La costruzione del “friscalettu”

Friscaletti costruiti a mano dal gruppo folkloristico Gergent

Gli strumenti popolari siciliani oltre ad avere un valore storico, psicologico, magico-rituale e socio-culturale rappresentano una componente essenziale nell’esecuzione della musica popolare.

 

Il Pitrè ad esempio ne fa una menzione nei giochi fanciulleschi e per certe ricorrenze religiose.

Qualche notizia più certa ci viene fornita dalla studiosa catanese Carmelina Naselli, che parlò nel 1949, di strumenti da suono della musica siciliana.

Molte però sono le testimonianze che si possono trovare in demologia (studio della cultura popolare) del secolo scorso o nei resoconti dei viaggiatori stranieri in Sicilia, nel Settecento o nell’Ottocento che ci parlano della presenza di strumenti musicali popolari.

Tratteremo oggi uno degli strumenti a fiato più usati e più famosi nel territorio siciliano: u friscalettu. In particolare parleremo della sua costruzione e della sua esecuzione insieme a Lillo Russo, componente e “friscalittaru” dell’associazione culturale Gergent di Agrigento.

Esempio di Friscalettu costruito a mano

Lillo Russo, friscalittaru del Gruppo folklorico Gergent dal 1999, cosa ci sai dire in merito alla nascita e all’uso che se ne faceva anticamente?

 

Il friscalettu comunemente detto, è uno strumento a fiato che ha origine nell’antica Grecia e che veniva impiegato, soprattutto in occasioni di festa o per scandire i ritmi sfrenati di lavoro e dunque consentire un certo sollievo ai pastori, desiderosi di allietare ed alleviare l’animo, dalle fatiche usuranti del lavoro contadino. Solamente a partire dagli anni 20’ e 30’ del secolo scorso, il friscaletto perse la sua valenza bucolica e venne introdotto, grazie all’ottima qualità timbrica e alla sua versatilità nella pratica strumentale tradizionale locale, affiancato al tamburello, alla chitarra e alla fisarmonica, nelle orchestrine come strumento da ballo in contesti festivi.

 

Invece per quanto concerne il suo utilizzo, ci sono particolari tecniche di esecuzione per eseguire e far uscire il suono in modo limpido e naturale?

 

Si, infatti, come qualsiasi altro strumento musicale, per suonare il friscalettu, non bisogna soltanto assumere una posizione corretta, ma avere soprattutto come si usa dire nel gergo musicale “orecchio” e ovviamente molto tempo da dedicare all’esercizio quotidiano. Il suonatore per far sì, che il suono risulti limpido, dovrà prima di tutto stare alzato, con il torace ben dritto e le braccia ed i gomiti leggermente aperti, in modo che i polmoni si riempiano di ossigeno, indispensabile per emettere il giusto suono. Lo strumento, poi, dovrà essere parallelo al pavimento ed ortogonale alla bocca. Invece per quanto concerne l’esecuzione, le dita della mano sinistra andranno a chiudere sia i fori presenti sul lato posteriore che quelli posti anteriormente, in prossimità del becco, mentre la mano destra chiuderà i restanti fori, ossia quelli posizionati più in basso. Come dicevamo, ci sono specifiche prassi da rispettare per ottenere un suono pulito e non stridulo, come ad esempio, conferire poca pressione al fiato soprattutto per le note iniziali, mentre digitando i fori più alti si dovrà immettere più aria facendo attenzione a non fischiare. L’esperienza naturalmente fa da padrone, però con costanza e dedizione qualsiasi persona potrà ottenere ottimi risultati.

 

Tu oltre a suonare il friscalettu, ne sei anche un abile costruttore, infatti selezioni direttamente all’origine la materia prima che ti serve per poi “plasmarla”, puoi spiegarci meglio, per sommi capi, le fasi principali?

 

Per prima cosa bisogna individuare un canneto che non sia troppo vicino a fonti d’acqua, fiumi o laghi. Più “siccagna” è la zona e più le fibre della canna sono compatte e legnose. Le zone umide, infatti, rendono le fibre meno robuste e dopo la stagionatura la canna risulterà essere più morbida, paglierina, quindi non idonea per realizzare i friscaletti. Se poi a questo si aggiunge l’umidità del nostro fiato, o l’eccessiva saliva per i più inesperti, il tutto risulterà non idoneo ad una perfetta realizzazione, perché andrà a compromettere nel tempo lo strumento. Quindi essendo a conoscenza che il legno è un materiale vivo, è opportuno prendere prima le dovute precauzioni. Dopo aver raccolto le canne, quindi, le stesse vengono lasciate stagionare per almeno due anni (più la stagionatura è lunga e meglio è), quindi sarà poi possibile iniziare la loro lavorazione. Le successive fasi di lavoro consistono nell’individuare il cannolo da lavorare, prendere le misure e tagliarlo, facendo molta attenzione a lasciare da una parte il nodo e dall’altra l’estremità aperta, dove poi si andrà a inserire la “zeppa” (il tappo). Generalmente per un friscalettu in DO o anche in SI, la lunghezza del cannolo non deve essere minore di circa 20cm. Per tagliare i segmenti di canna, dobbiamo prendere una distanza di circa 3cm dal nodo, lasciando il germoglio dalla parte in cui verrà il friscalettu. Il nodo che abbiamo lasciato in tutte le parti terminali dei segmenti, costituirà la cosiddetta “culazza” che avrà diversi compiti, quando infatti si recideranno le canne, è meglio sempre lasciare un po’ più di spazio su questa parte, perché utile per una futura operazione di accordatura. Il becco invece, inteso come forma dell’imboccatura dello strumento, è una questione puramente estetica o di comodità e non ne pregiudica le qualità sonore. In realtà un becco molto sottile e stretto è più comodo da tenere fra le labbra e quindi dà meno problemi per l’esecuzione dello staccato.

 

Il friscalettu oltre ad essere uno strumento fondamentale della tradizione musicale siciliana, e innanzitutto la tua grande passione, hai mai pensato di trasmettere la tua esperienza e le tue conoscenze in merito, ai più giovani?

 

Si hai detto bene, perché il friscalettu è innanzitutto la mia grande passione, ho iniziato a suonarlo all’età di circa 15 anni dopo averlo sentito suonare alla sagra del mandorlo in fiore del 1996, mi ha colpito subito per il suo particolare suono, allegro e vivace specchio riflesso della mia anima; per tali motivi capì subito che era lo strumento che avrei suonato per tutta la vita. Venendo alla tua domanda, è già da due anni, che insieme all’associazione culturale Gergent, gruppo folkloristico di cui faccio parte, abbiamo intrapreso un vero e proprio corso di friscalettu per diffondere e inculcare ai ragazzi sempre più distanti dalle tradizioni popolari, l’amore per questo strumento in particolare, ma in generale per gli strumenti della tradizione siciliana. I ragazzi oggigiorno sono sempre più distanti dal mondo folk, e dalle tradizioni popolari perché affascinati da una realtà, che ahimè è sempre più snaturata e lontana dai veri e sani valori di un tempo. Per tali motivi, ho pensato che era necessario creare un ponte di collegamento idoneo ai nostri tempi, e quindi una mattina mentre lavoravo alla realizzazione del friscalettu pensai a realizzare un video dimostrativo sulle tecniche di realizzazione del friscalettu e inserirlo su youtube. Le visualizzazioni sono state moltissime, chissà se qualcuno tra questi non sia oggi diventato un abile costruttore e un appassionato suonatore di friscalettu. Me lo auguro!

Condividi:

La mostra dello strumento popolare

L’amore per la musica e per l’arte in generale portarono il noto agrigentino Claudio Criscenzo, a creare una vera e propria mostra di strumenti popolari provenienti da tutto il mondo.

 

Nel 1994 con la prima rassegna di musica popolare, inserita all’interno della kermesse del mandorlo in fiore, ebbe il merito di portare alla ribalta la sua collezione privata formata da circa 400 strumenti di varia natura (membranofoni, aerofoni, idiofoni, cordofoni e a percussione).

 

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 1Gli innumerevoli viaggi all’estero, la ricerca puntigliosa e puntuale con la quale Claudio Criscenzo amava approcciarsi alla cultura popolare e all’arte in generale, fecero nascere in lui la voglia di trasmettere al vasto pubblico, la collezione di strumenti popolari, che gelosamente nei vari anni aveva raccolto e custodito, prefiggendosi lo scopo di diffondere alle nuove generazioni, ad adulti e bambini, il ricchissimo patrimonio etnico, musicale e culturale; in altre parole l’amore per la musica popolare siciliana e non solo.

Le varie mostre organizzate in tutto il territorio regionale siciliano, oltre all’esposizione visiva degli strumenti, prevedono spiegazioni e dimostrazioni apposite da parte di esperti musicisti, con l’intento di far appassionare l’uditore e promuovere la conoscenza tecnica e non solo di alcuni degli strumenti esposti.

È inoltre installata una postazione multimediale, accessibile a tutti i visitatori, permettendo in questo modo, agli astanti di viaggiare con la mente e con il cuore nel mondo affascinante dei suoni differenti, ma allo stesso tempo accomunati dalla sintonia ritmica della cultura musicale.

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 2Dopo la scomparsa del fondatore Claudio Criscenzo, la mostra da lui ideata viene con amore e dedizione, nonostante le tante incombenze, portata avanti magistralmente dal figlio Luca, con la collaborazione di alcuni musicisti professionisti dell’associazione culturale Gergent.

Di recente, è stata la scuola ‘G. Guarino’ e il Liceo ‘M.L.King’ di Favara che ha accolto con grande entusiasmo la mostra, riscontrando tra i ragazzi enorme fervore.

Una mostra preziosa e unica nel suo genere, composta da innumerevoli strumenti provenienti da ogni angolo della terra, che suonati hanno permesso di far sintonizzare la mente e il cuore dei ragazzi con quelli dei popoli di tutto il mondo.

La musica, che i presenti hanno avuto modo di ascoltare, anche se differente, ha alla base la stessa atavica bellezza e bisogno primitivo di collegarsi al primo “sentire” dell’uomo.

Dall’altra parte, la lingua, come la musica e la cultura non conoscono confini; anzi sono proprio questi ad essere frantumati e trasformati in sentimenti univoci e unilaterali.

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 3Pertanto poco importa, se gli strumenti in questione siano di origine europea piuttosto che africana o asiatica, tutti suonano e intonano la stessa melodia, ovvero quella della musica popolare, etnica, folk.

La mostra oltre a vantare con orgoglio la “collezione Criscenzo” conserva in principio questo scopo; far avvicinare il più possibile, le nuove generazioni e non solo, alla cultura musicale popolare, portatrice della linfa vitale necessaria per i suoni e le melodie del nostro futuro. La musica col suo linguaggio universale, ha la capacità di unire le anime all’unisono, perché la musica con la sua genuina potenza è in grado, più di ogni altra forma espressiva, di superare ogni limite imposto dalle società odierne collegandosi al mondo dei riti e dei canti popolari, prendendo le distanze da ogni genere di consumismo e ideologia di mercato, principale causa di distruzione delle primordiali tradizioni.

Come ha scritto Angelo Vita “Psicopedagogista e docente di storia e filosofia”

mentre Luca ed Angelo erano intenti a farci conoscere con suoni e parole gli strumenti provenienti da ogni parte del mondo, ci hanno permesso di guardare oltre, di ascoltare altro, di trasferirci altrove… in quel mondo in cui la vita è ancora scandita dai suoni tribali fatti di ritmo, di passione e di tanta voglia di vivere la vita nel rispetto assoluto delle a/ritmie che segnano l’esistenza di ciò che solo noi siamo ogni qualvolta lo percepiamo.

Condividi:

Lupulù: Il ballo dei pastori

gruppo folkloristico gergent che balla il lupulùI pastori, in Sicilia, sono stati sempre oggetto di un’innumerevole serie di raffigurazioni simboliche; coinvolti nella maggior parte dei casi come protagonisti di vicende mitologiche e leggendarie.

 

Con Teocrito, poeta della scuola alessandrina (310-250 a.C.), originario di Siracusa, nacque, com’è noto, il genere poetico-bucolico.

 

Nei suoi Idilli, epigrammi e carmi, rappresentò i pastori, i bovari e i mandriani della sua patria, la Sicilia.

In realtà il genere bucolico, vantava un’origine ben più antica, in quanto già il poeta Stesicoro, tre secoli prima, aveva narrato in un canto corale la storia del mitico Dafni.

Questi, pastore siciliano, figlio di Ermes e di una ninfa, nato in un bosco di alloro e allevato dalle Muse, istruito nel suono della zampogna dal dio Pan, si guadagnò coi canti bucolici e con la sua bellezza il cuore delle ninfe e delle altre divinità agresti, ma per non aver tenuto fede all’amore giurato alla ninfa Naide, fu poi accecato dagli dèi.

Non trovando più conforto nel suono e nella poesia, Dafni si uccise gettandosi da una rupe; il padre Ermes lo accolse in cielo e da allora fu venerato come divinità dei pastori.

Lo stesso Polifemo, il più celebre dei Ciclopi, figlio di Poseidone e della ninfa Toosa, appare essere un pastore: egli dimora infatti in una caverna nell’isola dei Ciclopi (la Sicilia), in cui alleva i suoi armenti.

Anche lo stratagemma escogitato da Ulisse per uscire dalla spelonca della quale il ciclope sorveglia l’ingresso, ostruito da un enorme macigno, volge a proprio vantaggio l’attività pastorale di Polifemo: presi, senza far rumore, i più grossi montoni e legatili con vimini, tre per tre, l’eroe fa aggrappare alle lane del ventre di quello di mezzo ciascuno dei suoi compagni e i Greci possono così salvarsi uscendo al mattino nascosti sotto le pance villose degli arieti.

Fu però a partire da Teocrito che si gettarono le basi di un vero e proprio modello poetico, da cui poi si alimenteranno nel corso dei secoli i titoli pastorali nobilitati nelle diverse espressioni d’arte (letteratura, pittura, musica), ad incominciare da Virgilio con le Bucoliche.

L’opera del Siracusano, al di la dell’indubbia valenza letteraria, ci consente di scoprire uno “sguardo etnografico” dell’opera.

 

E così, dai testi poetici ecco riemergere, il livello più arcaico della condizione di vita pastorale siciliana, dunque, il paesaggio naturale delle origini e, assieme ad esso, forme di cultura materiale ed immateriale, incredibilmente e sostanzialmente replicate, da padre in figlio, nei secoli, integre ed eguali a se stesse fino ai giorni nostri.

Un patrimonio culturale di assoluto interesse, dunque, quello pastorale siciliano, che è sia di natura tangibile ma anche di natura intangibile.

Più specificamente, si tratta, di un repertorio oggettuale, funzionale e legato ai bisogni quotidiani della pratica pastorale.

A dare ulteriore credibilità a questa tesi, le tracce di antica memoria rituale e cerimoniale, che è possibile scorgere, più in particolare, nei manufatti lignei (bastoni, collari, cucchiai, etc) e negli aerofoni pastorali (flauti, ance e zampogne).

Questo ricco strumentario, rimanda per affinità stilistiche e performative alle antiche culture del Mediterraneo, a quella cicladica, minoica e micenea, e naturalmente alla “dominante greca”.

Sul tema delle leggende, si può far riferimento alle innumerevoli credenze sulle trovature, o tesori nascosti, oltremodo diffusi nel folklore siciliano, la cui origine e pressoché unicamente pastorale.

Per quanto attiene infine gli eventi rituali, basterà qui menzionare le sacre rappresentazioni legate al tema della Natività, in cui i pastori giocano un ruolo fondamentale, l’annunciazione alle genti della venuta del Salvatore.

Secondo quanto apprendiamo dalla raccolta “Usi e costumi” di Giuseppe Pitrè, l’indumento più semplice, in assoluto, era quello dei pastori, indossato durante la pioggia o in caso di cattivo tempo, quando erano intenti a guardare i greggi.

Ci dice sempre G. Pitrè, che era composto da una giubba “giubbini” e dai calzoni “vrachi” formati con pelli di capra. Di pelle d’animale erano poi rivestiti anche i piedi, da questo dipende il nome delle calzature: scarpe di pilu.

Composte da un pezzo di cuoio ripiegato in punta e fermato da piccole corregge al collo del piede, rimanendo scoperto il dorso.

Questa forma di calzature era molto adoperata sia dai pastori che dai contadini.

Affascinato da questo antico mondo, l’allora presidente Claudio Criscenzo ideò una danza che ritraesse appunto quell’affascinante e remota atmosfera, quanto presente e mai tramontata realtà agreste.

Il “Lupulù” o “Jolla di picurara” è infatti, un’antichissima danza di pecorai, originaria delle campagne, tra Favara e Racalmuto, che grazie alla ricerca e allo studio, egli seppe recuperare e fare propria. Il ballo chiamato anche “ballo dei bastoni”, vuole rappresentare l’ancestrale mondo del territorio agrigentino, legato alle antiche tradizioni agresti e sopravvissuto fino alla metà del ‘900.

Attraverso le svariate figure coreografiche viene raccontata la figura dei pastori e soprattutto la loro forza e possanza fisica.

 

Quando la musica inizia ad assumere il movimento di una tarantella molto lenta, il ballerino/pastore chiama a raccolta gli altri pastori/ballerini, iniziando così ad eseguire insieme al bastone, elemento fondamentale del ballo, una serie di scene che, attraverso le predominante figura del cerchio, raccontano con maestria il “Lupulù”, quale espressione viva e tangibile di un mondo che speriamo non tramonti mai.

 

Questo antico ballo veniva svolto dai pecorai per propiziarsi il volere degli dei, affinché il lavoro fosse redditizio e non troppo faticoso.

Ad un certo punto, il suono del tamburo insieme a quello del friscaletto, della chitarra e della fisarmonica, lasciano spazio al ritmo incessante e martellante del bastone che, prima lentamente e poi sempre più veloce, diventa il vero protagonista sulla scena.

Irrompono l’impeto e il vigore dell’uomo “pastore” che, per ottenere il predominio sull’altro, inizia a litigare, attaccando e difendendosi dal suo omonimo con l’ausilio del bastone.

Inizia così una personale lotta con ciascuno dei pecorai, soltanto alla fine dei duelli, verrà riconosciuto il potere ad uno solo che prenderà così il sopravvento ristabilendo l’ordine generale tra i suoi compagni.

La danza è, se vogliamo, atipica rispetto ad altre della tradizione agrigentina, giacché viene eseguita dai soli ballerini e non dalle donne, che difatti non sono mai presenti sulla scena.

 

Come si evince dal nome del ballo o ancora dall’uso spropositato che se ne fa, elemento predominante è sicuramente il bastone, che viene mostrato con fierezza dai ballerini/pecorai, i quali con mimica grottesca e pesanti movenze lo utilizzano per divertirsi e litigare tra di loro nelle ore di riposo.

Ricordiamo infine che per il pastore, il bastone “u vastuni” era, ed è tutt’ora: compagno, arma di difesa e attrezzo da lavoro.

Condividi:

Il Val D’Akragas ed il Folklore Agrigentino

gruppo val d'akragas in costume tipico siciliano

La storia della Festa del Mandorlo in Fiore non può prescindere dalla nascita e dallo sviluppo del Val d’Akragas, un gruppo che è il simbolo del folklore agrigentino.

 

D’altronde, la storia di una città si racconta attraverso tanti strumenti e tra questi il folklore assume un aspetto fondamentale.

 

Negli anni ’50 si forma ad Agrigento una grande tradizione di musicalità e di canto collettivo, che da cultura popolare individuale diventa canto di gruppo, musica da eseguire in duo e in trio e poi in gruppo con l’utilizzo di chitarra, mandolino, fisarmonica e violino; una musica folk che diventa folklore di straordinaria bellezza.

Proprio in questa atmosfera nasce il gruppo di folklore Val d’Akragas, che impersona sin da subito il folklore agrigentino e rappresenta il riscatto dell’anima popolare della città perché porta al successo, con il suo canto, il suo ballo e la sua musica, la cultura popolare fino a quel momento subalterna, isolata in un angolo e considerata espressione minore di sentimenti e di passioni, di intensità e di sottili malinconie.

Il gruppo è inizialmente formato da trenta giovani che in costumi coloratissimi e popolarescamente sfarzosi girano la Sicilia, l’Italia, l’Europa e il mondo intero, raccontando la cultura e la storia di un’altra isola, che non è più quella della miseria e dell’emigrazione, ma è quella di una terra che lavora operosamente, che sa soffrire, ma sa anche gioire, che sa meditare, ma sa anche scatenarsi in tarantelle vorticose simbolo dell’entusiasmo del vivere, del coinvolgere, dell’amore che si rinnova per la propria terra, le proprie origini e il proprio popolo.

 

E l’anima popolare pulsa in diverse componenti: vibra perché ha dentro il vigore del canto, la ritmicità della danza, il desiderio di vivere insieme, di superare i tabù sociali di uomini da una parte e donne dall’altra, o ancora il rito del ballo “uomini con uomini, femmine con femmine”.

 

Dunque il gruppo folcloristico Val d’Akragas ha avuto anche il grande merito di avvicinare ragazzi e ragazze, smontare certi pregiudizi sociali che oggi non esistono più; in questo senso fu un gruppo d’avanguardia.

 

Il gruppo ha da subito riscosso grande successo e uno dei motivi è stato sicuramente l’impegno nella ricerca sempre attenta delle fonti musicali a cui attingere e della proposta scenica sempre spettacolarizzata che ha mantenuto un elevato indice di rispetto per le tradizioni.

Così le generazioni più mature hanno trovato nella musicalità del Val d’Akragas tutte le atmosfere delle tradizioni popolari e le generazioni più giovani ne apprezzano la capacità di arrangiamento scenico.

I balli della tradizione, mazurke, polke, valzer, tarantelle, trovano nelle fantasiose coreografie il segno di un passato mai tramontato: gli intrecci dei passi, le sfide tra uomini e donne, il gioco a contrasto della quadriglia, i ritmi dei pescatori, le iterazioni nella danza di San Calò, con l’andare e il correre con il Santo che traballa, la tradizione delle romanze d’amore e dei giochi fanciulleschi, riflettono un mondo agrigentino straordinario che rivive con tutte le sue sfaccettature e con un linguaggio corporeo sempre chiaro anche ai popoli più lontani.

Il Val d’Akragas ha dentro la storia di tante edizioni del Mandorlo in Fiore e, soprattutto, la storia di una città con le sue virtù, le sue aspirazioni, le sue incantevoli presenze monumentali e le sue diversificate culture: greca, romana, bizantina, araba, normanna, chiaramontana, spagnola, risorgimentale, ottocentesca.

 

È riuscito nell’arduo compito di proporre queste tradizioni con correttezza poiché alla base c’è sempre una ricerca attenta e consapevole delle fonti a cui ricorre, fonti che vengono tradotte in azione scenica corale e coreografica.

 

Ma il gruppo folcloristico ha soprattutto l’importante merito di avere sviluppato una grande capacità di aggregazione di giovani, una profonda coscienza collettiva e un forte senso di appartenenza.

Condividi:

Le Tradizioni Popolari Ed Il Mondo Giovanile

gruppo folkloristico ospite del festival i bambini del mondo

gruppo folkloristico gergent davanti il tempio della concordiaLa Sicilia terra d’amuri e di speranza disperata, di travagghiu.

Ricca con i suoi colori, i suoi profumi ingenti di atavica bellezza: il pane cunzatu; i purcciddati freschi che profumano di arancia; i mastazzola che sanno del vino primitivo della prima annata; i filari di nero d’avola scuro come il sangue che scorre dentro alle vene, fuoco che arde; gli ulivi e la loro maestosità, possanza che sovrasta l’anima; le distese bionde di grano che riflettono al firmamento.

 

E poi, lui: il mare. Una distesa infinita di blu cobalto che intreccia il suo raccontarsi a quello del sole che lo sovrasta e lo riscalda perpetuamente, non conoscendo fine questo immenso calore.

 

Terra di tradizioni sacre e profane, e di uno allegro folklore annunziatore alle genti: «l’unione dei popoli è vicina , l’incontro dei cuori stranieri sotto ai piedi magnificenti della concordia è prossimo».

 

Agrigento e la sua inconciliabile anima: Uno, nessuno, centomila, desideri, speranze, sognante tristezza di essere e apparire.

 

Ma proprio l’ inconciliabilità dell’essere la rendono unica, luogo privilegiato alle moltitudini di genti: greci, romani, arabi, normanni, Akragas e poi Agrigentum e ancora Girgenti e poi Agrigento.

 

Quotidianamente siamo sopraffatti dal caos movimentato di notizie che freneticamente ci soggiungono da ogni angolo della terra, siamo sempre stanchi e desiderosi di un desiderio già tramontato; dimenticando quali sono i veri valori della vita, quali i principi fondanti e portanti della nostra esistenza.

 

gruppo folkloristico gergent davanti il tempio della concordiaSembra proprio che le tradizioni popolari, di lontano e suggestivo splendore, abbiano lasciato questa terra, l’abbiano privata del suo capo lasciandola in balìa del progresso, arrampicatore sociale e manovratore delle menti umane.

Soprattutto il mondo giovanile, primo alleato dei social network, di internet, conosce realmente le risposte ad alcune domande?

Il perché alcune tradizioni e usanze, vengano portate avanti da anni e di anno in anno?

Ecco allora uno dei motivi chiave, che hanno condotto il presidente del gruppo folkloristico Gergent, Claudio Criscenzo, a maturare l’idea che anche i più giovani, anzi soprattutto loro, dovevano caricarsi sulle spalle il peso prezioso delle arti, dei riti, dei mestieri, degli usi e dei costumi del popolo siciliano e nella fattispecie agrigentino, facendolo proprio e quale primo insegnamento da trasmettere alle successive generazioni.

Nel 2001, con la dedizione e la caparbietà che lo contraddistinguevano, insieme al sostegno giovane e appassionato del figlio Luca; Criscenzo, creò una seconda unità all’interno dell’associazione culturale, ovvero quella giovanile; formata da bambini di diversa età, compresa tra i 5 e i 15 anni.

La sezione giovanile vuole essere una vera e propria fucina di folklore e di tradizioni popolari per i bambini e gli adolescenti: futuro del dì venturo. La parola folklore, deriva dal riuscito accostamento di due termini inglesi: “folk”, che significa popolo, e “lore” che invece indica il sapere, il complesso di tradizioni o di notizie, di credenze che fanno parte del patrimonio culturale di una data nazione.

Per diffondere e mantenere vive le tradizioni, è bene inculcarle, prima di tutto, nei cuori delle menti più giovani, affinché queste rivivano nei secoli avvenire.

gruppo folkloristico gergentSenza i bambini e senza i giovani dall’altra parte non avremo modo di pensare e di sperare in un domani migliore e pregno della nostra primitiva, ancestrale, cultura popolare.

Il folklore è l’anima pulsante di un popolo, che attraverso le sue manifestazioni sacre e profane, i suoi riti e le sue feste, sa ripercorrere la storia e coglierla nella sua fervida vitalità.

Noi siamo parte integrante di un tutto che c’è stato trasmesso e che abbiamo ereditato, noi gente umile (dal lat. humĭlis, der. di humus ‘terra’) che ha fatto e fa della terra il pane quotidiano, siamo portati a vivere certe tradizioni, poiché parte essenziale di quel patrimonio etico, morale, culturale ricevuto dai nostri avi: tesoro di vita che deve essere tutelato e trasmesso ai posteri.

E chi meglio dei bambini può essere la fonte da cui attingere nuova linfa vitale, i bambini di ogni grado e ordine di grandezza che sanno guardare alla bellezza con gli occhi di chi ancora sa sognare e sperare.

Approcciarsi a questo mondo così lontano e “tradizionale” sta diventando sempre più difficoltoso e problematico.

Oggi si tende ad avere ed a cercare altro, piuttosto che approcciarsi al sapere di una vecchia canzone popolare, di un ballo o di una festa tradizionale.

La sezione giovanile del gruppo folklorico Gergent, vuole appunto trasmettere questi valori; con tutti i sacrifici, gli impegni, le fatiche che ne derivano.

Fare del gruppo unione e solidarietà, amicizia e fratellanza, laboratorio attivo di folklore, dove solo la passione, la semplicità, l’umiltà, il sapere popolare prendano il sopravvento.

Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Austria, Calabria, Spagna e Grecia sono solamente alcune delle mete visitate in questi anni ed in cui la sezione giovanile ha sempre dato prova di ottima competenza, lasciando impresse nei cuori della gente, l’allegria del folklore agrigentino.

I giovani le nuove menti del futuro, i nani sulle spalle dei giganti, che vestendosi delle antiche tradizioni instaurano un connubio perfetto tra passato e futuro.

La consapevolezza della loro potenzialità, a salvaguarda di un patrimonio immateriale quale le tradizioni popolari, portarono l’allora presidente del gruppo Gergent, Claudio Criscenzo, con la coadiuvazione di Giovanni Di Maida, oggi presidente onorario della manifestazione, all’ideazione di un festival internazionale di bambini nella sua amata Agrigento, dando così ancor più spazio alle nuove leve.

Il “festival internazionale i bambini del mondo” giunto oramai alla sua 18^ edizione, coniuga perfettamente il folklore con la promozione umana e sociale, ponendosi quale obiettivo la promozione dei valori della pace e della fratellanza.

La manifestazione che è solita aprire la festa del mandorlo in fiore, nel corso delle varie manifestazioni ha ottenuto e raggiunto unanimi consensi, divenendo a tutti gli effetti parte integrante e fondante della kermesse agrigentina.

Dopo il riconoscimento dell’Unicef che l’ha nominata «Ambasciatrice di pace nel mondo», ha anche conseguito, per la seconda volta consecutiva, quello dell’Unesco, in particolare della commissione nazionale italiana.

Insigne riconoscimento dunque al festival che oggi vanta di essere unico per fascino e bravura dei gruppi partecipanti provenienti da ogni angolo della terra. Quest’anno il festival internazionale, promosso dall’Aifa, dall’ente parco Valle dei Templi, dal comune di Agrigento e patrocinato da Unesco e Unicef , accoglierà ben otto gruppi internazionali, provenienti dalla Calmucchia, dalla Costarica, dall’India, dal Kazakistan, dalla Lituania, dalla Russia e dalla Slovacchia.

La manifestazione prenderà il via il 2 Marzo e si concluderà il 7 Marzo.

Credere fortemente nelle proprie tradizioni, nei valori del folklore, portarle avanti, significa credere nel passato, interpretare adeguatamente il presente, costruire prudentemente il futuro.

Troppo spesso dimentichiamo la grande eredità che abbiamo ricevuto e la grande responsabilità di trasmetterla ai posteri.

Alla bellezza non c’è e non ci sarà mai fine, dobbiamo solamente imparare a riscoprirla ed a riviverla; dall’altra parte: «Al cor gentil rempaira sempre amore».

Condividi:

Il fondatore: Claudio Criscenzo

il fondatore claudio criscenzo

claudio criscenzo conferenza stampaClaudio Criscenzo, classe 1952, fu promotore e cultore della tradizione siciliana e in particolare di quella agrigentina, prematuramente scomparso nel gennaio del 2011, fu ideatore e organizzatore del festival “I Bambini del mondo”, manifestazione che da 18 anni a questa parte precede l’inizio della Festa del Mandorlo in Fiore ad Agrigento.

Claudio Criscenzo fu un volto noto in città grazie alla perdurante attività nel campo artistico, in generale, e folklorico in particolare, iniziata sin dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso.

 

La sua carriera artistica ebbe inizio all’età di 16 anni, esordendo come ballerino nel gruppo folklorico “Val d’Akragas” con il quale partecipò alla Festa del Mandorlo in Fiore del 1969, vincendo il Tempio d’oro.

 

Inoltre sempre con il Val d’Akragas effettuò diverse tournée in Europa.

 

Il suo amore per l’arte in generale lo condussero anche per altre strade, difatti nel 1973 recitò come attore protagonista con la compagnia “R. POLITI” la commedia “Liolà”, che fu riproposta in numerose repliche. Successivamente, nel 1976, entrò a far parte del gruppo folklorico “Valle dei Templi”, del quale dopo poco tempo divenne coreografo.

claudio criscenzo in costume tradizionale sicilianoCon il gruppo “Valle dei Templi” partecipò a numerosi festival internazionali, quali quelli di Aviano, Tarcento, Trento, S.Pellegrino, Bergamo, Friburgo (Svizzera), Malta, Billingham (Inghilterra), Frankfurt (Germania).

La passione per il ballo e l’impegno costante in campo artistico culturale lo indussero ad intraprendere sempre nuove esperienze; così alla fine degli anni ’70 entrò a far parte della compagnia del Prof. P. Flora, come ballerino, cantante e coreografo nella commedia musicale “Nela e Sahabin” partecipando a numerose tournée e prime nazionali.

Partecipò altresì alle trasmissioni televisive “Domenica in” e “Permette cavallo” con Renato Rascel.

Con la stessa compagnia effettuò degli spettacoli in Tunisia e Polonia.

Nel 1985 venne chiamato a dirigere artisticamente il gruppo folklorico “Città di Favara” con il quale prese parte a degli spettacoli nella ex Jugoslavia, ed a numerose tournée, tra le quali si ricordano quelle in Extremadura (Spagna), Avignone (Francia), Aviano.

Con lo stesso gruppo partecipò a diverse edizioni della Festa del Mandorlo in Fiore.

Criscenzo, inoltre, intorno alla fine degli anni ottanta partecipò come coreografo ad una tournée in Canada con il gruppo “I cumpari ragunisi”.

Sempre nelle vesti di coreografo collaborò con altri gruppi siciliani, ed in particolare con quello di Alcamo, di Godrano e con il “Gazzarra” di Caltavuturo (Palermo) del quale curò l’aspetto artistico e nello specifico coreografico.

Sempre negli anni ottanta, Claudio Criscenzo, divenne un associato dell’Unione Folklorica italiana: struttura costituita ufficialmente nel febbraio 1984 da undici Gruppi italiani di lontana tradizione folklorica con l’intento e il desiderio di valorizzare e mantenere le tradizioni popolari nel campo della musica, del canto, dei costumi e della danza, presentando la ricchezza incommensurabile delle varie regioni italiane. Grande amante della vita e delle tradizioni popolari, Claudio Criscenzo, vi aderì senza remora, divenendone dirigente nazionale.

 

Nel 1989 assunse la carica di direttore artistico del gruppo “La Vallata” con il quale partecipò nel 1990 al Festival di Ozdere (Turchia) e nel 1991 al festival di Pitesti (Romania), riscuotendo grande successo di pubblico. Sempre nel 1989, organizzò, curandone la direzione artistica, la Sagra dell’uva italia di Canicattì (Agrigento).

Nel Marzo del 1990, nelle vesti di dirigente nazionale dell’UFI organizzò ad Agrigento il Congresso Nazionale UFI ed un convegno dal tema: “Tradizioni popolari, evoluzione senza frontiere”.

Dopo vari anni di impegno personale in eventi culturali, manifestazioni e vari progetti, finalmente nel 1992 venne fondata da Criscenzo “l’Associazione Culturale Gergent”, attualmente guidata dal figlio Luca, in qualità di presidente e coreografo, e consigliere nazionale UFI.

 

Con il gruppo folklorico “Gergent” Claudio Criscenzo partecipò nelle vesti di direttore artistico e presidente a numerosi festival internazionali: Marconia (Basilicata), Mosca (Russia), Nuova Rhuda (Polonia), Gjion (Spagna), Izmir (Turchia), Evros (Grecia), Udine (Friuli), Pontelandolfo (Campania), Katowice (Polonia), San Luis Potosi (Messico), Castrovillari (Calabria), Santarem (Portogallo), Suessen (Germania), Lublin (Polonia), Macerata (Italia), Sardegna (Italia), Sharm El-Sheik (Egitto), Udine-Pordenone-Aviano-Lignano sabbia d’oro-Trieste (Italia), Klagenfurt (Austria), Hammamet (Tunisia), Syzran (Russia), San Francisco (California).

Grazie ad una grandissima passione per la musica popolare Criscenzo ideò ed organizzò molte manifestazioni culturali e musicali. Nel 1993 fondò il gruppo di musica popolare “Siciliaecantus”.

claudio criscenzo che suona la chitarraNel 1994, ricevette la regia degli spettacoli interni alla Festa del mandorlo in fiore, organizzando, con l’incarico di direttore artistico la I^ “Rassegna della musica popolare”.

Sempre nel 1994 partecipò come musicista alla “Borsa Internazionale del turismo” (Milano) e, come ospite, con il proprio gruppo musicale “Siciliaecantus” alla trasmissione televisiva di CANALE 5 “Ciao Italia”.

Claudio Criscenzo, uomo di grandissimo spessore e di eclettica levatura, nello stesso anno organizzò la “Mostra dello strumento musicale popolare” ed un convegno dal tema “Lo strumento musicale popolare- metodi di studio e di ricerca”.

Nell’ottobre del 1995 organizzò in veste di direttore artistico la IIa “Rassegna di musica popolare”.

Nel 1997 fondò il gruppo “ANTARES Latino” curandone la produzione e la direzione artistica e l’immagine nonché le tournée estive in tutto il meridione d’Italia fino al 2002.

Dal 1997 iniziò altresì ad occuparsi dell’immagine di gruppi e musicisti della realtà siciliana dedicandosi alla loro promozione. Nello stesso anno collaborò alla realizzazione della manifestazione “Scuola, Musica e….Dintorni” con Mogol e Lavezzi.

Nel 2000 organizzò diverse manifestazioni di grande valenza culturale come “Poesia & Musica” e “Mostra dell’Ambiente Sottomarino”.

Per circa 15 anni inoltre, Claudio Criscenzo collaborò alla realizzazione della rassegna dello strumento musicale popolare di Licata.

Fortemente appassionato, iniziò a collezionare diversi strumenti popolari; così nella sua collezione personale si contano oggi più di 400 strumenti musicali popolari provenienti da tutte le parti del mondo.

Attraverso detta collezione venne realizzata la “Mostra dello strumento musicale popolare”, ancora oggi itinerante in tutto il territorio regionale siciliano. Il fascino incondizionato per la musica, lo spinsero così a produrre due lavori discografici dai titoli: “Siciliaecantus” e “‘Nndonia – Canti e Musiche di Sicilia”.

Le varie esperienze in ambito folklorico lo portarono, nel 2001, ad intraprendere un percorso dedicato ai bambini, ampliando in questo modo l’associazione culturale Gergent, con la sezione giovanile compresa tra i 5 e 15 anni.

Criscenzo capì, dunque, giocando in anticipo, che i bambini erano non solo il patrimonio culturale del futuro che bisognava tutelare, ma allo stesso tempo, scrigno perfetto in cui conservare le tradizioni del nostro passato.

Nacque in tal modo, insieme all’amico Giovanni Di Maida, oggi presidente onorario della manifestazione, l’idea di creare un festival internazionale di folklore giovanile, inserito all’interno della kermesse agrigentina del mandorlo in fiore; con al centro appunto i bambini, perfetti testimoni e messaggeri di pace e fratellanza nel modo.

Un festival che potesse quindi coniugare il folklore con la promozione umana e sociale, per la difesa dei diritti dei minori.

Oggi, il festival internazionale “I bambini del mondo”, giunto alla sua diciottesima edizione, ha ottenuto, dopo quello dell’Unicef che li ha nominati «Ambasciatori di pace nel mondo», il riconoscimento dell’Unesco.

La prematura scomparsa di Claudio Criscenzo, il papà dei bambini del mondo, ha indubbiamente lasciato un peso che non è di poco conto; la sua partecipazione attiva in città, il suo amore per la cultura popolare, la musica e il folklore lasciano in noi un grande vuoto ma allo stesso tempo un grande insegnamento: bisogna vivere la vita e tutte le sue amabili sfaccettature con passione e determinazione.

Condividi:

La Mandorla: Miti, Leggende, Magia E Folklore

Temple_of_Hera_-_Agrigento_-_Italy_2015

La mandorla è il simbolo della nascita e della resurrezione: infatti essendo il mandorlo il primo albero a sbocciare in primavera simboleggia la rinascita della natura, il suo rinnovarsi dopo la morte invernale.

 

Essa è molto ricca di significati esoterici, è il segreto che si svela rompendo il guscio, che protegge il seme.

 

Essendo nascosta, rappresenta l’essenza spirituale, la saggezza, la sapienza.

Infatti in alcuni riti sacri si prescrive di nutrirsene.

Avendo una forma ovoidale, essa è collegata alla matrice, come simbolo di fecondità e di nascita primordiale dell’universo e, in alcune civiltà, alla Magna Mater (Grande Madre).

Rappresenta un spazio chiuso, protetto, e delimita lo spazio sacro separandolo dallo spazio profano: protettrice che separa il puro, l’originario, dall’impuro. La vescica piscis, che richiama la mandorla, era un simbolo già noto in India, nell’antica Mesopotamia, in Africa e nelle civiltà asiatiche, ma si diffuse ampiamente soprattutto nel contesto cristiano, mediante l’associazione della figura del pesce a Cristo.

Per tutti questi significati simbolici la mandorla è stata collegata a numerosi miti e leggende, ha. diffuso parole sacre, cultura e folclore, che affondano le radici in tempi lontani nell’area geografica a clima mediterraneo in cui la pianta è coltivata.

 

Tempio di Era ad Agrigento
Tempio di Era ad Agrigento / Di © José Luiz Bernardes Ribeiro /, CC BY-SA 4.0

Essa è in relazione con particolari divinità antiche, per esempio, nel mito di Attis, la madre Nana concepisce il dio mettendosi in seno una mandorla; nella mitologia greca, essa è il simbolo di Era; noto è anche il mito di Acamante e Fillide.

La fioritura precoce sul ramo di mandorlo appare come un segnale di rinascita al profeta Geremia, nella Bibbia; nell’Esodo, Dio indica a Mosè di prenderne i fiori a modello per forgiare l’oro con il martello in modo da ottenere l’antico candelabro ebraico (Menorah) a sette bracci.

Il profeta Geremia - Michelangelo, volta della Cappella Sistina
Il profeta Geremia - Michelangelo, volta della Cappella Sistina

Nel testo biblico dell’Ecclesiaste, i fiori di mandorlo sono l’emblema di quanto la vita scorra velocemente fino all’invecchiamento: entro poco più di una settimana mutano di tonalità dal bianco rosato al bianco candido prima di cadere dai rami.

Antichi riti di magia venivano praticati durante il Medioevo, in cui la mandorla era uno degli ingredienti usati per fantomatici filtri d’amore e persino per pozioni afrodisiache; inoltre era frequente ridurla in poltiglia e mescolarla con olii profumati, tanto da essere utilizzata come base per creme da applicare sul corpo di giovani fanciulle in età da marito, ciò perché i fiori di mandorlo sbocciavano nella stagione considerata propizia per i fidanzamenti.

 

Anche nel folklore i fiori di mandorlo sono importanti.

 

Alle tradizioni folcloristiche della Spagna appartiene una leggenda araba secondo la quale il califfo musulmano Abd al-Rahman III fece piantare dei mandorli sulle colline attorno al suo palazzo nel villaggio di Madinat-al-Zahra, vicino Cordova.

Voleva restituire il sorriso all’amata moglie Azahara, che soffriva di nostalgia, alla vista dei fiori bianchi assomiglianti al candido manto di neve della Sierra Nevada, che lei un tempo poteva ammirare dalla propria abitazione a Granada.

 

In Germania vi sono numerose iniziative dirette a promuovere la pianta di mandorlo.

 

Nella regione del Palatinato è famosissima la “Sagra dei Fiori di Mandorlo” (Gimmeldingen Mandelblütenfest), organizzata a ricorrenza annuale dal 1935, tra la metà di marzo e l’inizio di aprile, nel villaggio di Gimmeldingen, dove i visitatori passeggiano lungo un percorso dedicato alle mandorle, gustando biscotti a forma di questo fiore decorato con glassa rosa; vi è pure l’elezione della “Reginetta dei fiori di mandorlo” dell’anno.

 

Nel sud del Marocco viene organizzato ogni anno nel mese di febbraio il “Festival del Fiore di Mandorlo”, in cui musicisti, ballerini e cantastorie allietano per l’occasione il villaggio di Tafraoute, tra le montagne Anti-Atlas, al centro della Valle Ameln, famosa per la produzione di mandorle.

Nel nord dell’India, da prima del XIV secolo, tra marzo e aprile, una folla di persone arrivava a Srinagar da tutta la valle del Kashmir per vedere lo spettacolo del giardino storico “Badamwari” (Alcova di mandorle) con i fiori di mandorlo sbocciati appena scomparso il gelo dell’inverno; per l’occasione venivano anche organizzati spettacoli culturali e festival.

Condividi:

Che la festa abbia inizio: aspetti psicologici e antropologici

 

Nicht das ist das Kunststück, ein Fest zu veranstalten, sondern solche zu finden, welche sich an ihm erfreuen.“

(“Il trucco non è organizzare una festa, ma trovare quelli che si divertono.”)

Nietzsche

“Fèsta s. f. [lat. fĕsta, propr. femm. dell’agg. festus «festivo, solenne», che si ritiene connesso con feria, feriae «feria»]. – 1. a. Giorno destinato a una solennità, al culto religioso, a celebrazioni patriottiche o d’altro genere: istituire, stabilire, abolire una f.; f. religiose, civili, nazionali, di famiglia; f. popolari, di carattere religioso o civile, celebrate in forme tradizionali con luminarie, fuochi artificiali, concerti bandistici, balli pubblici, largo consumo di vivande caratteristiche, ecc.;[…]”

In questo modo il vocabolario Treccani definisce il termine “festa”.

Secondo Freud, nella sua opera “Totem e Tabù” (1913), la “festa è un eccesso permesso, anzi offerto, l’infrazione solenne di un divieto”.

E’ come se attraverso la festa possano essere contenute per quel periodo tutte le pulsioni incontrollabili dell’uomo, che contrariamente comporterebbero un’impossibilità a vivere in società (“L’uomo ha barattato un parte di sé per poter vivere in società”).

Se vogliamo possiamo dire una sublimazione, da Freud definita così: “la pulsione sessuale mette enormi quantità di forze a disposizione del lavoro di incivilimento e ciò a causa della sua particolare qualità assai spiccata di spostare la sua meta senza nessuna essenziale diminuzione dell’intensità.

Chiamiamo facoltà di sublimazione questa proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine alla prima.” Nella definizione di Freud è possibile identificare da un lato l’aspetto del “piacere” della festa e dall’altro quello dell’“evasione” (“l’infrazione solenne di un divieto”).

Le feste hanno da sempre avuto un ruolo fondamentale nella vita degli uomini, da sempre. La festa, di qualsiasi tipologia essa sia, ha il ruolo fondamentale di aggregare, e di creare condivisione di vissuti.

C’è una parte privata e una pubblica nel vissuto della festa.

Ognuno di noi percepisce la festa con uno stato d’animo unico e singolare, potremmo dire una percezione intima, che si incontra con i vissuti percepiti dall’Altro.

E’ in questo incontrarsi, in questo “tra” che nasce la magia di fare festa insieme.

Nella festa entrano in gioco diverse variabili, prima fra tutte quella temporale.

La festa è tale all’interno di precise coordinate spazio-temporali.

Il tempo scandisce la festa e la rende unica.

L’aspetto temporale fa sì che in ognuno nasca il desiderio e l’attesa della festa.

Ma c’è anche un aspetto temporale legato al passato e al presente.

La festa crea un ponte tra il nostro passato e il presente, comportando la possibilità di un radicamento.

A tal proposito non si può non considerare l’aspetto dell’appartenenza.

La festa è pervasa dal senso di appartenenza e di condivisione.

Non occorre spiegare all’altro l’emozione e i vissuti legati alla festa, l’altro sa, in quanto ne fa parte anche lui.

E in questo senso di appartenenza che ci si perde sapendo di non essere soli.

Come è stato riconosciuto anche dall’antropologia, la festa è ricerca anche della felicità.

Sin dalla preparazione, nell’attesa dei giorni precedenti la festa, tutto ruota intorno alla felicità.

Si tratta della ricerca di felicità per quel giorno, o pochi giorni, in cui per un attimo vengono messe via le brutte sensazioni, i vissuti tristi.

Allora…buona festa a tutti!!!

Condividi:

Storia del gruppo folkloristico Gergent

gruppo folkloristico agrigentino gergent

Il gruppo folkloristico Gergent nasce ad Agrigento nel 1992 per un’idea di Claudio Criscenzo, grande cultore e promotore della tradizione culturale siciliana.

 

foto di gruppo gergentL’Associazione culturale “Gergent” vuole far rivivere ed allo stesso tempo divulgare, soprattutto alle generazioni future, il patrimonio inestimabile della tradizione popolare siciliana ed agrigentina in particolare.

Il gruppo è formato da circa 100 elementi, diviso in due sezioni: bambini e adulti, che attraverso balli, canti e coreografie inscenano la sognante tristezza, nonché la gioia di vivere di cantare e ballare del popolo agrigentino.

 

I canti e le musiche nascono da una attenta ed approfondita ricerca, essi infatti rappresentano i momenti particolari della giornata del contadino, del carrettiere, del pescatore in momenti di lavoro, di gioco, di scherno, d’amore.

 

Tra le coreografie ricordiamo in particolare la mietitura: un canto di lavoro dedito a far rivivere l’antico mestiere della raccolta e mietitura delle spighe di frumento effettuata dagli uomini con le falci ed i forconi di legno per separare la pula dal grano, e dalle donne che si occupavano di separare il frumento con i “crivi” (in italiano setacci).

 

Il contadino siciliano che spesso viveva in condizioni di miseria e di duro lavoro, non disprezzava mai quello che faceva, l’amore per la terra non veniva mai meno e con sacrificio e impegno costante essa rifioriva ad ogni stagione.

 

Accanto alla mietitura, il gruppo folkloristico Gergent è solito mettere in scena altre coreografie quali: la Vinnigna, il Piscaturi, il Canto dell’alba, per citarne solamente alcune.

Tutte le coreografie e i balli, curati da Luca Criscenzo, conservano un elemento comune, rappresentano infatti i tipici mestieri di un tempo oramai remoto, nonchè le preghiere e le esortazioni con le quali i lavoratori iniziavano la giornata.

Ciò si ritrova ad esempio nel “Canto dell’alba” che veniva effettuato dai contadini al primo levar del sole per augurarsi un buon raccolto: “focu ca vinci lu scuru e porta alla luci svigliannu la vita chistu è u miraculu ca fa u Signuri già spunta l’alba”.

Con la Vinnigna si inscena la vendemmia, effettuata dagli uomini ma anche dalle donne che con le loro ceste di canna palustre, i tipici “panara”, raccolgono l’uva precedentemente recisa dagli uomini.

Particolarità di questa coreografia è l’allegria, sentimento che scaturiva nei vendemmiatori con cui erano soliti effettuare e soprattutto concludere questo lavoro, che veniva spesso suggellato da una danza finale tra uomini e donne.

La vinnigna, infatti, diventava un luogo di incontro e un’occasione di gioviale convivialità che portava uomini e donne a riscoprire e incontrare l’amore:

E arrivata la vinnigna,
la staciuni di l’amuri,
mentri cogghiemu la vigna,
ntà u me cori nasci un ciuri […] (testo proposto dal gruppo Gergent per la coreografia della “Vinnigna”).

Oltre alle tipiche rappresentazioni sceniche del mondo rurale siciliano e in particolare agrigentino, il gruppo è solito allietare gli spettatori con i balli tipici della tradizione popolare, come ad esempio: la “Tarantella”, danza tipica presente nella tradizione di tutto il meridione d’Italia, famosa per il brio e l’allegria che riesce a trasmettere; la “Matroccola” danza eseguita con uno strumento idiofono detto crotalo, in siciliano “matroccola”, da cui prende nome il ballo e che si ispira alla festa di San Calogero di Agrigento dove i portatori con grandi fazzoletti legati alla testa dimostrano, tra il sacro ed il profano, la loro devozione al Santo nero; il “Fazzulettu” danza che descrive un’antica leggenda siciliana, nella quale si narra che i giovani del tempo per indurre le ragazze al matrimonio toglievano loro i fazzoletti dalle teste e se le fanciulle erano consenzienti rimanevano col capo scoperto, altrimenti si facevano dare il fazzoletto da una donna sposata; il “Tamburello” danza particolarmente ritmata che esalta questo particolare strumento, utilizzato durante il ballo dalle donne e dagli uomini, il cui suono, secondo Al-Farabi, fondatore e teorico della cultura musicale araba, segue nella scala dei valori la cadenza della musica ed il battito delle mani, mentre precede quello del tamburo; il “Lupulù” o “Jolla di picurara” antichissima danza di pecorai, originaria delle campagne tra Favara e Racalmuto.

 

In questo ballo l’elemento predominante è il bastone mostrato con fierezza dai pecorai che con mimica grottesca e pesanti movenze giocano con il bastone, che per loro è compagno, arma di difesa e attrezzo da lavoro; la “Controdanza” ballo tipico, su passo cadenzato di origine francese che veniva effettuato durante il carnevale, le feste di paese e principalmente nelle feste nuziali.

 

E’ in particolare, una danza comandata dove i partecipanti eseguono delle figurazioni.

 

bambini ballo tradizionale gergentMolte le presenze del gruppo agrigentino alla Sagra del Mandorlo in Fiore, che ha sempre accolto e sostenuto come grande evento di visibilità e non solo per la propria attività folklorica.

 

Da diciotto anni, inoltre, il gruppo Gergent ne è anche parte attiva in veste di organizzatore, insieme all’AIFA, dell’oramai consolidato festival di apertura alla Sagra del mandorlo: il “Festival internazionale i bambini del mondo”, giunto quest’anno alla sua diciottesima edizione.

 

Il gruppo folkloristico Gergent inoltre ha partecipato ad importanti manifestazioni e festival internazionali, dando sempre prova di grandi qualità interpretative e riscuotendo ovunque unanimi consensi di critica e pubblico, ponendosi di diritto quale messaggero della tradizione popolare siciliana e agrigentina nel modo. Per citarne alcune: Marconia (Basilicata), Mosca (Russia), Nuova Rhuda (Polonia), Gjion (Spagna), Izmir (Turchia), Evros (Grecia), Udine (Friuli), Pontelandolfo (Campania), Katowice (Polonia), San Luis Potosi (Messico), Castrovillari (Calabria), Santarem (Portogallo), Suessen (Germania), Lublin (Polonia), Macerata (Italia), Sardegna (Italia), Sharm El-Sheik (Egitto), Udine-Pordenone-Aviano-Lignano sabbia d’oro-Trieste (Italia), Klagenfurt (Austria), Hammamet (Tunisia), Syzran (Russia), San Francisco (California) Purwakarta (Indonesia), Faro (Portogallo), Kullu Manali (India), ecc..

Tante, quindi, le esperienze all’estero del gruppo agrigentino; in proposito è bello ricordarne qualcuna insieme al Presidente e coreografo del gruppo Luca Criscenzo.

 

Ciao Luca quale tra le ultime tournée all’estero del gruppo Gergent ti è rimasta particolarmente impressa nel cuore e nella mente?

Tra le tante gite all’estero sicuramente una tra le più affascinanti e avventurose è stata quella in India. La nostra partecipazione al festival internazionale “Kullu Dussehra”, che si è svolto dall’11 al 17 ottobre 2016, rientra sicuramente tra le esperienze più belle vissute negli ultimi anni con il gruppo Gergent.

Kullu Manali, un piccolo paesino rurale nella regione dell’Himachal Pradesh nell’altopiano dell’Himalaya, ci ha stupito per le sue particolari usanze e non solo, la comunità locale ci ha riservato un’accoglienza unica e inaspettata.

La gente ha preso parte volentieri alle nostre esibizioni, regalandoci non poche emozioni.

Hanno apprezzato le musiche ma anche le danze tipiche della nostra tradizione siciliana ed in particolare agrigentina, peculiari, come si sa, per l’allegria e la vivacità che sanno trasmettere.

Non sono poi mancati i momenti di svago, come le diverse visite ai templi induisti, buddhisti, la passeggiata al parco naturale, la partecipazione alla festa religiosa correlata al festival e anche alla breve ma intensa escursione nella capitale, Nuova Delhi.

È stata un’esperienza fantastica, che ci ha arricchiti molto non solo al livello artistico.

Dopo l’esperienza del gruppo in Indonesia nel 2015, aver ancora una volta preso parte come gruppo agrigentino, ad un importante festival in Asia, ci rende orgogliosi dell’attività che svolgiamo e portiamo avanti con passione e dedizione.

Condividi:

La cuccia, una tradizione millenaria tra Sicilia e Grecia

kokkeia panspermiaLa tradizione cristiana, ricordata oggi, 13 dicembre, giorno dedicato alla protomartire siracusana Santa Lucia e celebrato con un piatto a base di chicchi di frumento, conditi con zucchero, latte o ricotta e cioccolato, in realtà ha profonde radici nella religiosità magnogreca.

l termini kokkeion e panspermia indicavano nella religione dell’antica Grecia e quindi anche per gli antichi abitanti della nostra isola, delle pietanze a base di vari cereali e semi, condite con frutta e mosto.

 

Questi piatti potevano anche essere salati e a volte costituivano delle vere zuppe, altamente nutrienti, consumate in onore di particolari divinità: Demetra, la dea delle messi, la figlia Persefone, associata con la madre al melograno,
Dioniso dio del vino e Hermes, protettore dei viandanti.

 

Il grano, la cui spiga recisa simboleggia la morte e i cui semi sono fonte di vita, protagonista di queste pietanze, era caro sia a Demetra che a Dioniso, la cui nascita era celebrata proprio con la recisione di una spiga.

 

kokkeiaGrosse pentole (chytra) venivano lasciate agli angoli delle strade nei giorni in cui si credeva che i defunti tornassero sulla terra e servivano anche per rifocillare i viaggiatori.

 

Questa usanza passerà dai greci ai romani, per poi arrivare ai monaci cristiani che distribuivano pentole di cibarie ai poveri.

Morte e resurrezione si celebrano quindi oggi, gustosamente, da millenni.
Buona kokkeia/cuccia a tutti!

 

Alessandra Conti – Progetto Archeo Cuisine, Associazione Culturale The Phoenicians, Agrigento

Condividi: