Tutto quello che oggi sappiamo sui costumi lo dobbiamo al grande maestro delle tradizioni popolari siciliane Giuseppe Pitrè, che nel corso dei suoi anni raccolse e poi riunì in un museo etnografico da lui fondato nel 1909, diviso in 20 sezioni, documentazioni sugli usi e sui costumi del popolo siciliano, insieme alle credenze, ai miti, alle tradizioni di Sicilia (la casa, filatura e tessitura, arredi e corredi, i costumi, le ceramiche, l’arte dei pastori, caccia e pesca, agricoltura e pastorizia, arti e mestieri, e così via).

In Sicilia i costumi tradizionali antichi erano piuttosto semplici, variegati e in alcuni casi anche ricchi. L’abbigliamento tradizionale della donna e dell’uomo siciliano erano dunque composti da diversi capi realizzati con diverse fogge e fatture, e spesso e volentieri anche i colori variavano; gli abiti dei giorni quotidiani inoltre erano distinti da quelli della festa.

I costumi a cui il gruppo Gergent rimanda sono un rifacimento pressoché verosimile degli abiti dei popolani e delle popolane dell’ottocento siciliano.

Il costume femminile è composto: da una gonna lunga di broccato blu, rossa, gialla o da gonne nere orlate con pizzo sangallo; da un grembiule di cotone bianco o a fiori, oppure di lino a seconda dell’uso; dai mutandoni in cotone bianco, che coprono le gambe sino alle ginocchia, arricchiti da pizzo san gallo e da un nastrino rosso all’estremità; da calze di lana o di cotone (a seconda della stagione); da scarpe di pelle nera con punta leggermente arrotondata e da una fibbietta sul collo del piede.

La parte superiore è composta da un gilet nero di velluto orlato da una passamaneria a fiori per decorare e rifinire il corpetto, stretto e allacciato da un filo di coda di topo lucida di raso rosso; la camicia bianca fornita di pizzo san gallo nel girocollo e nei polsini con un nastrino rosso intrecciato ad esso.

Il capo è acconciato da alcuni spilloni e fiori che servono a rendere più prezioso il “tuppu”, ciò deriva da un’antica usanza di raccogliere i capelli delle donne per facilitarne il lavoro e altresì per essere più sistemate e non avere la necessità di lavare i capelli, data la scarsa possibilità di un tempo. Il capo è inoltre talvolta coperto da un “fazzulettu”, a seconda delle occasioni, di lavoro o di festa.

Il fazzulettu talvolta poteva essere di pizzo nero o bianco o di cotone. Durante le processioni, infatti, le donne solevano abbinare ai propri capi di tutti i giorni un pezzo più raffinato, che veniva per l’appunto dedicato alle grandi occasioni, questo poteva essere di pizzo bianco o nero.

Il vestito viene completato da una mantellina di lana, generalmente nera e lavorata a mano, che veniva indossata per qualsiasi evenienza. Infatti sempre il Pitrè ci riporta che lo scialle era un capo universale, che andava bene per ogni ora del giorno e della notte e per ogni stagione e veniva indossato dalle donne siciliane per andare al mercato oppure in città, a sbrigare le commissioni per la casa. Il manto aveva anche in un certo senso una funzione sociale. A Messina, chiamavano il manto ‘orate frates’ perché all’occorrenza consentiva alle ragazze di scoprirsi per mettere in evidenza il collo e il seno.

In altri luoghi dell’Isola invece, la mantella aveva il compito di distinguere le donne di buona famiglia da quelle appartenenti ai ceti meno abbienti e dunque possederlo era un vanto, ma anche una ricchezza per una donna dell’epoca.

L’abito maschile rimanda anch’esso a quello tipico dei popolani dell’ottocento ed è costituito: da camicia bianca di cotone; gilet a coste di velluto nero con bottoni neri e una fibbietta nella parte posteriore; da un fazzoletto rosso posto sul collo o sul capo, se utilizzato durante la raccolta dell’uva o la mietitura del grano, per far sì che tutto il sudore venisse trattenuto e asciugato dallo stesso; ed infine dai pantaloni sempre a coste di velluto nero, detti in siciliano “causi” lunghi fino alle ginocchia con delle aperture ai lati e stretti da un bottone, senza apertura davanti bensì sui fianchi, ai quali viene poi abbinata una fascia di lana in vita di colore rossa o gialla che funge da ‘panzera’.

Le scarpe sono basse nere a punta rotonda mentre i calzettoni sono o di cotone o di lana bianca. L’abito può talvolta essere completato da una “coppula” nera di velluto oppure da una giacca di velluto a coste nera, in occasioni di festa.

Il Pitrè ancora una volta è essenziale per la nostra ricerca sui costumi e per quanto concerne l’abito maschile si apprende che innanzitutto anche gli abiti che venivano indossati dagli uomini si potevano dividere in abiti per le attività quotidiane e per le occasioni speciali.

Una prima differenza si ha invariabilmente con il passaggio da un ceto all’altro.

L’abito era più semplice tanto più basso era il rango sociale difatti, quello più semplice era dei pastori. I contadini si vestivano invece con dei pratici ‘causi’, ai quali veniva poi abbinata una cintura in vita che solitamente era una fascia in tessuto; in essa infatti il contadino poteva riporre alcuni piccoli attrezzi per la pausa, come i coltellini che servivano a creare “i friscaletti”, i piccoli strumenti a fiato del folclore musicale, oppure il pranzo. In seguito, con il passare delle epoche, i calzoni si allungarono, le giacche si accomodarono al corpo e stoffa e colore iniziarono ad essere associati all’appartenenza sociale.

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Siciliano Sono Band: Un Pop Adrenalinico Dai Ritmi Siciliani

I “Siciliano Sono” rappresentano una delle realtà musicali emergenti di maggiore spicco.

La band è nata ad Agrigento nel 2009 da un’idea del cantautore Biagio Marino.

La loro carriera inizia in giro per la Sicilia, dove esce nell’estate del 2012 il loro primo disco intitolato “Siroko”, cioè Scirocco.

L’album riscuote subito grande apprezzamento di pubblico e critica.

Nel 2015, invece, la band intraprende un nuovo progetto dal titolo “Mundo Malo”, in cui sono anche presenti quattro tracce in lingua spagnola.

Ne segue il “Mundo Malo Tour” che vanta all’attivo più di cinquanta concerti in Italia e in Europa.

La loro musica si distingue per essere un pop adrenalinico con ritmi latini e tropicali combinati a quelli più tradizionali del Sud Italia.

Lo spettacolo che sanno offrire al pubblico è incalzante, divertente e ballabile.

Abbiamo chiesto loro di rispondere alle nostre domande in modo da farci sapere qualcosa di più della loro band.

Senza dubbio l’essere siciliani influenza tantissimo la vostra musica. Cosa in particolare vi ispira della Sicilia?

Dalla Sicilia veniamo ispirati sia dalle cose positive che negative. Attraverso la musica raccontiamo la visione del mondo del siciliano.

Com’è nato lo stile particolare che caratterizza la vostra musica?

Nasce attraverso un mix di diversi elementi stilistici. I nostri punti di riferimento sono stati sempre all’estero, continuiamo ad essere siciliani anche in questo, assorbendo continue influenze altre che scaturiscono poi in una musica semplice e immediata. Ci rivolgiamo al popolo, alla gente comune e non ai critici musicali.

Il vostro primo disco, che richiama suoni, culture ed essenze diverse che si mescolano, si intitola “Siroko” cioè Scirocco. Indubbiamente si tratta di un forte richiamo alla Sicilia, ma perché avete scelto proprio questa parola per il vostro primo album?

Scirocco è un vento caldo che avvolge il mediterraneo e la Sicilia. Quello che viviamo quando c’è lo scirocco è quello di stare “immobili” perché altrimenti suderemo di più muovendoci. Ecco quel momento in cui ti fermi per non sudare ti dà la possibilità di “ragionare” (anche se grondi di sudore) di lamentarti su come si evolvono i fatti di vita quotidiana, imprechi contro chiunque per le cose che vanno male, ma nonostante ciò rimani lì fermo per paura di muoverti e non puoi che rassegnarti e sperare.
Siroko racconta l’incanto per le bellezze della nostra terra, le azioni e le mancate azioni del siciliano nei confronti della sua terra.

Perché avete scelto di inserire nel vostro progetto “Mundo Malo” quattro tracce in lingua spagnola?

Lo spagnolo è una delle lingue più parlate al mondo e la cultura siciliana è stata fortemente dominata storicamente dalla presenza iberica nell’isola. Ciò ha influenzato anche l’evoluzione del dialetto siciliano che risente del periodo spagnolo. Inoltre la cultura musicale spagnola, a differenza di quella italiana, si apre maggiormente alle nostre esigenze stilistico-musicali e questo ci permette di affacciarci ad un mercato musicale più eterogeneo.

Vi aspettavate tanto successo pur partendo da una piccola realtà come Agrigento?

Lavoriamo per quello, non conta tanto il fatto della realtà piccola, ci aiuta indubbiamente a mantenere i piedi per terra. Il nostro lavoro è orientato ad un raggiungimento di un successo più alto. Però sai la musica poi tocca confini a te impensabili…

Quali difficoltà avete dovuto superare per potervi fare conoscere anche all’estero?

Le difficoltà primarie sono prevalentemente economiche. Investire all’estero per una band come la nostra significa andare incontro a delle spese che riguardano prevalentemente le attività organizzative, gestionali e strategiche. Ciò che siamo è sia merito della nostra qualità dello spettacolo musicale, che curiamo puntigliosamente in ogni parte, ma anche dal lavoro dietro le quinte che molti non vedono.

Quali sono i messaggi principali che volete portare con le vostre canzoni?

Le canzoni che fin ora ho scritto e composto insieme alla mia band rivolgono lo sguardo prevalentemente alla quotidianità, ad una realtà sociale in cui poi alla fine si rivede ogni persona. E così che le mie storie sono le storie di tutti. Tutto diventa universale. Facciamo quello che dobbiamo fare: musica con il cuore.

Durante il Mandorlo in Fiore di quest’anno vi siete esibiti in piazza Cavour.

D’altronde quale migliore connubio se non l’incontro tra i ritmi incalzanti della tradizione del Sud Italia e della Word Music, combinati a contaminazioni sonore gitane, che caratterizza la vostra musica e il Festival Internazionale del Folklore.

Quale particolare ricordo legato a quell’evento vi è rimasto?

Indubbiamente il più bel ricordo e inaspettato è stato quello di aver visto un’intera piazza che cantava le nostre canzoni e si divertiva. La nostra Fiesta Total ha colpito nel segno. Il nostro pubblico in quell’occasione ha dimostrato di avere una cultura musicale pari a pubblici ben più blasonati, un pubblico eterogeneo e al pari di un festival in Europa.

In che modo la musica può, a vostro parere, favorire la fratellanza e la solidarietà tra i popoli?

La musica non ha mai creato rivalità fra i popoli, è un’arte che fa dell’unione la sua forza. Le note musicali sono 7 ma attraverso queste puoi creare infinite melodie. Alcune si assomiglieranno tra loro, ma è solo una percezione. In questo senso, attraverso le stesse note puoi unire e stare in armonia con il mondo. Un finito che produce un infinito. La musica è l’unica lingua universale.

E ora un’ultima domanda. Quali sono i vostri prossimi progetti musicali?

Abbiamo appena concluso una tournée in giro fra le più belle piazze di ogni provincia della Sicilia e non; subito dopo ci siamo messi a lavoro a perfezionare il nostro spettacolo grazie all’aiuto di Adrià Salas Viñallonga cantante de La Pegatina, band di Barcellona molto famosa in spagna.

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La costruzione del “friscalettu”

Friscaletti costruiti a mano dal gruppo folkloristico Gergent

Gli strumenti popolari siciliani oltre ad avere un valore storico, psicologico, magico-rituale e socio-culturale rappresentano una componente essenziale nell’esecuzione della musica popolare.

 

Il Pitrè ad esempio ne fa una menzione nei giochi fanciulleschi e per certe ricorrenze religiose.

Qualche notizia più certa ci viene fornita dalla studiosa catanese Carmelina Naselli, che parlò nel 1949, di strumenti da suono della musica siciliana.

Molte però sono le testimonianze che si possono trovare in demologia (studio della cultura popolare) del secolo scorso o nei resoconti dei viaggiatori stranieri in Sicilia, nel Settecento o nell’Ottocento che ci parlano della presenza di strumenti musicali popolari.

Tratteremo oggi uno degli strumenti a fiato più usati e più famosi nel territorio siciliano: u friscalettu. In particolare parleremo della sua costruzione e della sua esecuzione insieme a Lillo Russo, componente e “friscalittaru” dell’associazione culturale Gergent di Agrigento.

Esempio di Friscalettu costruito a mano

Lillo Russo, friscalittaru del Gruppo folklorico Gergent dal 1999, cosa ci sai dire in merito alla nascita e all’uso che se ne faceva anticamente?

 

Il friscalettu comunemente detto, è uno strumento a fiato che ha origine nell’antica Grecia e che veniva impiegato, soprattutto in occasioni di festa o per scandire i ritmi sfrenati di lavoro e dunque consentire un certo sollievo ai pastori, desiderosi di allietare ed alleviare l’animo, dalle fatiche usuranti del lavoro contadino. Solamente a partire dagli anni 20’ e 30’ del secolo scorso, il friscaletto perse la sua valenza bucolica e venne introdotto, grazie all’ottima qualità timbrica e alla sua versatilità nella pratica strumentale tradizionale locale, affiancato al tamburello, alla chitarra e alla fisarmonica, nelle orchestrine come strumento da ballo in contesti festivi.

 

Invece per quanto concerne il suo utilizzo, ci sono particolari tecniche di esecuzione per eseguire e far uscire il suono in modo limpido e naturale?

 

Si, infatti, come qualsiasi altro strumento musicale, per suonare il friscalettu, non bisogna soltanto assumere una posizione corretta, ma avere soprattutto come si usa dire nel gergo musicale “orecchio” e ovviamente molto tempo da dedicare all’esercizio quotidiano. Il suonatore per far sì, che il suono risulti limpido, dovrà prima di tutto stare alzato, con il torace ben dritto e le braccia ed i gomiti leggermente aperti, in modo che i polmoni si riempiano di ossigeno, indispensabile per emettere il giusto suono. Lo strumento, poi, dovrà essere parallelo al pavimento ed ortogonale alla bocca. Invece per quanto concerne l’esecuzione, le dita della mano sinistra andranno a chiudere sia i fori presenti sul lato posteriore che quelli posti anteriormente, in prossimità del becco, mentre la mano destra chiuderà i restanti fori, ossia quelli posizionati più in basso. Come dicevamo, ci sono specifiche prassi da rispettare per ottenere un suono pulito e non stridulo, come ad esempio, conferire poca pressione al fiato soprattutto per le note iniziali, mentre digitando i fori più alti si dovrà immettere più aria facendo attenzione a non fischiare. L’esperienza naturalmente fa da padrone, però con costanza e dedizione qualsiasi persona potrà ottenere ottimi risultati.

 

Tu oltre a suonare il friscalettu, ne sei anche un abile costruttore, infatti selezioni direttamente all’origine la materia prima che ti serve per poi “plasmarla”, puoi spiegarci meglio, per sommi capi, le fasi principali?

 

Per prima cosa bisogna individuare un canneto che non sia troppo vicino a fonti d’acqua, fiumi o laghi. Più “siccagna” è la zona e più le fibre della canna sono compatte e legnose. Le zone umide, infatti, rendono le fibre meno robuste e dopo la stagionatura la canna risulterà essere più morbida, paglierina, quindi non idonea per realizzare i friscaletti. Se poi a questo si aggiunge l’umidità del nostro fiato, o l’eccessiva saliva per i più inesperti, il tutto risulterà non idoneo ad una perfetta realizzazione, perché andrà a compromettere nel tempo lo strumento. Quindi essendo a conoscenza che il legno è un materiale vivo, è opportuno prendere prima le dovute precauzioni. Dopo aver raccolto le canne, quindi, le stesse vengono lasciate stagionare per almeno due anni (più la stagionatura è lunga e meglio è), quindi sarà poi possibile iniziare la loro lavorazione. Le successive fasi di lavoro consistono nell’individuare il cannolo da lavorare, prendere le misure e tagliarlo, facendo molta attenzione a lasciare da una parte il nodo e dall’altra l’estremità aperta, dove poi si andrà a inserire la “zeppa” (il tappo). Generalmente per un friscalettu in DO o anche in SI, la lunghezza del cannolo non deve essere minore di circa 20cm. Per tagliare i segmenti di canna, dobbiamo prendere una distanza di circa 3cm dal nodo, lasciando il germoglio dalla parte in cui verrà il friscalettu. Il nodo che abbiamo lasciato in tutte le parti terminali dei segmenti, costituirà la cosiddetta “culazza” che avrà diversi compiti, quando infatti si recideranno le canne, è meglio sempre lasciare un po’ più di spazio su questa parte, perché utile per una futura operazione di accordatura. Il becco invece, inteso come forma dell’imboccatura dello strumento, è una questione puramente estetica o di comodità e non ne pregiudica le qualità sonore. In realtà un becco molto sottile e stretto è più comodo da tenere fra le labbra e quindi dà meno problemi per l’esecuzione dello staccato.

 

Il friscalettu oltre ad essere uno strumento fondamentale della tradizione musicale siciliana, e innanzitutto la tua grande passione, hai mai pensato di trasmettere la tua esperienza e le tue conoscenze in merito, ai più giovani?

 

Si hai detto bene, perché il friscalettu è innanzitutto la mia grande passione, ho iniziato a suonarlo all’età di circa 15 anni dopo averlo sentito suonare alla sagra del mandorlo in fiore del 1996, mi ha colpito subito per il suo particolare suono, allegro e vivace specchio riflesso della mia anima; per tali motivi capì subito che era lo strumento che avrei suonato per tutta la vita. Venendo alla tua domanda, è già da due anni, che insieme all’associazione culturale Gergent, gruppo folkloristico di cui faccio parte, abbiamo intrapreso un vero e proprio corso di friscalettu per diffondere e inculcare ai ragazzi sempre più distanti dalle tradizioni popolari, l’amore per questo strumento in particolare, ma in generale per gli strumenti della tradizione siciliana. I ragazzi oggigiorno sono sempre più distanti dal mondo folk, e dalle tradizioni popolari perché affascinati da una realtà, che ahimè è sempre più snaturata e lontana dai veri e sani valori di un tempo. Per tali motivi, ho pensato che era necessario creare un ponte di collegamento idoneo ai nostri tempi, e quindi una mattina mentre lavoravo alla realizzazione del friscalettu pensai a realizzare un video dimostrativo sulle tecniche di realizzazione del friscalettu e inserirlo su youtube. Le visualizzazioni sono state moltissime, chissà se qualcuno tra questi non sia oggi diventato un abile costruttore e un appassionato suonatore di friscalettu. Me lo auguro!

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La mostra dello strumento popolare

L’amore per la musica e per l’arte in generale portarono il noto agrigentino Claudio Criscenzo, a creare una vera e propria mostra di strumenti popolari provenienti da tutto il mondo.

 

Nel 1994 con la prima rassegna di musica popolare, inserita all’interno della kermesse del mandorlo in fiore, ebbe il merito di portare alla ribalta la sua collezione privata formata da circa 400 strumenti di varia natura (membranofoni, aerofoni, idiofoni, cordofoni e a percussione).

 

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 1Gli innumerevoli viaggi all’estero, la ricerca puntigliosa e puntuale con la quale Claudio Criscenzo amava approcciarsi alla cultura popolare e all’arte in generale, fecero nascere in lui la voglia di trasmettere al vasto pubblico, la collezione di strumenti popolari, che gelosamente nei vari anni aveva raccolto e custodito, prefiggendosi lo scopo di diffondere alle nuove generazioni, ad adulti e bambini, il ricchissimo patrimonio etnico, musicale e culturale; in altre parole l’amore per la musica popolare siciliana e non solo.

Le varie mostre organizzate in tutto il territorio regionale siciliano, oltre all’esposizione visiva degli strumenti, prevedono spiegazioni e dimostrazioni apposite da parte di esperti musicisti, con l’intento di far appassionare l’uditore e promuovere la conoscenza tecnica e non solo di alcuni degli strumenti esposti.

È inoltre installata una postazione multimediale, accessibile a tutti i visitatori, permettendo in questo modo, agli astanti di viaggiare con la mente e con il cuore nel mondo affascinante dei suoni differenti, ma allo stesso tempo accomunati dalla sintonia ritmica della cultura musicale.

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 2Dopo la scomparsa del fondatore Claudio Criscenzo, la mostra da lui ideata viene con amore e dedizione, nonostante le tante incombenze, portata avanti magistralmente dal figlio Luca, con la collaborazione di alcuni musicisti professionisti dell’associazione culturale Gergent.

Di recente, è stata la scuola ‘G. Guarino’ e il Liceo ‘M.L.King’ di Favara che ha accolto con grande entusiasmo la mostra, riscontrando tra i ragazzi enorme fervore.

Una mostra preziosa e unica nel suo genere, composta da innumerevoli strumenti provenienti da ogni angolo della terra, che suonati hanno permesso di far sintonizzare la mente e il cuore dei ragazzi con quelli dei popoli di tutto il mondo.

La musica, che i presenti hanno avuto modo di ascoltare, anche se differente, ha alla base la stessa atavica bellezza e bisogno primitivo di collegarsi al primo “sentire” dell’uomo.

Dall’altra parte, la lingua, come la musica e la cultura non conoscono confini; anzi sono proprio questi ad essere frantumati e trasformati in sentimenti univoci e unilaterali.

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 3Pertanto poco importa, se gli strumenti in questione siano di origine europea piuttosto che africana o asiatica, tutti suonano e intonano la stessa melodia, ovvero quella della musica popolare, etnica, folk.

La mostra oltre a vantare con orgoglio la “collezione Criscenzo” conserva in principio questo scopo; far avvicinare il più possibile, le nuove generazioni e non solo, alla cultura musicale popolare, portatrice della linfa vitale necessaria per i suoni e le melodie del nostro futuro. La musica col suo linguaggio universale, ha la capacità di unire le anime all’unisono, perché la musica con la sua genuina potenza è in grado, più di ogni altra forma espressiva, di superare ogni limite imposto dalle società odierne collegandosi al mondo dei riti e dei canti popolari, prendendo le distanze da ogni genere di consumismo e ideologia di mercato, principale causa di distruzione delle primordiali tradizioni.

Come ha scritto Angelo Vita “Psicopedagogista e docente di storia e filosofia”

mentre Luca ed Angelo erano intenti a farci conoscere con suoni e parole gli strumenti provenienti da ogni parte del mondo, ci hanno permesso di guardare oltre, di ascoltare altro, di trasferirci altrove… in quel mondo in cui la vita è ancora scandita dai suoni tribali fatti di ritmo, di passione e di tanta voglia di vivere la vita nel rispetto assoluto delle a/ritmie che segnano l’esistenza di ciò che solo noi siamo ogni qualvolta lo percepiamo.

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Lupulù: Il ballo dei pastori

gruppo folkloristico gergent che balla il lupulùI pastori, in Sicilia, sono stati sempre oggetto di un’innumerevole serie di raffigurazioni simboliche; coinvolti nella maggior parte dei casi come protagonisti di vicende mitologiche e leggendarie.

 

Con Teocrito, poeta della scuola alessandrina (310-250 a.C.), originario di Siracusa, nacque, com’è noto, il genere poetico-bucolico.

 

Nei suoi Idilli, epigrammi e carmi, rappresentò i pastori, i bovari e i mandriani della sua patria, la Sicilia.

In realtà il genere bucolico, vantava un’origine ben più antica, in quanto già il poeta Stesicoro, tre secoli prima, aveva narrato in un canto corale la storia del mitico Dafni.

Questi, pastore siciliano, figlio di Ermes e di una ninfa, nato in un bosco di alloro e allevato dalle Muse, istruito nel suono della zampogna dal dio Pan, si guadagnò coi canti bucolici e con la sua bellezza il cuore delle ninfe e delle altre divinità agresti, ma per non aver tenuto fede all’amore giurato alla ninfa Naide, fu poi accecato dagli dèi.

Non trovando più conforto nel suono e nella poesia, Dafni si uccise gettandosi da una rupe; il padre Ermes lo accolse in cielo e da allora fu venerato come divinità dei pastori.

Lo stesso Polifemo, il più celebre dei Ciclopi, figlio di Poseidone e della ninfa Toosa, appare essere un pastore: egli dimora infatti in una caverna nell’isola dei Ciclopi (la Sicilia), in cui alleva i suoi armenti.

Anche lo stratagemma escogitato da Ulisse per uscire dalla spelonca della quale il ciclope sorveglia l’ingresso, ostruito da un enorme macigno, volge a proprio vantaggio l’attività pastorale di Polifemo: presi, senza far rumore, i più grossi montoni e legatili con vimini, tre per tre, l’eroe fa aggrappare alle lane del ventre di quello di mezzo ciascuno dei suoi compagni e i Greci possono così salvarsi uscendo al mattino nascosti sotto le pance villose degli arieti.

Fu però a partire da Teocrito che si gettarono le basi di un vero e proprio modello poetico, da cui poi si alimenteranno nel corso dei secoli i titoli pastorali nobilitati nelle diverse espressioni d’arte (letteratura, pittura, musica), ad incominciare da Virgilio con le Bucoliche.

L’opera del Siracusano, al di la dell’indubbia valenza letteraria, ci consente di scoprire uno “sguardo etnografico” dell’opera.

 

E così, dai testi poetici ecco riemergere, il livello più arcaico della condizione di vita pastorale siciliana, dunque, il paesaggio naturale delle origini e, assieme ad esso, forme di cultura materiale ed immateriale, incredibilmente e sostanzialmente replicate, da padre in figlio, nei secoli, integre ed eguali a se stesse fino ai giorni nostri.

Un patrimonio culturale di assoluto interesse, dunque, quello pastorale siciliano, che è sia di natura tangibile ma anche di natura intangibile.

Più specificamente, si tratta, di un repertorio oggettuale, funzionale e legato ai bisogni quotidiani della pratica pastorale.

A dare ulteriore credibilità a questa tesi, le tracce di antica memoria rituale e cerimoniale, che è possibile scorgere, più in particolare, nei manufatti lignei (bastoni, collari, cucchiai, etc) e negli aerofoni pastorali (flauti, ance e zampogne).

Questo ricco strumentario, rimanda per affinità stilistiche e performative alle antiche culture del Mediterraneo, a quella cicladica, minoica e micenea, e naturalmente alla “dominante greca”.

Sul tema delle leggende, si può far riferimento alle innumerevoli credenze sulle trovature, o tesori nascosti, oltremodo diffusi nel folklore siciliano, la cui origine e pressoché unicamente pastorale.

Per quanto attiene infine gli eventi rituali, basterà qui menzionare le sacre rappresentazioni legate al tema della Natività, in cui i pastori giocano un ruolo fondamentale, l’annunciazione alle genti della venuta del Salvatore.

Secondo quanto apprendiamo dalla raccolta “Usi e costumi” di Giuseppe Pitrè, l’indumento più semplice, in assoluto, era quello dei pastori, indossato durante la pioggia o in caso di cattivo tempo, quando erano intenti a guardare i greggi.

Ci dice sempre G. Pitrè, che era composto da una giubba “giubbini” e dai calzoni “vrachi” formati con pelli di capra. Di pelle d’animale erano poi rivestiti anche i piedi, da questo dipende il nome delle calzature: scarpe di pilu.

Composte da un pezzo di cuoio ripiegato in punta e fermato da piccole corregge al collo del piede, rimanendo scoperto il dorso.

Questa forma di calzature era molto adoperata sia dai pastori che dai contadini.

Affascinato da questo antico mondo, l’allora presidente Claudio Criscenzo ideò una danza che ritraesse appunto quell’affascinante e remota atmosfera, quanto presente e mai tramontata realtà agreste.

Il “Lupulù” o “Jolla di picurara” è infatti, un’antichissima danza di pecorai, originaria delle campagne, tra Favara e Racalmuto, che grazie alla ricerca e allo studio, egli seppe recuperare e fare propria. Il ballo chiamato anche “ballo dei bastoni”, vuole rappresentare l’ancestrale mondo del territorio agrigentino, legato alle antiche tradizioni agresti e sopravvissuto fino alla metà del ‘900.

Attraverso le svariate figure coreografiche viene raccontata la figura dei pastori e soprattutto la loro forza e possanza fisica.

 

Quando la musica inizia ad assumere il movimento di una tarantella molto lenta, il ballerino/pastore chiama a raccolta gli altri pastori/ballerini, iniziando così ad eseguire insieme al bastone, elemento fondamentale del ballo, una serie di scene che, attraverso le predominante figura del cerchio, raccontano con maestria il “Lupulù”, quale espressione viva e tangibile di un mondo che speriamo non tramonti mai.

 

Questo antico ballo veniva svolto dai pecorai per propiziarsi il volere degli dei, affinché il lavoro fosse redditizio e non troppo faticoso.

Ad un certo punto, il suono del tamburo insieme a quello del friscaletto, della chitarra e della fisarmonica, lasciano spazio al ritmo incessante e martellante del bastone che, prima lentamente e poi sempre più veloce, diventa il vero protagonista sulla scena.

Irrompono l’impeto e il vigore dell’uomo “pastore” che, per ottenere il predominio sull’altro, inizia a litigare, attaccando e difendendosi dal suo omonimo con l’ausilio del bastone.

Inizia così una personale lotta con ciascuno dei pecorai, soltanto alla fine dei duelli, verrà riconosciuto il potere ad uno solo che prenderà così il sopravvento ristabilendo l’ordine generale tra i suoi compagni.

La danza è, se vogliamo, atipica rispetto ad altre della tradizione agrigentina, giacché viene eseguita dai soli ballerini e non dalle donne, che difatti non sono mai presenti sulla scena.

 

Come si evince dal nome del ballo o ancora dall’uso spropositato che se ne fa, elemento predominante è sicuramente il bastone, che viene mostrato con fierezza dai ballerini/pecorai, i quali con mimica grottesca e pesanti movenze lo utilizzano per divertirsi e litigare tra di loro nelle ore di riposo.

Ricordiamo infine che per il pastore, il bastone “u vastuni” era, ed è tutt’ora: compagno, arma di difesa e attrezzo da lavoro.

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Le Tradizioni Popolari Ed Il Mondo Giovanile

gruppo folkloristico ospite del festival i bambini del mondo

gruppo folkloristico gergent davanti il tempio della concordiaLa Sicilia terra d’amuri e di speranza disperata, di travagghiu.

Ricca con i suoi colori, i suoi profumi ingenti di atavica bellezza: il pane cunzatu; i purcciddati freschi che profumano di arancia; i mastazzola che sanno del vino primitivo della prima annata; i filari di nero d’avola scuro come il sangue che scorre dentro alle vene, fuoco che arde; gli ulivi e la loro maestosità, possanza che sovrasta l’anima; le distese bionde di grano che riflettono al firmamento.

 

E poi, lui: il mare. Una distesa infinita di blu cobalto che intreccia il suo raccontarsi a quello del sole che lo sovrasta e lo riscalda perpetuamente, non conoscendo fine questo immenso calore.

 

Terra di tradizioni sacre e profane, e di uno allegro folklore annunziatore alle genti: «l’unione dei popoli è vicina , l’incontro dei cuori stranieri sotto ai piedi magnificenti della concordia è prossimo».

 

Agrigento e la sua inconciliabile anima: Uno, nessuno, centomila, desideri, speranze, sognante tristezza di essere e apparire.

 

Ma proprio l’ inconciliabilità dell’essere la rendono unica, luogo privilegiato alle moltitudini di genti: greci, romani, arabi, normanni, Akragas e poi Agrigentum e ancora Girgenti e poi Agrigento.

 

Quotidianamente siamo sopraffatti dal caos movimentato di notizie che freneticamente ci soggiungono da ogni angolo della terra, siamo sempre stanchi e desiderosi di un desiderio già tramontato; dimenticando quali sono i veri valori della vita, quali i principi fondanti e portanti della nostra esistenza.

 

gruppo folkloristico gergent davanti il tempio della concordiaSembra proprio che le tradizioni popolari, di lontano e suggestivo splendore, abbiano lasciato questa terra, l’abbiano privata del suo capo lasciandola in balìa del progresso, arrampicatore sociale e manovratore delle menti umane.

Soprattutto il mondo giovanile, primo alleato dei social network, di internet, conosce realmente le risposte ad alcune domande?

Il perché alcune tradizioni e usanze, vengano portate avanti da anni e di anno in anno?

Ecco allora uno dei motivi chiave, che hanno condotto il presidente del gruppo folkloristico Gergent, Claudio Criscenzo, a maturare l’idea che anche i più giovani, anzi soprattutto loro, dovevano caricarsi sulle spalle il peso prezioso delle arti, dei riti, dei mestieri, degli usi e dei costumi del popolo siciliano e nella fattispecie agrigentino, facendolo proprio e quale primo insegnamento da trasmettere alle successive generazioni.

Nel 2001, con la dedizione e la caparbietà che lo contraddistinguevano, insieme al sostegno giovane e appassionato del figlio Luca; Criscenzo, creò una seconda unità all’interno dell’associazione culturale, ovvero quella giovanile; formata da bambini di diversa età, compresa tra i 5 e i 15 anni.

La sezione giovanile vuole essere una vera e propria fucina di folklore e di tradizioni popolari per i bambini e gli adolescenti: futuro del dì venturo. La parola folklore, deriva dal riuscito accostamento di due termini inglesi: “folk”, che significa popolo, e “lore” che invece indica il sapere, il complesso di tradizioni o di notizie, di credenze che fanno parte del patrimonio culturale di una data nazione.

Per diffondere e mantenere vive le tradizioni, è bene inculcarle, prima di tutto, nei cuori delle menti più giovani, affinché queste rivivano nei secoli avvenire.

gruppo folkloristico gergentSenza i bambini e senza i giovani dall’altra parte non avremo modo di pensare e di sperare in un domani migliore e pregno della nostra primitiva, ancestrale, cultura popolare.

Il folklore è l’anima pulsante di un popolo, che attraverso le sue manifestazioni sacre e profane, i suoi riti e le sue feste, sa ripercorrere la storia e coglierla nella sua fervida vitalità.

Noi siamo parte integrante di un tutto che c’è stato trasmesso e che abbiamo ereditato, noi gente umile (dal lat. humĭlis, der. di humus ‘terra’) che ha fatto e fa della terra il pane quotidiano, siamo portati a vivere certe tradizioni, poiché parte essenziale di quel patrimonio etico, morale, culturale ricevuto dai nostri avi: tesoro di vita che deve essere tutelato e trasmesso ai posteri.

E chi meglio dei bambini può essere la fonte da cui attingere nuova linfa vitale, i bambini di ogni grado e ordine di grandezza che sanno guardare alla bellezza con gli occhi di chi ancora sa sognare e sperare.

Approcciarsi a questo mondo così lontano e “tradizionale” sta diventando sempre più difficoltoso e problematico.

Oggi si tende ad avere ed a cercare altro, piuttosto che approcciarsi al sapere di una vecchia canzone popolare, di un ballo o di una festa tradizionale.

La sezione giovanile del gruppo folklorico Gergent, vuole appunto trasmettere questi valori; con tutti i sacrifici, gli impegni, le fatiche che ne derivano.

Fare del gruppo unione e solidarietà, amicizia e fratellanza, laboratorio attivo di folklore, dove solo la passione, la semplicità, l’umiltà, il sapere popolare prendano il sopravvento.

Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Austria, Calabria, Spagna e Grecia sono solamente alcune delle mete visitate in questi anni ed in cui la sezione giovanile ha sempre dato prova di ottima competenza, lasciando impresse nei cuori della gente, l’allegria del folklore agrigentino.

I giovani le nuove menti del futuro, i nani sulle spalle dei giganti, che vestendosi delle antiche tradizioni instaurano un connubio perfetto tra passato e futuro.

La consapevolezza della loro potenzialità, a salvaguarda di un patrimonio immateriale quale le tradizioni popolari, portarono l’allora presidente del gruppo Gergent, Claudio Criscenzo, con la coadiuvazione di Giovanni Di Maida, oggi presidente onorario della manifestazione, all’ideazione di un festival internazionale di bambini nella sua amata Agrigento, dando così ancor più spazio alle nuove leve.

Il “festival internazionale i bambini del mondo” giunto oramai alla sua 18^ edizione, coniuga perfettamente il folklore con la promozione umana e sociale, ponendosi quale obiettivo la promozione dei valori della pace e della fratellanza.

La manifestazione che è solita aprire la festa del mandorlo in fiore, nel corso delle varie manifestazioni ha ottenuto e raggiunto unanimi consensi, divenendo a tutti gli effetti parte integrante e fondante della kermesse agrigentina.

Dopo il riconoscimento dell’Unicef che l’ha nominata «Ambasciatrice di pace nel mondo», ha anche conseguito, per la seconda volta consecutiva, quello dell’Unesco, in particolare della commissione nazionale italiana.

Insigne riconoscimento dunque al festival che oggi vanta di essere unico per fascino e bravura dei gruppi partecipanti provenienti da ogni angolo della terra. Quest’anno il festival internazionale, promosso dall’Aifa, dall’ente parco Valle dei Templi, dal comune di Agrigento e patrocinato da Unesco e Unicef , accoglierà ben otto gruppi internazionali, provenienti dalla Calmucchia, dalla Costarica, dall’India, dal Kazakistan, dalla Lituania, dalla Russia e dalla Slovacchia.

La manifestazione prenderà il via il 2 Marzo e si concluderà il 7 Marzo.

Credere fortemente nelle proprie tradizioni, nei valori del folklore, portarle avanti, significa credere nel passato, interpretare adeguatamente il presente, costruire prudentemente il futuro.

Troppo spesso dimentichiamo la grande eredità che abbiamo ricevuto e la grande responsabilità di trasmetterla ai posteri.

Alla bellezza non c’è e non ci sarà mai fine, dobbiamo solamente imparare a riscoprirla ed a riviverla; dall’altra parte: «Al cor gentil rempaira sempre amore».

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Il fondatore: Claudio Criscenzo

il fondatore claudio criscenzo

claudio criscenzo conferenza stampaClaudio Criscenzo, classe 1952, fu promotore e cultore della tradizione siciliana e in particolare di quella agrigentina, prematuramente scomparso nel gennaio del 2011, fu ideatore e organizzatore del festival “I Bambini del mondo”, manifestazione che da 18 anni a questa parte precede l’inizio della Festa del Mandorlo in Fiore ad Agrigento.

Claudio Criscenzo fu un volto noto in città grazie alla perdurante attività nel campo artistico, in generale, e folklorico in particolare, iniziata sin dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso.

 

La sua carriera artistica ebbe inizio all’età di 16 anni, esordendo come ballerino nel gruppo folklorico “Val d’Akragas” con il quale partecipò alla Festa del Mandorlo in Fiore del 1969, vincendo il Tempio d’oro.

 

Inoltre sempre con il Val d’Akragas effettuò diverse tournée in Europa.

 

Il suo amore per l’arte in generale lo condussero anche per altre strade, difatti nel 1973 recitò come attore protagonista con la compagnia “R. POLITI” la commedia “Liolà”, che fu riproposta in numerose repliche. Successivamente, nel 1976, entrò a far parte del gruppo folklorico “Valle dei Templi”, del quale dopo poco tempo divenne coreografo.

claudio criscenzo in costume tradizionale sicilianoCon il gruppo “Valle dei Templi” partecipò a numerosi festival internazionali, quali quelli di Aviano, Tarcento, Trento, S.Pellegrino, Bergamo, Friburgo (Svizzera), Malta, Billingham (Inghilterra), Frankfurt (Germania).

La passione per il ballo e l’impegno costante in campo artistico culturale lo indussero ad intraprendere sempre nuove esperienze; così alla fine degli anni ’70 entrò a far parte della compagnia del Prof. P. Flora, come ballerino, cantante e coreografo nella commedia musicale “Nela e Sahabin” partecipando a numerose tournée e prime nazionali.

Partecipò altresì alle trasmissioni televisive “Domenica in” e “Permette cavallo” con Renato Rascel.

Con la stessa compagnia effettuò degli spettacoli in Tunisia e Polonia.

Nel 1985 venne chiamato a dirigere artisticamente il gruppo folklorico “Città di Favara” con il quale prese parte a degli spettacoli nella ex Jugoslavia, ed a numerose tournée, tra le quali si ricordano quelle in Extremadura (Spagna), Avignone (Francia), Aviano.

Con lo stesso gruppo partecipò a diverse edizioni della Festa del Mandorlo in Fiore.

Criscenzo, inoltre, intorno alla fine degli anni ottanta partecipò come coreografo ad una tournée in Canada con il gruppo “I cumpari ragunisi”.

Sempre nelle vesti di coreografo collaborò con altri gruppi siciliani, ed in particolare con quello di Alcamo, di Godrano e con il “Gazzarra” di Caltavuturo (Palermo) del quale curò l’aspetto artistico e nello specifico coreografico.

Sempre negli anni ottanta, Claudio Criscenzo, divenne un associato dell’Unione Folklorica italiana: struttura costituita ufficialmente nel febbraio 1984 da undici Gruppi italiani di lontana tradizione folklorica con l’intento e il desiderio di valorizzare e mantenere le tradizioni popolari nel campo della musica, del canto, dei costumi e della danza, presentando la ricchezza incommensurabile delle varie regioni italiane. Grande amante della vita e delle tradizioni popolari, Claudio Criscenzo, vi aderì senza remora, divenendone dirigente nazionale.

 

Nel 1989 assunse la carica di direttore artistico del gruppo “La Vallata” con il quale partecipò nel 1990 al Festival di Ozdere (Turchia) e nel 1991 al festival di Pitesti (Romania), riscuotendo grande successo di pubblico. Sempre nel 1989, organizzò, curandone la direzione artistica, la Sagra dell’uva italia di Canicattì (Agrigento).

Nel Marzo del 1990, nelle vesti di dirigente nazionale dell’UFI organizzò ad Agrigento il Congresso Nazionale UFI ed un convegno dal tema: “Tradizioni popolari, evoluzione senza frontiere”.

Dopo vari anni di impegno personale in eventi culturali, manifestazioni e vari progetti, finalmente nel 1992 venne fondata da Criscenzo “l’Associazione Culturale Gergent”, attualmente guidata dal figlio Luca, in qualità di presidente e coreografo, e consigliere nazionale UFI.

 

Con il gruppo folklorico “Gergent” Claudio Criscenzo partecipò nelle vesti di direttore artistico e presidente a numerosi festival internazionali: Marconia (Basilicata), Mosca (Russia), Nuova Rhuda (Polonia), Gjion (Spagna), Izmir (Turchia), Evros (Grecia), Udine (Friuli), Pontelandolfo (Campania), Katowice (Polonia), San Luis Potosi (Messico), Castrovillari (Calabria), Santarem (Portogallo), Suessen (Germania), Lublin (Polonia), Macerata (Italia), Sardegna (Italia), Sharm El-Sheik (Egitto), Udine-Pordenone-Aviano-Lignano sabbia d’oro-Trieste (Italia), Klagenfurt (Austria), Hammamet (Tunisia), Syzran (Russia), San Francisco (California).

Grazie ad una grandissima passione per la musica popolare Criscenzo ideò ed organizzò molte manifestazioni culturali e musicali. Nel 1993 fondò il gruppo di musica popolare “Siciliaecantus”.

claudio criscenzo che suona la chitarraNel 1994, ricevette la regia degli spettacoli interni alla Festa del mandorlo in fiore, organizzando, con l’incarico di direttore artistico la I^ “Rassegna della musica popolare”.

Sempre nel 1994 partecipò come musicista alla “Borsa Internazionale del turismo” (Milano) e, come ospite, con il proprio gruppo musicale “Siciliaecantus” alla trasmissione televisiva di CANALE 5 “Ciao Italia”.

Claudio Criscenzo, uomo di grandissimo spessore e di eclettica levatura, nello stesso anno organizzò la “Mostra dello strumento musicale popolare” ed un convegno dal tema “Lo strumento musicale popolare- metodi di studio e di ricerca”.

Nell’ottobre del 1995 organizzò in veste di direttore artistico la IIa “Rassegna di musica popolare”.

Nel 1997 fondò il gruppo “ANTARES Latino” curandone la produzione e la direzione artistica e l’immagine nonché le tournée estive in tutto il meridione d’Italia fino al 2002.

Dal 1997 iniziò altresì ad occuparsi dell’immagine di gruppi e musicisti della realtà siciliana dedicandosi alla loro promozione. Nello stesso anno collaborò alla realizzazione della manifestazione “Scuola, Musica e….Dintorni” con Mogol e Lavezzi.

Nel 2000 organizzò diverse manifestazioni di grande valenza culturale come “Poesia & Musica” e “Mostra dell’Ambiente Sottomarino”.

Per circa 15 anni inoltre, Claudio Criscenzo collaborò alla realizzazione della rassegna dello strumento musicale popolare di Licata.

Fortemente appassionato, iniziò a collezionare diversi strumenti popolari; così nella sua collezione personale si contano oggi più di 400 strumenti musicali popolari provenienti da tutte le parti del mondo.

Attraverso detta collezione venne realizzata la “Mostra dello strumento musicale popolare”, ancora oggi itinerante in tutto il territorio regionale siciliano. Il fascino incondizionato per la musica, lo spinsero così a produrre due lavori discografici dai titoli: “Siciliaecantus” e “‘Nndonia – Canti e Musiche di Sicilia”.

Le varie esperienze in ambito folklorico lo portarono, nel 2001, ad intraprendere un percorso dedicato ai bambini, ampliando in questo modo l’associazione culturale Gergent, con la sezione giovanile compresa tra i 5 e 15 anni.

Criscenzo capì, dunque, giocando in anticipo, che i bambini erano non solo il patrimonio culturale del futuro che bisognava tutelare, ma allo stesso tempo, scrigno perfetto in cui conservare le tradizioni del nostro passato.

Nacque in tal modo, insieme all’amico Giovanni Di Maida, oggi presidente onorario della manifestazione, l’idea di creare un festival internazionale di folklore giovanile, inserito all’interno della kermesse agrigentina del mandorlo in fiore; con al centro appunto i bambini, perfetti testimoni e messaggeri di pace e fratellanza nel modo.

Un festival che potesse quindi coniugare il folklore con la promozione umana e sociale, per la difesa dei diritti dei minori.

Oggi, il festival internazionale “I bambini del mondo”, giunto alla sua diciottesima edizione, ha ottenuto, dopo quello dell’Unicef che li ha nominati «Ambasciatori di pace nel mondo», il riconoscimento dell’Unesco.

La prematura scomparsa di Claudio Criscenzo, il papà dei bambini del mondo, ha indubbiamente lasciato un peso che non è di poco conto; la sua partecipazione attiva in città, il suo amore per la cultura popolare, la musica e il folklore lasciano in noi un grande vuoto ma allo stesso tempo un grande insegnamento: bisogna vivere la vita e tutte le sue amabili sfaccettature con passione e determinazione.

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AT+, La Band Agrigentina Si Racconta

alcool test positivo foto di gruppoGli AT+ nascono nel 2015 come una cover band di Agrigento, ma dopo poco tempo iniziano a produrre pezzi inediti, grazie alle capacità musicali dei componenti della band e alle ispirazioni del cantante nello scrivere i testi.

 

Il nome AT+ significa “Alcool Test Positivo” ed è anche il titolo del loro primo pezzo; seguono subito dopo “Mezzaluna” e “Genti di culura”, di quest’ultimo brano realizzano un videoclip girato da Claudio Zagarini, regista noto per avere diretto video con cantanti come Paola Turci e Rovazzi.

 

Nel 2017 compongono il brano “Vero Affare” che conta 662 mila visualizzazioni. Poco dopo si esibiscono alla fiera “Sherbeth” di Palermo, riscuotendo grande successo.

 

Gli At+ hanno realizzato una prima demo e diversi video che sono presenti sul canale YouTube.

 

La band è formata da sette componenti: Alessandro Vita (voce), Martina Caldara (voce), Gero Parla (chitarra), Carmelo Moscato (batteria), Christian Versaci (basso), Antonio Lo Presti (tastiera), Angelo Pullara (percussioni e strumenti vai).

alcool test positivo foto di gruppo live

Abbiamo chiesto agli AT+ di rispondere alle nostre domande e di svelarci qualcosa in più della loro band.

 

La prima domanda ve l’avranno fatta in tanti, ma i nostri lettori sono sicuramente curiosi di sapere perché avete scelto il nome AT+, cioè “alcool test positivo”, per la vostra band.

il nome prende spunto dal fatto che siamo sempre positivi e ottimisti e la nostra musica porta tanta allegria come se fossimo sempre all’oktoberfest!

 

Com’è nata la band?

la band nasce dalla voglia di fare musica e dalla continua pressione del batterista ( Carmelo Moscato) nel realizzare una band non solo fatta di musicisti ma soprattutto da amici!

 

Com’è nata la collaborazione con il regista Claudio Zagarini che ha curato la regia del vostro brano “Genti di culura”?

Zagarini c’è stato presentato da un nostro amico, il quale avendo sentito il pezzo ed essendone rimasto entusiasta ha fatto si che lo ascoltasse anche Claudio Zagarini. Da lì, la voglia da ambo le parti di realizzare un video che esprimesse bene il significato della canzone.

 

Come definite il vostro stile musicale? Scegliete due aggettivi per descriverlo.

il nostro genere può essere definito un folk-pop. Le musiche hanno sempre qualcosa di contemporaneo legate ad una grossa fetta di sonorità mediterranea!

 

È chiaro che l’essere siciliani influenza molto la vostra musica. Cosa, in particolare, vi ispira della Sicilia?

della Sicilia ci ispira tutto, dal mare alla montagna ma anche la storia di questa terra ci travolge tantissimo e ci da sempre spunti sul quale scrivere un pezzo.

 

Quali sono le tematiche che più vi stanno a cuore e che avete trattato o intendete trattare nei vostri brani?

Come gruppo siamo molto sensibili a moltissime problematiche sia siciliane che non. Il pezzo Genti di culura parla di immigrazione, ” Caminannu parla di guerre. Fra l’altro abbiamo già composto, ma siamo in attesa di registrarle; “jechie” che tocca il tema dell’omosessualità e uno ancora più arduo il cui titolo é “Mafia”.

 

Vi siete esibiti alla fiera “Sherbeth” di Palermo, riscuotendo successo. Che ne pensate, invece, di un’esibizione per il Mandorlo in Fiore?

Sarebbe meraviglioso potersi esibire per la festa del mandorlo per Noi che prendiamo spunto , in gran parte dalle tradizioni popolari. Fra l’altro penso che tutti i gruppi che contengono nella loro musica sonorità nostrane rivolte alle nuove generazioni dovrebbero farne parte!

 

Un’ultima domanda. Quali sono i vostri prossimi progetti musicali?
I prossimi progetti musicali sono top secret ma voglio anticiparvi che stiamo lavorando per due videoclip e le sorprese saranno tante!

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Storia del gruppo folkloristico Gergent

gruppo folkloristico agrigentino gergent

Il gruppo folkloristico Gergent nasce ad Agrigento nel 1992 per un’idea di Claudio Criscenzo, grande cultore e promotore della tradizione culturale siciliana.

 

foto di gruppo gergentL’Associazione culturale “Gergent” vuole far rivivere ed allo stesso tempo divulgare, soprattutto alle generazioni future, il patrimonio inestimabile della tradizione popolare siciliana ed agrigentina in particolare.

Il gruppo è formato da circa 100 elementi, diviso in due sezioni: bambini e adulti, che attraverso balli, canti e coreografie inscenano la sognante tristezza, nonché la gioia di vivere di cantare e ballare del popolo agrigentino.

 

I canti e le musiche nascono da una attenta ed approfondita ricerca, essi infatti rappresentano i momenti particolari della giornata del contadino, del carrettiere, del pescatore in momenti di lavoro, di gioco, di scherno, d’amore.

 

Tra le coreografie ricordiamo in particolare la mietitura: un canto di lavoro dedito a far rivivere l’antico mestiere della raccolta e mietitura delle spighe di frumento effettuata dagli uomini con le falci ed i forconi di legno per separare la pula dal grano, e dalle donne che si occupavano di separare il frumento con i “crivi” (in italiano setacci).

 

Il contadino siciliano che spesso viveva in condizioni di miseria e di duro lavoro, non disprezzava mai quello che faceva, l’amore per la terra non veniva mai meno e con sacrificio e impegno costante essa rifioriva ad ogni stagione.

 

Accanto alla mietitura, il gruppo folkloristico Gergent è solito mettere in scena altre coreografie quali: la Vinnigna, il Piscaturi, il Canto dell’alba, per citarne solamente alcune.

Tutte le coreografie e i balli, curati da Luca Criscenzo, conservano un elemento comune, rappresentano infatti i tipici mestieri di un tempo oramai remoto, nonchè le preghiere e le esortazioni con le quali i lavoratori iniziavano la giornata.

Ciò si ritrova ad esempio nel “Canto dell’alba” che veniva effettuato dai contadini al primo levar del sole per augurarsi un buon raccolto: “focu ca vinci lu scuru e porta alla luci svigliannu la vita chistu è u miraculu ca fa u Signuri già spunta l’alba”.

Con la Vinnigna si inscena la vendemmia, effettuata dagli uomini ma anche dalle donne che con le loro ceste di canna palustre, i tipici “panara”, raccolgono l’uva precedentemente recisa dagli uomini.

Particolarità di questa coreografia è l’allegria, sentimento che scaturiva nei vendemmiatori con cui erano soliti effettuare e soprattutto concludere questo lavoro, che veniva spesso suggellato da una danza finale tra uomini e donne.

La vinnigna, infatti, diventava un luogo di incontro e un’occasione di gioviale convivialità che portava uomini e donne a riscoprire e incontrare l’amore:

E arrivata la vinnigna,
la staciuni di l’amuri,
mentri cogghiemu la vigna,
ntà u me cori nasci un ciuri […] (testo proposto dal gruppo Gergent per la coreografia della “Vinnigna”).

Oltre alle tipiche rappresentazioni sceniche del mondo rurale siciliano e in particolare agrigentino, il gruppo è solito allietare gli spettatori con i balli tipici della tradizione popolare, come ad esempio: la “Tarantella”, danza tipica presente nella tradizione di tutto il meridione d’Italia, famosa per il brio e l’allegria che riesce a trasmettere; la “Matroccola” danza eseguita con uno strumento idiofono detto crotalo, in siciliano “matroccola”, da cui prende nome il ballo e che si ispira alla festa di San Calogero di Agrigento dove i portatori con grandi fazzoletti legati alla testa dimostrano, tra il sacro ed il profano, la loro devozione al Santo nero; il “Fazzulettu” danza che descrive un’antica leggenda siciliana, nella quale si narra che i giovani del tempo per indurre le ragazze al matrimonio toglievano loro i fazzoletti dalle teste e se le fanciulle erano consenzienti rimanevano col capo scoperto, altrimenti si facevano dare il fazzoletto da una donna sposata; il “Tamburello” danza particolarmente ritmata che esalta questo particolare strumento, utilizzato durante il ballo dalle donne e dagli uomini, il cui suono, secondo Al-Farabi, fondatore e teorico della cultura musicale araba, segue nella scala dei valori la cadenza della musica ed il battito delle mani, mentre precede quello del tamburo; il “Lupulù” o “Jolla di picurara” antichissima danza di pecorai, originaria delle campagne tra Favara e Racalmuto.

 

In questo ballo l’elemento predominante è il bastone mostrato con fierezza dai pecorai che con mimica grottesca e pesanti movenze giocano con il bastone, che per loro è compagno, arma di difesa e attrezzo da lavoro; la “Controdanza” ballo tipico, su passo cadenzato di origine francese che veniva effettuato durante il carnevale, le feste di paese e principalmente nelle feste nuziali.

 

E’ in particolare, una danza comandata dove i partecipanti eseguono delle figurazioni.

 

bambini ballo tradizionale gergentMolte le presenze del gruppo agrigentino alla Sagra del Mandorlo in Fiore, che ha sempre accolto e sostenuto come grande evento di visibilità e non solo per la propria attività folklorica.

 

Da diciotto anni, inoltre, il gruppo Gergent ne è anche parte attiva in veste di organizzatore, insieme all’AIFA, dell’oramai consolidato festival di apertura alla Sagra del mandorlo: il “Festival internazionale i bambini del mondo”, giunto quest’anno alla sua diciottesima edizione.

 

Il gruppo folkloristico Gergent inoltre ha partecipato ad importanti manifestazioni e festival internazionali, dando sempre prova di grandi qualità interpretative e riscuotendo ovunque unanimi consensi di critica e pubblico, ponendosi di diritto quale messaggero della tradizione popolare siciliana e agrigentina nel modo. Per citarne alcune: Marconia (Basilicata), Mosca (Russia), Nuova Rhuda (Polonia), Gjion (Spagna), Izmir (Turchia), Evros (Grecia), Udine (Friuli), Pontelandolfo (Campania), Katowice (Polonia), San Luis Potosi (Messico), Castrovillari (Calabria), Santarem (Portogallo), Suessen (Germania), Lublin (Polonia), Macerata (Italia), Sardegna (Italia), Sharm El-Sheik (Egitto), Udine-Pordenone-Aviano-Lignano sabbia d’oro-Trieste (Italia), Klagenfurt (Austria), Hammamet (Tunisia), Syzran (Russia), San Francisco (California) Purwakarta (Indonesia), Faro (Portogallo), Kullu Manali (India), ecc..

Tante, quindi, le esperienze all’estero del gruppo agrigentino; in proposito è bello ricordarne qualcuna insieme al Presidente e coreografo del gruppo Luca Criscenzo.

 

Ciao Luca quale tra le ultime tournée all’estero del gruppo Gergent ti è rimasta particolarmente impressa nel cuore e nella mente?

Tra le tante gite all’estero sicuramente una tra le più affascinanti e avventurose è stata quella in India. La nostra partecipazione al festival internazionale “Kullu Dussehra”, che si è svolto dall’11 al 17 ottobre 2016, rientra sicuramente tra le esperienze più belle vissute negli ultimi anni con il gruppo Gergent.

Kullu Manali, un piccolo paesino rurale nella regione dell’Himachal Pradesh nell’altopiano dell’Himalaya, ci ha stupito per le sue particolari usanze e non solo, la comunità locale ci ha riservato un’accoglienza unica e inaspettata.

La gente ha preso parte volentieri alle nostre esibizioni, regalandoci non poche emozioni.

Hanno apprezzato le musiche ma anche le danze tipiche della nostra tradizione siciliana ed in particolare agrigentina, peculiari, come si sa, per l’allegria e la vivacità che sanno trasmettere.

Non sono poi mancati i momenti di svago, come le diverse visite ai templi induisti, buddhisti, la passeggiata al parco naturale, la partecipazione alla festa religiosa correlata al festival e anche alla breve ma intensa escursione nella capitale, Nuova Delhi.

È stata un’esperienza fantastica, che ci ha arricchiti molto non solo al livello artistico.

Dopo l’esperienza del gruppo in Indonesia nel 2015, aver ancora una volta preso parte come gruppo agrigentino, ad un importante festival in Asia, ci rende orgogliosi dell’attività che svolgiamo e portiamo avanti con passione e dedizione.

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