Un nuovo e interessante Paper sulla Festa su Academia.edu

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Ho recentemente ricevuto nella mia casella di posta un avviso da Academia.edu riguardante un nuovo studio scientifico riguardante la bella Festa del Mandorlo in Fiore; ovviamente mi sono fiondato a leggerlo per vedere se potesse interessare i lettori del sito.

Ritengo che la risposta possa essere affermativa e, così, sono qui a parlarvene 🙂 .

Iniziamo con i riferimenti biliografici: potrete trovare il paper in oggetto a questo indirizzo (previa registrazione gratuita al sito); potrete anche scaricarlo, come ho fatto io, per leggerlo con calma.

Il titolo dello studio è: Dal Folklore all’Arte. “Impressioni sulla Sagra del Mandorlo in fiore” nella pittura del Novecento ed è stato realizzato dal Prof. Giuseppe Cipolla.

Nello studio si analizza, con buon dovizia di particolari, la storia di un premio internazionale di pittura agrigentino che ci permette di apprezzare a tutt’oggi alcune opere che ritraggono la Festa del Mandorlo in Fiore.

Premetto che io sono esclusivamente un appassionato della cultura siciliana (e, quindi, non ho le competenze culturali necessarie ad una lettura approfondita delle opere) ma il vedere le riproduzioni delle opere mi ha fatto un enorme piacere, specie considerando che sono ben due anni che la Festa non si svolge in forma compiuta per ben note cause.

È vietata la riproduzione delle opere ma vi consiglio sicuramente di scaricare il paper e guardare coi vostri stessi occhi l’opera di Gianbecchina dedicata a quella che allora era la Sagra del Mandorlo in Fiore (è stata cambiata la denominazione alcuni anni fa) o quella di Fritz Itzinger: entrambe raccontano (ognuna a modo loro) uno scorcio di vita che è almeno ancora parzialmente vivo qui ad Agrigento.

Nello studio sono presenti anche raffigurazioni di altre opere che non sono da meno; ma le due sopracitate sono quelle che ho apprezzato di più.

Sono giunto al termine e posso solo raccomandarvi di scaricare il paper e di leggerlo da voi.

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Festa del Mandorlo in Fiore 2020: tra tradizione e novità

sfilata in via atenea

Sta per tornare uno degli appuntamenti più caratteristici della città di Agrigento: la festa del mandorlo in fiore, celebrazione della primavera e della fratellanza tra i popoli.

La festa del mandorlo in fiore 2020 si terrà dal 28 febbraio all’8 marzo.

Quest’anno l’evento sarà ancora più carico di significato: gli episodi di razzismo e intolleranza dovrebbero essere entrati a far parte del passato, ma purtroppo così non è; nel mondo spirano venti di guerra, tanto che quest’anno si è aperto con la minaccia di una terza guerra mondiale che rimbalzava tra titoli di giornale, hashtag su Twitter e post su Facebook.

In questo contesto il messaggio di solidarietà, pace e fratellanza promosso dall’evento è ancora più importante.

Ancora una volta le strade di Agrigento si animeranno dei gruppi folkloristici provenienti da ogni parte del mondo e dalle bande musicali, che daranno vita alla festa con le loro musiche tradizionali, la coloreranno con i colori dei loro costumi tipici e la arricchiranno con le danze dei loro paesi, così come il mondo è arricchito dalle diverse tradizioni.

Il fascino del festival del mandorlo in fiore, per gli agrigentini, è sempre stato quello di portare scorci di mondo fin dentro casa, lasciando una scia di musiche e colori di paesi che magari ci si ripromette un giorno di visitare, di lasciare impressi nella memoria sorrisi di popoli che alcuni non avrebbero altrimenti conosciuto.

Anche quest’anno sono tanti gli appuntamenti e gli eventi che animeranno le strade della città nel corso del Mandorlo in fiore

Nel mandorlo in fiore 2020 non mancheranno i classici momenti più emozionanti della festa, come l’accensione del tripode dell’amicizia e la fiaccolata per le vie della città, oltre alla sfilata collettiva a conclusione del festival , con la presenza dei carretti siciliani, e la grande festa alla valle dei Templi, patrimonio dell’Unesco, davanti al tempio della Concordia, nel corso della quale verrà assegnato il tempio d’oro al gruppo folk vincitore, insieme ad altri riconoscimenti.

tempio della concordia con mandorli fioriti

Il 2020 sarà l’anno del 75° Mandorlo in fiore, del 65° Festival Internazionale del Folklore e del 20° Festival internazionale “I bambini del mondo”. Inoltre, proprio quest’anno si celebrano i 2600 anni dalla fondazione di quella che il poeta greco Pindaro definì “la più bella città dei mortali”.


Il mandorlo in fiore è, come abbiamo accennato, celebrazione della bellezza e della diversità del mondo. Rappresenta anche, in questa cornice internazionale, una festa in onore della città di Agrigento: turisti da ogni parte del mondo, ma anche cittadini che la vivono ogni giorno, possono scoprire o riscoprire angoli di bellezza non ancora conosciuti o dati per scontati, come la distesa di mandorli fioriti nella valle, l’eleganza maestosa del teatro Pirandello, la ricchezza e delizia della cucina tipica.

Anche quest’anno, infatti, sarà presente la Mandorlara, l’evento che mette al centro la mandorla e tutte le gustose ricette che con essa è possibile preparare: il Palacongressi ospiterà cooking show di chef rinomati che offriranno assaggi di piatti come il cous-cous dolce con mandorle e arancia, e tanti altri. La partnership con vari ristoranti di Agrigento si rinnoverà anche stavolta e permetterà di poter degustare particolari piatti pregiati a base di mandorla a pranzo o a cena.

Chi ama fotografare sarà poi contento di sapere che anche in questa edizione non manca il concorso fotografico che premierà gli scatti che meglio hanno saputo cogliere lo spirito e l’emozione della festa del mandorlo in fiore. A raccontare le tradizioni della Sicilia non mancheranno i gruppi folk del festival regionale del folklore.

gruppo val d'akragas in costume tipico siciliano


Il 75° festival del Mandorlo in fiore si arricchisce, inoltre, della mostra iconografica che racconta la storia della kermesse tra passato e presente, attingendo all’archivio fotografico storico della sagra del mandorlo in fiore, messo a disposizione dalle autorità del libero consorzio comunale di Agrigento. Si chiamerà Il mandorlo in fiore agli albori, immagini e parole, e avrà luogo presso lo Spazio Temenos.

Piazza San Francesco diventerà teatro di scambio culturale con la Sala Bar dell’amicizia, allestita all’aperto, con lo scopo di offrire un punto di incontro ai cittadini e agli ospiti che possa anche valorizzare quest’angolo della città, dal momento che la festa del mandorlo si propone di coinvolgere tutta la città, e non solo. Ci saranno eventi esterni che, con le sfilate dei vari gruppi folkloristici, porteranno la magia simboleggiata dal mandorlo fiorito anche per le vie di San Leone, Villaseta, Villaggio Mosè, Fontanelle, Villaggio Peruzzo, Giardina Gallotti, Montaperto, Monserrato, il quartiere Stadio Esseneto, oltre al viale della Vittoria, Piazza Cavour, Villa Bonfiglio, il centro di Girgenti, e ovviamente la Valle dei Templi, con il tempio di Giunone, Decumano, la via Sacra, il tempio della Concordia. Le location utilizzate comprendono il Teatro Pirandello, il Palacongressi, l’Auditorium Livatino, il museo archeologico Pietro Griffo, il palazzo ex collegio dei Filippini.

Come nelle passate edizioni, anche in questa la tradizione verrà rispettata e le scuole di ogni ordine e grado saranno coinvolte nella magia della festa della primavera e della pace, attraverso incontri e iniziative: ci sarà spazio per il divertimento e l’arte offerti dai gruppi folk, ma anche per l’approfondimento e la sensibilizzazione su temi importanti e sempre attuali come la pace e l’incontro con le diverse culture del mondo.

Una preziosa occasione per i bambini e i ragazzi, che avranno modo di confrontarsi con coetanei di diverse nazionalità e di scoprire il fascino delle tradizioni e delle culture differenti dalla nostra. Un bagaglio culturale davvero prezioso che è indispensabile portare sempre con sé anche da adulti. La festa del mandorlo in fiore offre anche a bambini e adolescenti, ma non solo, che per i più svariati motivi non possono viaggiare, un’occasione davvero unica e vibrante per confrontarsi con persone appartenenti a culture diverse e per rendersi conto con meraviglia della sfavillante e ampia diversità che offre il mondo. Una diversità che è ricchezza e declinazione di bellezza e non motivo di diffidenza, di arroccamento sulle proprie posizioni o di scontro.

Per i più piccoli, e non solo, si terranno spettacoli del teatro dell’ opera dei pupi, dichiarata patrimonio immateriale dell’Unesco, per la sua creatività e il peso della tradizione che si porta dietro.

Proprio i beni immateriali dell’Unesco hanno un posto speciale in questa edizione del festival del mandorlo in fiore, con vari eventi specificatamente dedicati.
Il patrimonio immateriale fa riferimento a tutto ciò che è di importanza primaria nel mantenimento della diversità culturale in un contesto in cui la globalizzazione la fa da padrone, e nell’incoraggiare il dialogo tra i popoli e il rispetto delle diversità. L’Unesco si è proposto di tutelare questo, nelle sue varie declinazioni, così come il patrimonio materiale.

Il mondo si riunisce ad Agrigento per celebrare la bellezza delle tradizioni e la fratellanza tra i popoli

Quest’anno i gruppi folk partecipanti al mandorlo in fiore provengono da ben quattro continenti.

Oltre ai gruppi folkloristici agrigentini, le nazioni partecipanti sono, in ordine alfabetico:

  • Algeria
  • Brasile
  • Bulgaria
  • Cina
  • Colombia
  • Corea
  • Croazia
  • Egitto
  • Emirati Arabi Uniti
  • Francia
  • Georgia
  • Grecia
  • Honduras
  • Indonesia
  • Italia
  • Lettonia
  • Macedonia
  • Messico
  • Romania
  • Russia
  • San Salvador
  • Senegal
  • Serbia
  • Spagna
  • Turchia
  • Ucraina
  • Ungheria
  • USA

Per il festival internazionale “I bambini del mondo”, le nazioni partecipanti sono:

  • Costarica
  • India
  • Indonesia
  • Macedonia
  • Messico
  • Polonia
  • Rep. Adigeya
  • Russia
  • Taiwan
  • Ucraina
  • Italia (Agrigento) Oratorio Don Guanella; I piccoli del Val d’Akragas; Gergent; I fiori del mandorlo

Le bande musicali presenti saranno:

  • Banda Intercomunale di Agrigento “V. Bellini”
  • Fanfara dei bersaglieri di Palermo “Col. Giacomo Alfano”
  • Corpo bandistico città di Canicattini Bagni
  • Banda Civica Filarmonica di Modica

Spettacolo e grandi nomi ad Agrigento per il mandorlo in fiore daranno un tocco in più alla festa

Madrina dell’evento per il mandorlo 2020 sarà Anna Falchi, attrice, conduttrice televisiva ed ex modella, che sarà tra i conduttori dello spettacolo della sagra del mandorlo in fiore insieme a Sasà Salvaggio e al duo de I soldi spicci. Anna Falchi ha partecipato a programmi televisivi come Miss Italia, il Festival di Sanremo, Domenica In, Ballando con le stelle, e ha recitato al cinema e in teatro. Sasà Salvaggio è comico, attore teatrale, conduttore televisivo, speaker e imitatore. Porterà la sua verve comica che tutti ben conosciamo sul palco del festival del mandorlo in fiore, insieme a I Soldi Spicci, che di sicuro saranno un richiamo, in particolare, per i più giovani. Il duo comico, formato da Annandrea Vitrano e Claudio Casisa, è diventato famoso con i suoi video comici su YouTube. In breve tempo la loro popolarità è cresciuta, tanto da arrivare ad essere protagonisti sul grande schermo, per la prima volta con il film La fuitina sbagliata, del 2018, diretto da Mimmo Esposito. Non è la loro prima volta ad Agrigento in occasione della festa del mandorlo: erano già stati protagonisti di uno spettacolo nell’edizione 2016.

Nella nostra pagina Facebook, che trovate a questo link, è possibile visionare il programma dettagliato del mandorlo 2020, con tutti gli eventi e gli appuntamenti che avranno luogo dal 28 febbraio all’8 marzo, oltre alla conferenza stampa dell’evento, che si è tenuta il 17 gennaio presso il palazzo dei Filippini in via Atenea.

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Festa del Mandorlo in Fiore 2019: si lavora al programma, prevista la partecipazione attiva dei gruppi locali

i costumi femminili del gruppo folkloristico gergent

Siamo ancora a Novembre, ma già trapelano le prime notizie certe riguardanti l’edizione 2019 della Festa del Mandorlo in Fiore, la kermesse più attesa dagli agrigentini.

La settantaquattresima edizione avrà inizio il prossimo 2° marzo e si svolgerà fino al 10 marzo. Si lavora ancora al programma, che però è quasi pronto e che prevede già un punto fisso e insindacabile: la partecipazione attiva alla kermesse dei gruppi folkloristici locali.

 

Dopo le polemiche dell’anno scorso, che avevano visto in una prima fase alcuni gruppi locali tradizionalmente legati alla kermesse fare un passo indietro, tanto da rendere noto un comunicato stampa in base al quale professavano di non volere partecipare all’evento per via del poco spazio concesso loro nell’ambito della manifestazione, per questa nuova edizione tutto sembra essere già stato messo in chiaro. Da poco, infatti, è già stato reso noto dal Parco Archeologico della Valle dei Templi, che si occupa dell’organizzazione dell’evento, che i gruppi folkloristici agrigentini sono i padroni di casa e dunque svolgeranno una parte attiva nell’edizione 2019. Per questo è stata inviata una nota ufficiale di invito a tutti i gruppi folkloristici locali, in cui viene sottolineato il loro importante ruolo nell’ambito della manifestazione, che quest’anno, peraltro, è inserita nel Registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana.

Il loro ruolo consisterà non solo nella partecipazione alle sfilate e nell’esibizione in performance tradizionali, ma anche nel fare da padrini ai tanti ospiti noti che saranno presenti durante l’evento. Nello specifico dovranno farsi portavoce di un messaggio di arte, cultura e tradizione, esprimendo il grande valore storico della kermesse. Inoltre, in misura maggiore rispetto al passato, potranno presiedere a particolari eventi collaterali di festa, formazione e aggregazione, divulgando il loro grande patrimonio musicale, coreutico e canoro. Previsto, inoltre, il rafforzamento dei momenti destinati alle loro esibizioni.

Sempre nella stessa nota, il Direttore del Parco Archeologico Giuseppe Parello ha espresso l’augurio che tutti i gruppi folkloristici locali possano dare l’adesione al programma della Festa del Mandorlo in Fiore 2019, in modo da arricchire la kermesse restituendole il suo naturale patrimonio tradizionale da sempre tutelato dai gruppi agrigentini.

Intanto si continua a lavorare al programma, che prevede la tradizionale apertura della kermesse con il Festival Bambini del Mondo, previsto da giorno 1 marzo fino al 5 marzo, e il proseguo con il Festival Internazionale del Folklore, che si aprirà sempre il 5 marzo con la consueta Accensione del Tripode e terminerà domenica 10 marzo con lo spettacolo finale e la premiazione.

Anche quest’anno il Palacongressi Empedocle sarà il cuore pulsante della manifestazione, nella struttura del Villaggio Mosè si terranno infatti le esibizioni dei gruppi e i Pomeriggi del Mandorlo con l’accoglienza dei gruppi, i laboratori creativi per bambini, i laboratori interculturali, i laboratori del gusto, le mostre e i concerti. Previsti anche momenti di spettacolo e laboratori per ragazzi al Teatro della Posta Vecchia e a Girgenti con l’iniziativa denominata Pomeriggi giurgintani che include focus su danze, laboratori e attività volte alla riscoperta del patrimonio culturale promosso dalla kermesse.

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Palmarum Insula: ISOLA DELLE PALME

gruppo folkloristico palmarum insula

L’Associazione Culturale Folk-Popolare “Palmarum Insula” nasce alla fine del 2017 grazie alla creatività e alla passione del dott. Giuseppe Mazziotta, supportato dal quartetto folk “I Cumpari” (costituito quest’ultimo nel 1996 per iniziativa di quattro amatori del folklore siciliano).

Il quartetto folk I CUMPARI nasce nel 1996 quasi per gioco in seguito alla richiesta di un noto ristorante di Augusta (SR), di allietare i clienti durante il pranzo domenicale tipico siciliano. Dal successo ottenuto fin dalle prime apparizioni si decise quindi di portare avanti l’iniziativa, divulgando e mantenendo inalterata nel tempo l’arte folklorica e popolare siciliana.

Gruppo Folkloristico I CumpariI Cumpari sono rigorosamente impegnati nella continua ricerca ed elaborazione di testi e brani, che costituiscono il patrimonio della nostra memoria, avendo come principale obiettivo quello di tramandarli inalterati nei testi e nelle musiche, riproponendo inoltre gli stessi usi e costumi di un tempo ormai passato ma sempre tanto cari alla nostra gente.

Le musiche e i canti vengono curati personalmente dal dottor Giuseppe Mazziotta e dal maestro Vincenzo Di Maria, i quali volutamente, per rimanere fedeli il più possibile alla tradizione folklorica e popolare, hanno fatto interpretare i canti a un cantante con una voce non studiata per il canto, ma intonata e che volutamente conservi delle naturali imperfezioni e dissonanze tipiche siciliane: Salvatore Gallo. La ritmica è affidata a Giovanni Coco.

I Cumpari sono stati tra i primi a riproporre le tipiche serenate del passato, commissionate dal fidanzato per la propria donna e svolte sotto i balconi come tradizione vuole la sera prima del matrimonio.

 

Il quartetto vanta un bagaglio di esperienza inestimabile, che mette a disposizione di chi abbia il piacere di condividere momenti dedicati alla tradizione tipica siciliana mantenendo forti elementi quali l’amicizia e la passione per un genere musicale di altissima levatura culturale: il folklore.

Ritornando ai Palmarum Insula, la loro denominazione rappresenta l’antico nome latino della città di Augusta, in passato conosciuta come “L’isola delle Palme”, per la sua fiorente vegetazione di arecaceae.

Con la costituzione dell’Associazione Culturale Folk-Popolare Palmarum Insula, si concretizza l’esigenza di mantenere inalterata nel tempo e promuovere, soprattutto nel mondo dei giovani, la tradizione musicale folk-popolare siciliana!

 

gruppo palmarum insulaAd oggi il gruppo vanta circa quaranta elementi, numero destinato a crescere in virtù delle continue richieste di adesione.

I costumi sono stati realizzati rispettando i colori folkloristici siciliani ma con, altresì, attenti richiami alla tradizione tipica augustana e che prevede lunghe gonne di vario colore, che si rifanno ai tipici colori dei nostri agrumi: rosso, giallo, verde, blu, ricoperte da bianchi grembiuli orlati da qualitativi merletti e per finire comode camicie chiare arricchite anch’esse da merletti, sulle quali venivano posti corpetti in velluto nero.

Il gruppo si avvale di strumenti tipici siciliani quali la fisarmonica, “ u friscalettu”, il flauto, la chitarra, “u tambureddu”, le percussioni e “a zotta”. Non possono di certo mancare altri due strumenti musicali: “a quartara” ed il “marranzanu”.

“A Quartara” ha delle antiche origini contadine infatti non è altro che un recipiente in terracotta di medie dimensioni e fornito di due grossi manici nella parte superiore; è usato da millenni in Sicilia per trasportare e conservare, mantenendo una fresca temperatura, acqua o vino, hanno diverse dimensioni e tendenzialmente quelle di forma più piccola venivano utilizzate con più facilità durante i trasporti per tenere e rinfrescare l’acqua da bere.

Le quartare vengono oggi acquistate a scopo decorativo dell’arredamento di rustici e ville di campagna. Ma oggi se ne fa un uso particolare, infatti, in occasioni di feste popolari venivano e vengono usate come strumento musicale: grazie alla loro particolare forma panciuta e che funge da cassa di risonanza può facilmente assimilarsi a uno strumento musicale a fiato dal caratteristico suono, pertanto soffiando dentro, con una particolare inclinazione, il vaso emette un suono cupo molto simile a quello di un basso tuba e che consente di essere utilizzato come accompagnamento musicale nella musica folklorica siciliana.

Il “Marranzano” invece, detto anche scacciapensieri, è uno strumento musicale idiofono costruito da una struttura di metallo ripiegata su sé stessa a forma di ferro di cavallo. Nel dialetto siciliano, conosciuto anche come mariolu, marauni , marranzanu (o marranzano) ‘ngannaladruni (“inganna ladroni”), perché era uno strumento suonato da gente che veniva appositamente collocata ai confini dei possedimenti affinchè durante la notte lo suonassero; l’origine del suono veniva distorta non permettendo di capire da dove potesse arrivare e quindi, avendo la funzione di segnalatore per allontanare eventuali malintenzionati li dissuadeva dal compiere dei furti. Da qui divenne purtroppo, il poi più noto segnale in ambito mafioso, proprio perché in molti film, avente come trama la mafia, veniva adoperato per avvisare l’imminenza di un pericolo o di un regolamento di conti. Tale strumento è spesso utilizzato nella musica siciliana per accompagnare canzoni e tarantelle.

L’Associazione accoglie in seno persone altamente selezionate dotate di spirito di gruppo e, soprattutto, di passione per la tradizione folk-popolare siciliana. L’obiettivo prefissato dall’Associazione è quello di rivisitare, riscoprire e salvaguardare il vasto patrimonio culturale folk-popolare siciliano attraverso la rappresentazione inalterata di musica e balli, brani cantati e recitati, nonché usi e costumi appartenenti alla tradizione siciliana. In particolare si fa riferimento alla scuola folkloristica Catanese e popolare Siracusana, dalle quali il dottor Mazziotta e il maestro Di Maria hanno attinto nel tempo, accrescendo la loro esperienza e bagaglio culturale, onorandosi di aver lavorato a fianco di esponenti della canzone siciliana quali, fra tutti, Felice Ventura, Riccardo Maglia, Lucia Siringo, Tano Fiorito e altri ancora.

Il gruppo, inoltre, fa riferimento e ne trae notevole ispirazione da colei che da sempre è stata designata come la capostipite della musica popolare siciliana: Rosa Balistreri. I Palmarum Insula sono soliti, durante i loro spettacoli, renderle omaggio riproponendo alcuni dei suoi brani più celebri, oltre ad un considerevole repertorio musicale dove vengono eseguiti brani più complessi ed elaborati che richiedono il supporto di più voci.

L’Associazione non ha scopo di lucro. Grande interesse è rivolto ai valori sociali solidaristici che rivisitano non solo la vecchia tradizione musicale ma anche quella degli usi, dei costumi e della morale. Ed è proprio a questa morale che i “Palmarum Insula” si ispirano, devolvendo di volta in volta al prossimo più svantaggiato e meritevole il proprio ricavato.

L’Associazione si trova anche coinvolta nelle varie occasioni e feste organizzate durante gli anni scolastici dagli Istituti Scolastici che decidono di presentare e rappresentare delle performance tipicamente siciliane svolte dai propri alunni. Questi ultimi infatti vengono accompagnati e supportati durante l’esecuzione dal gruppo “Palmarum Insula” , così sostenendo e tramandando le antiche tradizioni della nostra Sicilia e gli antichi valori di un tempo a studenti di diversa età. Grazie al corpo docenti che con passione e volontà accompagnano gli alunni in questa bellissima iniziativa, ai Dirigenti Scolastici, e soprattutto ai bambini, protagonisti della scena, i quali si rivelano sempre davvero strepitosi ed entusiasti, rendendo queste giornate allegre e piene di gioia!

I Palmarum Insula, spesso, aggiungono al loro repertorio la presentazione dei famosi Pupi Siciliani, sono marionette alte circa un metro, riccamente decorate, che rievocano le epiche gesta cavalleresche di paladini.
Aspetto della tradizione e della cultura siciliana, che ha l’odore della cultura di un tempo, di uomini antichi e anche di tradizioni, con colori e storie che possono affascinare i più anziani ma evidentemente non solo loro, infatti la passione e la tradizione coinvolge anche i più giovani e i più piccini, che desiderano immergersi nel folklore siciliano.

Considerevole è l’importanza di non far perdere il nostro dialetto e le nostre radici quali origine della nostra identità, così come è fondamentale e di notevole importanza la figura dei nonni, che possiedono un bagaglio di vita quotidiana ricchissima di esperienza, che hanno tanto da insegnarci soprattutto per tradizione orale visto che non abbiamo testi scritti che ci rimandano al passato; di fatto i racconti dei nonni sono un tesoro raro e inestimabile a cui bisognerebbe attingere, ascoltandoli, facendone tesoro e custodirli.

L’Associazione culturale folk-popolare “Palmarum Insula” di Augusta, supportati dal quartetto folk “I Cumpari”, in occasione del Natale e delle festività natalizie propone un concerto di musica, canti e poesie della tradizione natalizia siciliana nelle loro versioni originali proprio per non farne perdere valore e bellezza.

Animare ad esempio un presepe vivente con una determinato repertorio, curato nei dettagli e nei minimi particolari, risulta quasi un viaggio a ritroso nel tempo, quel tempo in cui certi valori possedevano un significato e che ad oggi risultano più labili.

Il tema portante degli spettacoli è l’Amore, il quale viene decantato con lo scopo di suscitare una serena riflessione in chi ascolta, tramite musiche e inni di lode alla nascita “dò bambineddu” e “dò presepi” e, ancora, attraverso componimenti poetici in grado di trasportare gli spettatori indietro nel tempo, al Natale vissuto dai vecchi e malinconici “pescatori”, coloro i quali incarnano pienamente il carattere triste e nostalgico dei capofamiglia costretti ad emigrare per lavoro, trascorrendo così, in solitudine e lontano dagli affetti più cari, il Santo Natale.

Esperienza sonora unica e genuina, una vera e propria finestra sul passato duro e poco agevole, che si propone di offrire spunti di riflessione sulle quali poter trovare spunti per affrontare problemi di vita quotidiana e modalità di approccio.

Il gruppo esegue brani notissimi e dolcemente commoventi della tradizione natalizia siciliana come “A la notti di Natali”, “ E Nasciu”, “Sutta ‘nperi di nucidda” e si cimenta nella recitazione della preghiera del “Padre nostro”, tutta in dialetto siciliano, con grande gentilezza ed eleganza.
I Palmarum Insula, quando possibile, in riferimento ai propri ideali solidaristici, propongono in ogni concerto un’offerta da destinare al prossimo più svantaggiato.

I concerti solitamente vengono eseguiti preferibilmente all’interno di chiese o stabili appropriati alla compostezza del repertorio e dello spettacolo in se.
In conclusione, il gruppo viene particolarmente ricercato per spettacoli di piazza, sagre, feste patronali, eventi speciali quali serenate e intrattenimenti vari.

L’intento dell’Associazione Culturale Folk-Popolare “Palmarum Insula” è quello di portare sempre alto il significato di folklore siciliano, altamente educativo per i grandi e per i bambini! Difatti oltre l’amore e la passione per l’arte folkloristica siciliana, è fondamentale lo studio e la dedizione affinché possa essere approcciato e divulgato con serietà e dignità per come tale genere musicale merita.

Viva la Sicilia, i suoi capolavori musicali e le sue tradizioni.

 

Pagina Facebook del Palmarum Insula: https://www.facebook.com/palmarum.insula/

Pagina Facebook dei Cumpari: https://www.facebook.com/icumpari/

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Scoprire Agrigento e la Festa del Mandorlo in Fiore

musica tradizionale africana

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Siete pronti allora a partire? Tra le destinazioni speciali vi è la Sicilia e Agrigento, nota come Città dei templi. Il merito è ovviamente per i numerosi templi dorici dell’antica città greca posti nella Valle dei Templi che, nel1997, è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

Qui, ogni anno, si svolge la Festa del Mandorlo in Fiore. Siamo nella città di Luigi Pirandello e la Valle dei Templi diventa certamente ancora più bella in questo periodo con musica, colori, danze e tradizioni locali. Ma di cosa si tratta? La manifestazione del Mandorlo in Fiore, che da qualche anno va in scena a marzo, è caratterizzata dalla fioritura dei mandorli della Valle dei Templi e delle zone intorno ad Agrigento. Da qui l’idea di festeggiare una sorta di anticipo della primavera con la presenza dei mandorli che simboleggiano il ritorno alla vita dopo il letargo del freddo inverno.

Nata a Naro, piccolo centro a venti chilometri da Agrigento, la Sagra del Mandorlo in Fiore fu voluta dal conte Alfonso Gaetani desideroso di far conoscere i prodotti tipici siciliani. Con il passare degli anni, questa manifestazione si è sempre svolta insieme ad altri appuntamenti come il “Festival Internazionale del Folklore”, il “Festival Internazionale dei Bambini del Mondo” e il “Corteo Storico d’Italia”.

Tutto ha inizio con l’accensione del tripode o fiaccola dell’amicizia il martedì della settimana. Il giorno seguente c’è l’appuntamento con la fiaccolata dell’amicizia. Durante l’intera settimana, inoltre, vi sono sfilate di gruppi per le vie cittadine, bande musicali e carretti siciliani. L’ultimo giorno della festa si chiude appunto con una cerimonia conclusiva nella Valle dei Templi. Non mancano delle mostre e delle degustazioni di mandorla.

Una curiosità: nel 2016, durante questo caratteristico appuntamento, un gruppo di pasticcieri ha creato la torta di frutta più lunga del mondo: ben 606 metri e quasi tre tonnellate di peso. Tra gli ingredienti utilizzati, sedici quintali di crema chantilly all’italiana, cinquemilatrecento uova; oltre 500 rettangoli di pan di Spagna, trecento chili di kiwi, sessanta cassette di arance e cinquanta chili di granella di mandorle tostate. Visto il grande successo, la torta è stata ovviamente inserita nel Guinness World Records.

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San Calogero e Girgenti: un Incontro sulla Storia del Santo Nero

foto storica festa di san calogero ad agrigento

Il rapporto tra la devozione, la festa, la memoria intorno al santo più amato dagli agrigentini, il santo nero San Calogero, e la città sarà al centro dell’incontro sul tema “San Calogero e la sua Girgenti”, che si terrà giovedì 28 giugno alle ore 18.30 nella Biblioteca comunale “La Rocca” di Agrigento .

Interverranno il Sindaco della città, Calogero Firetto, il rettore del santuario sancalogerino don Giuseppe Veneziano, Lello Casesa studioso di cultura e tradizioni popolar, lo storico Elio Di Bella.

Verranno proiettati per l’occasione scatti fotografici e video sulla festa dedicata al Santo realizzati dai fotografi Giuseppe Cacciolla e Calogero Montana Lampo.

Sarà presente la Confraternita e associazione dei portatori.

Concluderà la serata l’esibizione dei piccolo devoti del gruppo folkloristico “Val d’Akragas”.

La pasticceria Saieva e il panificio Passarello offriranno una degustazione dei loro prodotti.

L’incontro apre il ricco cartelloni di eventi che anche quest’anno caratterizzerà il festino di luglio dedicato al Santo delle Grazie.

Il tema dell’incontro mettere a fuoco le tradizioni che hanno segnato nei secoli il rapporto tra il culto sancalogerino e la Città dei Templi.

Una festa quella dedicata al santo che infatti si intreccia con la storia e la cultura della città, trovando particolare riferimento al mondo contadino che nei secoli ha manifestato con processioni offertoriali, con voti e con il caratteristico lancio del pane verso la statua nelle due processioni domenicali il suo attaccamento ai valori umani e religiosi che il culto verso San Calogero esprime.

Una serata di storia, folklore ed anche gastronomia per toccare i tanti ambiti (culturali, religiosi, sociali) investiti dall’affetto del popolo agrigentino per questo santo, di cui pure si conosce poco per la mancanza di fonti storiche sufficienti.

L’iniziativa ha il merito di voler illustrare in particolare gli sviluppi che il festino e il culto hanno avuto nei secoli ad Agrigento e non solo.

Elio Di Bella

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San Calogero, dalla Storia al Folklore: un Itinerario di Fede e Tradizione

festa di san calogero ad agrigento

Agrigento, definita dal poeta greco Pindaro come “la più bella tra le città dei mortali”, conserva oltre ai meravigliosi resti del mondo greco anche un affascinante patrimonio religioso legato ai culti cristiani, frutto di una millenaria stratificazione multiculturale che nel tempo ha visto mescolarsi le tradizioni cristiane con gli influssi provenienti dal mondo pagano.

Dunque Agrigento è stata meravigliosa protagonista nei secoli di uno straordinario melting pot culturale che ha plasmato il volto attuale della città sotto tutti i punti di vista possibili, mantenendo però sempre radicate le tradizioni religiose.

Così accade che Agrigento sia la città del “Santo Nero”, quel carismatico e miracoloso San Calogero di Girgenti che però veniva da lontano.

 

Un Santo taumaturgo che nelle immagini sacre viene rappresentato con l’aspetto rassicurante di un vecchio eremita dalla lunga barba bianca e dalla pelle scura, dall’ampio mantello sotto il quale ogni pio devoto può simbolicamente trovare rifugio.

Quant’è bello San Calò! Così pulito e rassicurante nella sua figura minuta! Quanto è amato San Calò!

Lo sanno bene gli agrigentini che per lui farebbero ogni sacrificio, ogni fioretto pur di sentirlo vicino, pur di essere accolti sotto la sua ala protettiva, sotto il suo mantello.

 

Descrivere questa comunione viscerale tra gli agrigentini e il Santo non è impresa semplice perché si tratta di una devozione forte e struggente che è palpabile tra la gente, che è facilmente manifesta anche ai turisti che ogni anno giungono in città tra la prima e la seconda domenica di luglio per assistere ai festeggiamenti in suo onore, quando sacro e profano, religione cristiana e paganesimo si mescolano fantasticamente e danno vita a quel grido gioioso che sempre emoziona: “E chiamamu a cu nn’aiuta! Evviva San Calò!” (E chiamiamo a chi ci aiuta! Evviva San Calogero!).

Tuttavia vogliamo provare a farvi immergere in questa meravigliosa atmosfera di fede e di festa e vi proponiamo un simbolico itinerario che partendo dalla storia e dal folklore si inerpica lungo i sentieri della fede e della tradizione, ripercorrendo gli elementi più significativi e le tappe fondamentali della festa del “Santo Nero”.

 

La ricostruzione storica della figura di San Calogero

Proporre una ricostruzione storica della figura di San Calogero non è semplice poiché, come spesso accade nel caso delle vite dei santi, mito e realtà si fondono in modo indissolubile, tuttavia, in questo caso, disponiamo di alcune fonti attendibili sulle quali potere fare affidamento almeno per ciò che riguarda gli aspetti principali dell’esistenza di questa figura religiosa molto carismatica.

Il Santo nacque, almeno secondo la tradizione, in Calcedonia nel 466 d.C., tuttavia a questa data talvolta se ne oppongono altre contrastanti. Il suo nome deriva dal greco e significa “buon vecchio”, un appellativo che si dava anche agli anacoreti che vivevano appartati in luoghi solitari. I suoi genitori erano cristiani e sin da piccolo anch’egli seguì gli insegnamenti di questa religione.

Così, fin da giovane, detestò tutti i piaceri mondani tanto da ritirarsi a vivere in una foresta, dove, lontano da tutti, si dedicò ad una vita in solitudine come eremita contemplando Dio, dal quale ricevette due preziosi doni: quello dei miracoli e quello della profezia. Dopo molti anni di eremitaggio fu chiamato dal vescovo di Calcedonia e fu nominato sacerdote, fu così che cominciò la sua attività di predicazione del Cristianesimo.

Dopo molti anni di attività di evangelizzazione dovette fuggire a causa delle persecuzioni che stavano facendo strage di cristiani nell’Africa Settentrionale.

Giunto in Sicilia si stabilì a Lilibeo, dove si ritirò in una grotta per poi sfidare ogni pericolo e cominciare a predicare il Cristianesimo. Infervorò i popoli con le sue opere di pietà e con i suoi prodigi, prestò cure agli ammalati avvalendosi delle acque sulfuree dell’isola e convertì molti abitanti che in lui vedevano un padre spirituale ma anche un taumaturgo.

Ormai molto vecchio, si stabilì in una grotta sul Monte Cronio a Sciacca e vi trascorse l’ultimo periodo della sua vita, cibandosi, secondo la leggenda, del latte di una cerva, la quale gli fu poi uccisa involontariamente dal cacciatore Arcadio. Sempre secondo la tradizione, morì il 18 giugno del 561 d.C., che è il giorno in cui molti celebrano la festa in suo onore. Il suo corpo venne seppellito sul Monte Cronio da Arcadio, che nel frattempo era diventato suo discepolo, in seguito, per metterlo al sicuro dalle persecuzioni dei Saraceni giunti sull’isola, fu trasferito nel Monastero di S. Filippo di Fragalà, nella diocesi di Messina.

Il legame del Santo con Agrigento nasce dal fatto che si racconta che il monaco Calogero, durante la sua attività di evangelizzazione, mentre dilagava la peste, era solito andare in giro per chiedere il pane da donare ai poveri. Le persone, temendo il contagio, lanciavano il pane al Santo direttamente dalle finestre e lui lo raccoglieva con amorevole cura per offrirlo ai bisognosi.
Calogero fu un personaggio che si caratterizzò per l’eroismo del suo sacrificio, per la sua filantropia, per la santità di vita e di costumi e fin da subito fu forte la devozione nei suoi confronti.

 

Il folklore tra fede e tradizione

La figura di questo Santo Nero, taumaturgo ed eremita, fu subito molto amata tanto che oggi in diversi luoghi della Sicilia viene venerato e portato in processione. Tra i tanti posti, oltre ad Agrigento, che lo vedono protagonista di un forte e suggestivo culto abbiamo: Naro, Porto Empedocle, Realmonte, Sciacca, Canicattì, Aragona, Santo Stefano Quisquina, Campofranco, San Salvatore di Fitalia, Frazzanò, Petralia Sottana e Aliminusa.

Ad Agrigento San Calogero viene venerato come fosse il santo patrono, che in realtà è San Gerlando.

I festeggiamenti si protraggono per otto giorni e vanno dalla prima alla seconda domenica di luglio. In questo periodo in città si respira un’aria di festa anche grazie alla presenza delle luminarie, disposte lungo le vie principali, e della fiera, con le coloratissime bancarelle in cui è possibile gustare leccornie a volontà, in particolare la cubaita di mandorle o di giuggiulena di sesamo e il torrone tradizionale, e la tipica “calia e simenza” a base di ceci e semi di zucca.

Qualche tempo prima dei festeggiamenti ufficiali è possibile assistere per la città alle esibizioni dei tammurinara di San Calò che con il ritmo incalzante dei loro tamburi inneggiano al Santo Nero.

Le loro esibizioni continuano durante i festeggiamenti raccogliendo intorno un gran numero di persone che assistono compiaciute alla performance. Già il venerdì precedente la prima domenica di festa iniziano i pellegrinaggi al Santuario e le funzioni religiose dedicate. Solitamente si tiene anche “U Venniri a Villa”, una manifestazione in cui è possibile gustare i prodotti enogastronomici tipici della zona.

Il pellegrinaggio o viaggio si compie durante tutto il periodo di festa secondo le promesse fatte da uomini e da donne che a gruppo, talvolta a ppedi scavusi cioè a piedi scalzi , si recano al santuario recitando mentalmente o oralmente le preghiere di ringraziamento o di supplica al Santo.

In passato il viaggio terminava non di rado con la lingua a strascinuni, espressione indicante il fatto che il devoto percorreva il tratto dall’entrata della chiesa fino all’altare con la lingua poggiata sul pavimento.

La domenica la festa ha inizio già con “l’alborata” ovvero lo sparo dei mortaretti. Il simulacro del Santo, una copia in vetroresina dell’originale del XVI secolo, viene portato fuori dal santuario a spalla dai portatori di San Calò, che indossano una casacca bianca e una bandana rossa, esattamente a mezzogiorno la prima domenica e alle tredici la seconda.

Il Santo Nero è accolto dagli applausi e dalle urla di gioia dei devoti in un ritmo frenetico che vede l’intensa partecipazione di tutti che, come gli stessi portatori, cercano di salire sulla vara per poterlo abbracciare e baciare e per chiedergli una grazia.

Chi vi riesce può perfino asciugare il sudore del Santo e portare con sé il fazzoletto intriso di quella benedizione che solo San Calò è in grado di dare. Morbide pagnotte, precedentemente benedette, piovono da ogni dove a simboleggiare la carità del monaco che in passato le ha raccolte per i bisognosi.

La gente comune ora le chiede a chi le ha promesse come ex voto per una grazia ricevuta e per questo non di rado rappresentano parti anatomiche collegate alle malattie.

È meraviglioso vedere tra la folla i genitori innalzare a San Calò per promessa i loro bambini che indossano le “vestine bianche”, ovvero i vestitini bianchi di buon auspicio per il loro futuro. Il simulacro viene fatto dondolare, quasi ballare, e i portatori cantano simultaneamente “Pepiti pepiti San Calò”, un’espressione che indica il movimento che si fa dondolandosi. Si aggiungono altre invocazioni al Santo: “E chiamamu a cu nn’aiuta! Evviva San Calò!

La processione, con il Santo portato a spalla dai portatori e fatto barcollare a destra e a sinistra in un arcano rituale che sprigiona grande energia vitale, prosegue per le vie cittadine: via Atenea, via Garibaldi e così fino all’Addolorata, dove alle 18.00 il simulacro viene posto sul carro trionfale.

Un tempo era in uso rifocillare i devoti con maccheroni e vino.

Alle 20:30 la processione ricomincia, seguita dalle autorità comunali e dalle confraternite di Agrigento, e attraverso le strade cittadine giunge al viale della Vittoria dove si tiene lo spettacolo pirotecnico detto “a maschiata di San Calò”.
Dopo di ciò è ormai notte e il Santo viene fatto rientrare nella sua chiesa, non prima però di essere stato nuovamente acclamato, baciato e abbracciato dai suoi devoti che mai lo abbandonano e che con mestizia si decidono a fargli varcare la soglia del santuario.

La sera della seconda domenica di luglio vede l’entrata definitiva del monaco carismatico nel suo luogo di abituale permanenza. Adesso gli agrigentini, che fino a quel momento si erano astenuti per devozione, possono finalmente andare al mare.

 

Il luogo di culto: il Santuario di San Calogero

San Calogero ha un luogo di culto tutto suo, un santuario dedicato che non può non essere meta di pellegrinaggio del devoto più fervente come del semplice turista che giunge in città. Da qui, infatti, il Santo, raffigurato in un simulacro in pietra posto nella nicchia esterna sopra il portale della facciata principale, si affaccia benevolo come a vegliare sulla città, a proteggere gli agrigentini che tanto lo amano.

La chiesa si trova in uno dei luoghi più centrali della città, sorge infatti in piazzetta San Calogero, collocata tra il viale della Vittoria e il piazzale Aldo Moro, a due passi da via Atenea e dalla stazione centrale.

L’edificio risale a un’epoca compresa tra il XIII e XIV secolo, quando la città era governata dalla famiglia Chiaramonte, e secondo la tradizione il carismatico monaco ha soggiornato proprio in quel luogo.

L’edificio ha vissuto alterne vicende. Nel 1573 fu costituita una confraternita di ottantasei cittadini, di cui solo nove ecclesiastici, che si impegnarono a far ampliare la chiesa per accogliere anche un oratorio. Nel 1598 il culto del Santo crebbe ulteriormente grazie al fatto che Papa Clemente VIII aveva approvato la celebrazione dei festeggiamenti in onore del monaco in tutta la Sicilia, da ciò anche il santuario ne trasse grande giovamento. Dopo un periodo di totale abbandono nei primi decenni del Novecento, la chiesa fu restaurata e nel 1977 fu elevata a santuario.

L’interno dell’edificio presenta una divisione in tre navate tramite una doppia fila di sei colonne corinzie. La cappella, posta al centro, ospita la nicchia dove è custodito il simulacro di San Calogero realizzato in legno e risalente al XVI secolo ed è decorata con pregevoli stucchi che riportano i simboli identificativi della vita del santo e cioè il bastone e la cerva.

Di particolare rilevanza sono i mosaici dorati e policromi raffiguranti l’Occhio Divino, il calice con l’ostia e la colomba dello spirito santo. L’altare è stato realizzato in legni pregiati con tarsie in bois de rose forse da artisti cappuccini nel XVI secolo. Infine, nella zona della sacrestia sono raccolti gli ex voto che rappresentano l’intervento miracoloso del Santo in risposta all’invocazione di aiuto dei fedeli, talvolta sono riproduzioni di parti anatomiche collegate alle malattie patite oppure si tratta di oggetti d’oro, dipinti e altro ancora.

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Le tradizioni nel mondo: diversità e uguaglianze

articolo le tradizioni popolari ed il il mondo giovanile

« Le storie antiche sono, o sembrano, arbitrarie, prive di senso, assurde, eppure a quanto pare si ritrovano in tutto il mondo. Una creazione “fantastica” nata dalla mente in determinato luogo sarebbe unica, non la ritroveremmo identica in un luogo del tutto diverso ».

(C. Lévi-Strauss)

 

Secondo Lévi-Strauss teorico dello strutturalismo, esistono “diversità” fra il racconto mitico e quello storiografico, asserendo tuttavia che in questi racconti esiste anche una sorta di “continuità”.

 

I racconti mitici che sono o appaiono racconti privi di senso e talvolta assurdi, risultano essere in effetti «sistemi chiusi» di pensiero «che possiedono identiche strutture formali di base e contenuti variabili».

 

Le tradizioni nel mondo in fondo non sono poi così differenti, mantengono infatti una stessa identica sostanza: le usanze, nella maggior parte dei casi, sono legate agli eventi religiosi, oppure ai momenti particolari della vita delle persone, come il matrimonio, la nascita o la morte.

Dunque se è la sostanza ad essere mantenuta, sarà la forma ad assumere su di sé la particolarità e la diversità dei costumi di ogni popolo del mondo.

L’attività folklorica promossa dai vari gruppi folk presenti su territorio nazionale e internazionale, e nella fattispecie agrigentina, ha non solo l’onere ma anche l’onore di ricevere e trasmettere nel mondo la cultura popolare delle antiche tradizioni.

I viaggi e le varie esperienze all’estero danno la possibilità difatti di allargare i propri orizzonti e di conoscere le diverse manifestazioni culturali che un popolo “diverso” dal nostro, legato alla terra da cui ha avuto origine, sa raccontare.

festival bambini del mondo gruppo folkloristico gergent

Moltissime nel corso degli anni le tournée all’estero del gruppo folkloristico Gergent e tantissimi, naturalmente, gli insegnamenti tratti.

Europa, Asia, America, Africa: Occidente e Oriente sono le due facce della stessa medaglia, un unico globo terrestre che gira sempre su se stesso.

Si dice che ogni mondo è paese, ed in ogni città, in ogni piccola comunità è possibile ritrovare qualcosa di unico e al contempo simile al tuo piccolo mondo.

Le spezie, i profumi, i tessuti, i racconti, i balli, le canzoni hanno in sé l’unione e l’amore di un popolo in continua ricerca di se stesso e delle sue primitive origini.

Il folklore non conosce distinzioni di razza, di religione, di sesso ma solo la passione travolgente di un sorriso, di una carezza, di un bacio, il sale che dona gusto alle differenze.

festival bambini del mondo gruppo folkloristico gergent al tempio della concordia ad agrigentoOgni anno la festa del mandorlo in fiore, oramai giunta alla sua 73° edizione, si propone come audace messaggero di pace e fratellanza in un mondo che è sempre più dilaniato e lacerato dalle guerre fisiche e morali, dalle incomprensioni, dalle brutture dell’animo umano, dai pregiudizi che spesso finiscono per diventare spessi come muri e pesanti come macigni.

Dietro un’origine si nasconde una storia, prende forma il ramificarsi di un’identità, una traccia dell’essere che permette di distinguere un individuo, un gruppo, una cultura, apparentemente differente ma in fondo uguale.

Se viaggiare è il modo più naturale per immergersi nei costumi di altri paesi, accogliere e personalizzare le diverse tradizioni è uno dei tanti modi per presentare ai noi stessi, realtà differenti dalla nostra.

Una festività speciale, un’usanza, permettono di scoprire in modo divertente affinità e disuguaglianze tra popoli, insegnando a conoscere meglio l’amico straniero, il vicino di casa, il compagno di scuola, facendoci sentire più vicini e meno distanti.

Fare parte dell’associazione culturale Gergent significa anche questo: imparare a conoscere e ad apprezzare quanto di diverso appare ai tuoi occhi, ai tuoi gusti, ai tuoi gesti; capendo che in realtà esiste altro ma che si trova semplicemente al di fuori del tuo confine, confine che tu stesso inconsapevolmente hai creato e forse un po’ cercato.

Il Gruppo folklorico Gergent partecipando ai vari festival internazionali e locali, è inequivocabilmente portato ad interagire ed a colloquiare con gli altri gruppi stranieri partecipanti e provenienti da ogni parte (Polonia, Russia, Messico, Portogallo, Ucraina, India, Giappone, Corea del sud, e così via) per cui non poche sono e sono state le varie usanze apprese nel corso degli anni.

Per riportarne alcune ricordiamo ad esempio la festa di Primavera festeggiata in Romania ogni anno nel periodo di marzo, in cui viene regalato un dono a chi si ama, agli amici e ai parenti lontani, un’usanza che muta nel tempo ma sopravvive alle guerre, alle emigrazioni, ai muri.

Il Martisor così viene chiamato il dono elargito; un ciondolo che contiene un fiore ed è legato secondo la tradizione ad un cordoncino intrecciato rosso e bianco.

Altro esempio è quello di una tradizione vietnamita, molto insolita ai nostri occhi, legata alla nascita laddove si usa rivolgersi al bambino con aggettivi dispregiativi come “brutto” o “rospo” perché si crede che gli spiriti maligni perseguitino i bambini più belli.

In Ucraina, il Natale sembra ricordare quasi la festa di Halloween, i tradizionali alberi infatti vengono addobbati con ragnatele di carta, plastica o metallo; in ricordo di un passato dove la miseria era predominante, ed i poveri, che non si potevano permettere gli addobbi, decoravano così gli alberi di Natale.

Ancora, un’usanza coreana vuole che, per rendere il nubendo più forte la prima notte di nozze, gli amici dello sposo dopo la cerimonia si tolgano i calzini e pestino con le piante dei piedi dei corvina gialli essiccati, che sono un tipo di pesce.

Il significato dietro questo rituale sarebbe che il pesce dovrebbe infondere al novello marito intelligenza e forza, che gli saranno poi utili nel matrimonio, e le frustate indice di incoraggiamento ad adempiere ai propri doveri coniugali la prima notte di nozze.

Molte e soprattutto diverse le tradizioni del mondo che sicuramente, come abbiamo detto inizialmente, conservano alla base una identica struttura cambiandone, in sostanza, semplicemente la forma.

Vogliosi e speranzosi di un futuro migliore ci auguriamo che il folklore, sale dei popoli, incrementi la voglia e lo spirito di unione, di integrazione, di conoscenza, portando alti i valori dell’amore, della solidarietà, della pace nel mondo.

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Influenze Della Lingua Spagnola Sul Siciliano

La Sicilia è una terra dall’immenso patrimonio storico e culturale dovuto, in modo particolare, agli influssi delle popolazioni straniere che l’hanno conquistata e colonizzata.

 

Per questo il siciliano è una lingua che si è trasformata e ha assorbito molte parole provenienti dai conquistatori.

 

Comunemente parliamo di dialetto siciliano, in realtà l’Unesco ha stabilito che il siciliano non è un dialetto bensì una lingua madre, anche se già alcuni filologi di fama internazionale avevano descritto la parlata dell’isola come abbastanza distinta dall’italiano tipico tanto da potere essere considerata un idioma separato; ciò è evidente da un attento studio della fonologia, della morfologia, della sintassi e, nello specifico, del lessico.

 

Quando si parla di influenze della lingua spagnola si deve intendere l’eredità linguistica lasciata in Sicilia dalle diverse genti iberiche, quindi aragonesi, castigliani e catalani.

 

L’influenza della lingua spagnola cominciò quando una rivolta popolare, conosciuta come i Vespri siciliani del 1282, cacciò il francese Carlo d’Angiò, ma la Sicilia rimase comunque in balia di uno straniero, Pietro d’Aragona, che aveva appoggiato la rivolta e i rivoltosi. Dopo una lotta tra Angioini e Aragonesi per ottenere il potere nell’isola, con la Pace di Caltabellotta nel 1302 la Sicilia fu assegnata agli Aragonesi. Nel 1479 l’isola fu dichiarata vicereame spagnolo e rimase alla Spagna fino al 1712, quando passò sotto il dominio dei Savoia.

Quindi gli Spagnoli Borboni occuparono la Sicilia per 500 anni e le loro espressioni si fusero con la lingua locale. Durante questo periodo, la lingua siciliana riuscì a godere di ufficialità e prestigio. Fin quando il Re di Spagna Alfonso V° unì la Sicilia e Napoli, introducendo come lingua il Castigliano.

 

Dunque l’influenza della lingua spagnola sul siciliano è stata di tale portata che ancora oggi vi sono espressioni e termini di origine spagnola usati dai siciliani nella loro quotidianità.

 

L’influenza delle lingue iberiche sulla parlata dell’isola è evidente, ad esempio, nelle terminazioni verbali dell’imperfetto (-ìa, come in dicìa, facìa) e del condizionale (-ìa, es.: dirìa, farìa), nell’uso di sostituire il condizionale dell’apòdosi nel periodo ipotetico, sia di secondo che di terzo tipo, col congiuntivo passato o trapassato, come nell’espressione: “Si me hubiera llamado, no hubiera ido” in castigliano; “Si m’avissiru chiamatu, nun cc’avissi jutu” in siciliano. Altra regola grammaticale comune è quella dell’uso nel complemento oggetto della preposizione “a” con nomi propri o comuni di persone, per esempio: “Esperamos a tu hermano” in castigliano, “Aspittamu a tò frati” in siciliano.

Si tratta di costruzioni sintattiche spesso scambiate per errori dovuti all’ignoranza.

Dal castigliano derivano numerose perifrastiche; in particolare vi è la costruzione “havi” + complemento di tempo + “ca” + verbo (es.: “Havi dui anni ca nun niscèmu nzèmmula” in siciliano, “Hace dos años que no salimos juntos” in castigliano); e la costruzione del verbo “aviri” + “a” + infinito (es.: “Tengo que ir” in castigliano, “Haju a jiri” in siciliano). Infine, sopravvivono ancora esclamazioni come “Vàja!”. Dal catalano proviene il verbo “dunari” (“donar”) e il pronome relativo e congiunzione “ca” derivante da “que”.

Ecco un elenco di parole usate in Sicilia di derivazione spagnola:
curtigghiu (cortile) da cortijo; lastima (lamento) da làstima; pignata (pentola) da pinàda; cucchiara (cucchiaio) da cuchara; cascia (cassa) da caixa, scupetta (lupara) da escopeta; manta (coperta) da manta; zita (fidanzata) da cita; anciova (acciuga) da anxova; tiempu (tempo) da tiempo; vientu (vento) da viento; chianu (piano) da llano; chiavi (chiave) da llave; fastuchi (pistacchi) da festuc; muccaturi (fazzoletto) da mocador; chiamari (chiamare) da llamar; accabbari (concludere) da acabar; acciaffari (schiacciare) da aixafar; abbuccari (cadere) da abocar; accupari (soffocare dal caldo) da acubar; addunarisi (accorgersi) da adonar-se; affruntàrisi (vergognarsi) da afrontar-se; capuliari (tritare) da capolar; priàrisi (rallegrarsi) da prear-se; sgarrari (sbagliare) da esgarrar; nzittari (indovinare) da encertar; etc.

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I costumi tipici siciliani del gruppo folkloristico Gergent

i costumi femminili del gruppo folkloristico gergent

Il termine tradizione, dal latino traditiònem (deriv. da tràdere = consegnare, trasmettere) può assumere diverse accezioni: nel nostro caso la utilizzeremo come sinonimo di consuetudine, intendendo con questo termine, la trasmissione nel tempo, all’interno di un gruppo umano, della memoria di eventi sociali o storici, delle usanze, dei riti, della mitologia, delle credenze religiose, dei costumi, delle superstizioni e leggende.

Le tradizioni popolari o folkloristiche sono in questo senso una consuetudine, le danze, i canti, i proverbi, gli antichi mestieri che attraverso le tradizioni di un popolo si mantengono in vita e che il Gruppo Folklorico Gergent con la sua attività costante, in campo nazionale e internazionale, porta avanti da circa ventisei anni.

i costumi maschili del gruppo folkloristico gergentLo studio, quale ricerca “storica” inerente ai balli, ai canti, ai costumi e agli utensili utilizzati, non è mai mancato al presidente Claudio Criscenzo prima, e al figlio Luca dopo, che con non grande passione per l’arte e la cultura in generale, l’hanno sempre portato avanti, facendone anzi un punto di forza e di peculiarità del gruppo Agrigentino.

Dell’innumerevole patrimonio di costumi tipici siciliani, purtroppo oggi non resta molto, essendo oramai quasi del tutto spariti; tuttavia, qualche traccia la si può ritrovare nei paesi dell’entroterra siciliana dove ancora oggi usi e tradizioni sono più radicati, e con essi alcuni costumi tradizionali sia maschili che femminili.

Tutto quello che oggi sappiamo sui costumi lo dobbiamo al grande maestro delle tradizioni popolari siciliane Giuseppe Pitrè, che nel corso dei suoi anni raccolse e poi riunì in un museo etnografico da lui fondato nel 1909, diviso in 20 sezioni, documentazioni sugli usi e sui costumi del popolo siciliano, insieme alle credenze, ai miti, alle tradizioni di Sicilia (la casa, filatura e tessitura, arredi e corredi, i costumi, le ceramiche, l’arte dei pastori, caccia e pesca, agricoltura e pastorizia, arti e mestieri, e così via).

In Sicilia i costumi tradizionali antichi erano piuttosto semplici, variegati e in alcuni casi anche ricchi. L’abbigliamento tradizionale della donna e dell’uomo siciliano erano dunque composti da diversi capi realizzati con diverse fogge e fatture, e spesso e volentieri anche i colori variavano; gli abiti dei giorni quotidiani inoltre erano distinti da quelli della festa.

I costumi a cui il gruppo Gergent rimanda sono un rifacimento pressoché verosimile degli abiti dei popolani e delle popolane dell’ottocento siciliano.

Il costume femminile è composto: da una gonna lunga di broccato blu, rossa, gialla o da gonne nere orlate con pizzo sangallo; da un grembiule di cotone bianco o a fiori, oppure di lino a seconda dell’uso; dai mutandoni in cotone bianco, che coprono le gambe sino alle ginocchia, arricchiti da pizzo san gallo e da un nastrino rosso all’estremità; da calze di lana o di cotone (a seconda della stagione); da scarpe di pelle nera con punta leggermente arrotondata e da una fibbietta sul collo del piede.

La parte superiore è composta da un gilet nero di velluto orlato da una passamaneria a fiori per decorare e rifinire il corpetto, stretto e allacciato da un filo di coda di topo lucida di raso rosso; la camicia bianca fornita di pizzo san gallo nel girocollo e nei polsini con un nastrino rosso intrecciato ad esso.

Il capo è acconciato da alcuni spilloni e fiori che servono a rendere più prezioso il “tuppu”, ciò deriva da un’antica usanza di raccogliere i capelli delle donne per facilitarne il lavoro e altresì per essere più sistemate e non avere la necessità di lavare i capelli, data la scarsa possibilità di un tempo. Il capo è inoltre talvolta coperto da un “fazzulettu”, a seconda delle occasioni, di lavoro o di festa.

Il fazzulettu talvolta poteva essere di pizzo nero o bianco o di cotone. Durante le processioni, infatti, le donne solevano abbinare ai propri capi di tutti i giorni un pezzo più raffinato, che veniva per l’appunto dedicato alle grandi occasioni, questo poteva essere di pizzo bianco o nero.

Il vestito viene completato da una mantellina di lana, generalmente nera e lavorata a mano, che veniva indossata per qualsiasi evenienza. Infatti sempre il Pitrè ci riporta che lo scialle era un capo universale, che andava bene per ogni ora del giorno e della notte e per ogni stagione e veniva indossato dalle donne siciliane per andare al mercato oppure in città, a sbrigare le commissioni per la casa. Il manto aveva anche in un certo senso una funzione sociale. A Messina, chiamavano il manto ‘orate frates’ perché all’occorrenza consentiva alle ragazze di scoprirsi per mettere in evidenza il collo e il seno.

In altri luoghi dell’Isola invece, la mantella aveva il compito di distinguere le donne di buona famiglia da quelle appartenenti ai ceti meno abbienti e dunque possederlo era un vanto, ma anche una ricchezza per una donna dell’epoca.

L’abito maschile rimanda anch’esso a quello tipico dei popolani dell’ottocento ed è costituito: da camicia bianca di cotone; gilet a coste di velluto nero con bottoni neri e una fibbietta nella parte posteriore; da un fazzoletto rosso posto sul collo o sul capo, se utilizzato durante la raccolta dell’uva o la mietitura del grano, per far sì che tutto il sudore venisse trattenuto e asciugato dallo stesso; ed infine dai pantaloni sempre a coste di velluto nero, detti in siciliano “causi” lunghi fino alle ginocchia con delle aperture ai lati e stretti da un bottone, senza apertura davanti bensì sui fianchi, ai quali viene poi abbinata una fascia di lana in vita di colore rossa o gialla che funge da ‘panzera’.

Le scarpe sono basse nere a punta rotonda mentre i calzettoni sono o di cotone o di lana bianca. L’abito può talvolta essere completato da una “coppula” nera di velluto oppure da una giacca di velluto a coste nera, in occasioni di festa.

Il Pitrè ancora una volta è essenziale per la nostra ricerca sui costumi e per quanto concerne l’abito maschile si apprende che innanzitutto anche gli abiti che venivano indossati dagli uomini si potevano dividere in abiti per le attività quotidiane e per le occasioni speciali.

Una prima differenza si ha invariabilmente con il passaggio da un ceto all’altro.

L’abito era più semplice tanto più basso era il rango sociale difatti, quello più semplice era dei pastori. I contadini si vestivano invece con dei pratici ‘causi’, ai quali veniva poi abbinata una cintura in vita che solitamente era una fascia in tessuto; in essa infatti il contadino poteva riporre alcuni piccoli attrezzi per la pausa, come i coltellini che servivano a creare “i friscaletti”, i piccoli strumenti a fiato del folclore musicale, oppure il pranzo. In seguito, con il passare delle epoche, i calzoni si allungarono, le giacche si accomodarono al corpo e stoffa e colore iniziarono ad essere associati all’appartenenza sociale.

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