Il ballo delle polarità

“Ti muovi sulla destra poi sulla sinistra resti immobile sul centro provi a fare un giro su te stesso, un giro su te stesso. “You miss me and I miss you” (Il cerchio simbolizza T’ai chi che è informe e al di sopra di ogni dualità. Qui esso manifesta se stesso, come il progenitore dell’universo. E’ diviso tra Yin (il buio) e Yang (la luce) che significa polo negativo e polo positivo. Coppie di opposti, passivo e attivo, femmina e maschio, luna e sole). Gli aborigeni d’Australia si stendono sulla terra, con un rito di fertilità vi lasciano il loro sperma.”

Battiato “Il ballo del potere”

 

Il Ballo rappresenta da sempre un mezzo attraverso il quale i popoli da sempre hanno potuto “vivere” le emozioni. Il ballo è movimento, è alternanza di polarità, è l’alternanza delle stagioni.

 

Nel movimento del Ballo c’è la dinamicità e la vitalità di ogni cosa. Ma il movimento è anche nelle nostre relazioni, tra due amanti, tra i passanti.

 

Basta osservare due corpi in interazione tra loro e si può cogliere la “danza” dei loro corpi.

Il movimento dell’uno interviene nel movimento dell’altro e viceversa, in una danza continua. Siamo movimento, alternanza di emozioni e sensazioni.

Così le polarità, Yin (il buio) e Yang (la luce), il passivo e l’attivo, femmina e maschio danzano alternandosi in un movimento che dà ritmo e che completa.

L’uomo è il risultato di polarità, “danza” continuamente lungo un continuum fatto di estremi opposti.

“Tutto è duale, tutto ha due poli, ogni cosa ha il suo opposto. Ogni cosa “è” e “non è” allo stesso tempo, ogni verità non è che una mezza verità e al contempo una mezza falsità. Gli opposti condividono la stessa natura in gradi diversi, gli estremi si toccano, tutti i paradossi possono essere riconciliati.”

(Il Kybalion)

 

Nella vita diventa importante alternare e far “emergere” gli opposti.

Si può prendere in considerazione i due aspetti “opposti” per antonomasia nella vita dell’uomo: Apollineo e Dionisiaco. Il primo ha a che fare con gli aspetti più “razionali”, i “piedi per terra”, tutto ciò che rimanda alla logica e alla ragione, il secondo, viceversa riguarda gli aspetti che riguardano “l’istinto”, “il lasciarsi andare”. Il “cristallizzarsi”, la “staticità” dello stare in una sola delle due polarità comporta rigidità, disagio e il “non sentirsi completi”.

La possibilità di danzare tra le polarità rende fluidi, spontanei e completi.

Hermann Hesse nel suo romanzo “Narciso e Boccadoro” mette in risalto, attraverso i protagonisti, le due polarità della Natura e dello Spirito. Narciso rappresenta la Natura ed utilizza solo i sensi per leggere la vita e Boccadoro lo Spirito, con l’utilizzo unico di questo.

Infine nel ballo delle polarità non possiamo non ricordare C.G. Jung.

Secondo l’Autore l’energia psichica fluisce tra polarità che sono opposte: logos/Eros, Potere/Amore, Io/Ombra, Razionale/Irrazionale, Sessualità/Religione, Contenitore/Contenuto, Individuale/Collettivo, ect.

Non ci resta che ballare e danzare a ritmo delle polarità della vita.

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L’appuntamento con Sergio Criminisi (Parte 3)

Opera di Sergio Criminisi che rappresenta un albero di mandorlo stilizzato - Anno 2018
Opera di Sergio Criminisi che rappresenta un albero di mandorlo stilizzato - Anno 2018
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I costumi tipici siciliani del gruppo folkloristico Gergent

i costumi femminili del gruppo folkloristico gergent

Il termine tradizione, dal latino traditiònem (deriv. da tràdere = consegnare, trasmettere) può assumere diverse accezioni: nel nostro caso la utilizzeremo come sinonimo di consuetudine, intendendo con questo termine, la trasmissione nel tempo, all’interno di un gruppo umano, della memoria di eventi sociali o storici, delle usanze, dei riti, della mitologia, delle credenze religiose, dei costumi, delle superstizioni e leggende.

Le tradizioni popolari o folkloristiche sono in questo senso una consuetudine, le danze, i canti, i proverbi, gli antichi mestieri che attraverso le tradizioni di un popolo si mantengono in vita e che il Gruppo Folklorico Gergent con la sua attività costante, in campo nazionale e internazionale, porta avanti da circa ventisei anni.

i costumi maschili del gruppo folkloristico gergentLo studio, quale ricerca “storica” inerente ai balli, ai canti, ai costumi e agli utensili utilizzati, non è mai mancato al presidente Claudio Criscenzo prima, e al figlio Luca dopo, che con non grande passione per l’arte e la cultura in generale, l’hanno sempre portato avanti, facendone anzi un punto di forza e di peculiarità del gruppo Agrigentino.

Dell’innumerevole patrimonio di costumi tipici siciliani, purtroppo oggi non resta molto, essendo oramai quasi del tutto spariti; tuttavia, qualche traccia la si può ritrovare nei paesi dell’entroterra siciliana dove ancora oggi usi e tradizioni sono più radicati, e con essi alcuni costumi tradizionali sia maschili che femminili.

Tutto quello che oggi sappiamo sui costumi lo dobbiamo al grande maestro delle tradizioni popolari siciliane Giuseppe Pitrè, che nel corso dei suoi anni raccolse e poi riunì in un museo etnografico da lui fondato nel 1909, diviso in 20 sezioni, documentazioni sugli usi e sui costumi del popolo siciliano, insieme alle credenze, ai miti, alle tradizioni di Sicilia (la casa, filatura e tessitura, arredi e corredi, i costumi, le ceramiche, l’arte dei pastori, caccia e pesca, agricoltura e pastorizia, arti e mestieri, e così via).

In Sicilia i costumi tradizionali antichi erano piuttosto semplici, variegati e in alcuni casi anche ricchi. L’abbigliamento tradizionale della donna e dell’uomo siciliano erano dunque composti da diversi capi realizzati con diverse fogge e fatture, e spesso e volentieri anche i colori variavano; gli abiti dei giorni quotidiani inoltre erano distinti da quelli della festa.

I costumi a cui il gruppo Gergent rimanda sono un rifacimento pressoché verosimile degli abiti dei popolani e delle popolane dell’ottocento siciliano.

Il costume femminile è composto: da una gonna lunga di broccato blu, rossa, gialla o da gonne nere orlate con pizzo sangallo; da un grembiule di cotone bianco o a fiori, oppure di lino a seconda dell’uso; dai mutandoni in cotone bianco, che coprono le gambe sino alle ginocchia, arricchiti da pizzo san gallo e da un nastrino rosso all’estremità; da calze di lana o di cotone (a seconda della stagione); da scarpe di pelle nera con punta leggermente arrotondata e da una fibbietta sul collo del piede.

La parte superiore è composta da un gilet nero di velluto orlato da una passamaneria a fiori per decorare e rifinire il corpetto, stretto e allacciato da un filo di coda di topo lucida di raso rosso; la camicia bianca fornita di pizzo san gallo nel girocollo e nei polsini con un nastrino rosso intrecciato ad esso.

Il capo è acconciato da alcuni spilloni e fiori che servono a rendere più prezioso il “tuppu”, ciò deriva da un’antica usanza di raccogliere i capelli delle donne per facilitarne il lavoro e altresì per essere più sistemate e non avere la necessità di lavare i capelli, data la scarsa possibilità di un tempo. Il capo è inoltre talvolta coperto da un “fazzulettu”, a seconda delle occasioni, di lavoro o di festa.

Il fazzulettu talvolta poteva essere di pizzo nero o bianco o di cotone. Durante le processioni, infatti, le donne solevano abbinare ai propri capi di tutti i giorni un pezzo più raffinato, che veniva per l’appunto dedicato alle grandi occasioni, questo poteva essere di pizzo bianco o nero.

Il vestito viene completato da una mantellina di lana, generalmente nera e lavorata a mano, che veniva indossata per qualsiasi evenienza. Infatti sempre il Pitrè ci riporta che lo scialle era un capo universale, che andava bene per ogni ora del giorno e della notte e per ogni stagione e veniva indossato dalle donne siciliane per andare al mercato oppure in città, a sbrigare le commissioni per la casa. Il manto aveva anche in un certo senso una funzione sociale. A Messina, chiamavano il manto ‘orate frates’ perché all’occorrenza consentiva alle ragazze di scoprirsi per mettere in evidenza il collo e il seno.

In altri luoghi dell’Isola invece, la mantella aveva il compito di distinguere le donne di buona famiglia da quelle appartenenti ai ceti meno abbienti e dunque possederlo era un vanto, ma anche una ricchezza per una donna dell’epoca.

L’abito maschile rimanda anch’esso a quello tipico dei popolani dell’ottocento ed è costituito: da camicia bianca di cotone; gilet a coste di velluto nero con bottoni neri e una fibbietta nella parte posteriore; da un fazzoletto rosso posto sul collo o sul capo, se utilizzato durante la raccolta dell’uva o la mietitura del grano, per far sì che tutto il sudore venisse trattenuto e asciugato dallo stesso; ed infine dai pantaloni sempre a coste di velluto nero, detti in siciliano “causi” lunghi fino alle ginocchia con delle aperture ai lati e stretti da un bottone, senza apertura davanti bensì sui fianchi, ai quali viene poi abbinata una fascia di lana in vita di colore rossa o gialla che funge da ‘panzera’.

Le scarpe sono basse nere a punta rotonda mentre i calzettoni sono o di cotone o di lana bianca. L’abito può talvolta essere completato da una “coppula” nera di velluto oppure da una giacca di velluto a coste nera, in occasioni di festa.

Il Pitrè ancora una volta è essenziale per la nostra ricerca sui costumi e per quanto concerne l’abito maschile si apprende che innanzitutto anche gli abiti che venivano indossati dagli uomini si potevano dividere in abiti per le attività quotidiane e per le occasioni speciali.

Una prima differenza si ha invariabilmente con il passaggio da un ceto all’altro.

L’abito era più semplice tanto più basso era il rango sociale difatti, quello più semplice era dei pastori. I contadini si vestivano invece con dei pratici ‘causi’, ai quali veniva poi abbinata una cintura in vita che solitamente era una fascia in tessuto; in essa infatti il contadino poteva riporre alcuni piccoli attrezzi per la pausa, come i coltellini che servivano a creare “i friscaletti”, i piccoli strumenti a fiato del folclore musicale, oppure il pranzo. In seguito, con il passare delle epoche, i calzoni si allungarono, le giacche si accomodarono al corpo e stoffa e colore iniziarono ad essere associati all’appartenenza sociale.

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La Danza Pagana: un senso di catarsi

All’aurora all’aurora tamburi in lontananza
E si fa’ festa con la danza, con la danza.
E c’e’ un ritmo che ci prende che ci fa’ cantare
e’ africana e’ africana viene dal ma…re.
E a meridiana a meridiana la musica e’ vicina
La radio va’ la radio suona, africana.
Madre mia madre ribelle,
Come e’ forte questa danza
Come brucia questo sole sulla pelle,
Luna mia luna pagana che ci fai danzare
Candelora candelora vieni dal mare.
Africana, suona suona
E’ dal mare che nasce l’anima pagana
E’ la musica che ci chiama e’ africana e’ africana,
Africana, danza danza, onda onda l’anima pagana
Avanza avanza, aria e aria, ora e ora, e africana.
E’ quando e’ notte, e’ quando e’ notte
Oh madre quando e’ notte,
La musica si fa’ piu’ forte quando e’ notte.
O madre mia madre d’argilla
Stanotte quante stelle,
E il vento soffia sulla pelle iappa da peppe
E c’e’ un ritmo che ci prende non ci fa’ dormire
E’ africana e’ africana viene dal mare.
Africana, suona suona e’ dal mare che nasce l’anima pagana
E’ la musica che ci chiama e africana e africana, africana, danza danza,
Onda onda l’anima pagana avanza avanza, aria e aria, ora e ora, e africana e africana

Danza Pagana, Mia Martini

 

In questa magnifica canzone di Mia Martini vengono racchiuse le caratteristiche della danza pagana.

 

Ci sono gli elementi della natura, il mare, la luna, la notte, il vento che accompagnano con la musica la danza.

 

Si tratta di una danza che ha avuto nel passato, e nelle diverse fasi storiche, diversi significati, ma sicuramente una danza il cui scopo principale è di catarsi e libertà.

Se pensiamo, ad esempio, alla tarantella (taranta nel territorio pugliese) è evidente il rimando alla catarsi intesa come guarigione dal morso della taranta (considerata il simbolo dei mali).

Nel Paganesimo le danze accompagnavano quasi sempre le pratiche e i riti. Un esempio ancora oggi presente nel Mediterraneo, nello specifico nell’Arcipelago della Grecia, è il Panegiri (greco antico: πανήγυρις “raduno”). Si tratta di un’assemblea generale, nazionale o religiosa dell’antica Grecia. Nel passato ognuno era al culto di un dio particolare.

Ancora oggi in Grecia vengono celebrati questi balli, in cui la gente si riunisce e si balla fino a notte fonda, in un ritmo crescente. Alcuni ritengono che la danza sia legata (in molte zone della Grecia) al dio Dioniso (in greco attico: Διόνυσος; in greco omerico: Διώνυσος; in greco eolico: Ζόννυσσος o Ζόννυσος, dio dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi).

Di fatto chi ha partecipato parla di atmosfera dionisiaca, in cui musica e ritmo crescente (ma anche il vino) creano una condizione di “alterazione” dalla realtà e di “catarsi”.

Che sia vero o meno, di fatto non si può negare il senso di leggerezza e di libertà che si crea nel ballare in gruppo al suon di musica.

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La Mandorla nell’arte, Simbolismi E Rappresentazioni

La mandorla, frutto del fiore del mandorlo, è un simbolo strettamente legato alla fecondità e alla rinascita di una natura rigogliosa, che riempirà di frutti prelibati le tavole dei contadini.

Per questo è stata spesso soggetto di molte rappresentazioni artistiche fin dall’antichità.

Gran parte della sua fortuna in ambito artistico si deve ai miti che la circondano, in particolare il mito di Fillide e Acamante, che è servito da fonte di ispirazione per numerose opere.

In ambito letterario quest’antica epopea greca, di cui parlò Omero, venne ripresa da Ovidio nell’opera erotico-mitologica intitolata “Eroidi” (Heroides), composta tra il 25 a.C. e il 16 a.C. Si trattava di una raccolta di 21 lettere poetiche immaginarie, d’amore e di dolore, tra le quali 15 scritte da eroine abbandonate dai loro innamorati o mariti, tre da eroi con abbinate le tre risposte.

L’opera di Ovidio venne ripresa dallo scrittore e poeta inglese Geoffrey Chaucer (circa 1343-1400) nel poema epico dal titolo “La Leggenda delle donne virtuose” (The Legend of Good Women), nel quale narrò in forma onirica la tragica storia di Fillide, oltre a quella di altre protagoniste storiche e mitologiche rattristate per essere state lasciate dall’amato.

Molto più tardi perfino il poeta Boccaccio nel suo “Decamerone” descrisse con dovizia di particolari una golosissima casa fatta di marzapane cioè, semplicemente, di mandorle e zucchero, tessendo le lodi di questo straordinario frutto.

Nel 1882, l’inglese Edward Edward Coley Burne-Jones (1833-1898), uno dei migliori Preraffaelliti in Inghilterra, rappresentò, nell’olio su tela dal titolo “L’albero del perdono” (The Tree of Forgiveness), Fillide e Demofonte nella loro speranza appagata, abbracciati e nudi, davanti a un albero di mandorlo fiorito. L’opera, di notevole potenza espressiva, fu anticipata da un acquerello nel 1870, nel cui retro comparivano citate le “Eroidi” di Ovidio.

Anche il celebre pittore Vincent Van Gogh (1853-1890) si lasciò ispirare dai fiori di mandorlo tanto da rappresentarli in più di una decina di quadri. Uno dei più famosi fu l’olio su tela intitolato “Ramo di mandorlo in fiore”, dipinto a Saint Remy de Provence prima di morire, in occasione dell’annuncio della nascita del nipote Vincent Willem, figlio di suo fratello Theo. La posizione dei fiori e la precisione delle linee indicano che fonte di ispirazione per il pittore impressionista fu l’arte dell’incisione giapponese, mentre il soggetto simboleggia l’affacciarsi di una nuova vita.

La mandorla per la sua forma ovoidale è collegata alla matrice, come simbolo di fecondità, di nascita primordiale dell’Universo. Per questo fu soggetto di molte rappresentazioni artistiche di carattere religioso, come nel caso del geniale Perugino “divin pittore” che usò nei suoi quadri la cosiddetta “mandorla mistica” (simbolo di forma ogivale ottenuto dalla sovrapposizione di due cerchi) per incastonare la Vergine Maria nell’Assunzione quale simbolo dell’unione fra terreno e divino.

La sua forma, che in sostanza abbraccia tutta la persona, si può vedere nei dipinti che ritraggono il Cristo giudice, la Trinità e la Vergine Maria. Essa richiama il cerchio che è simbolo di perfezione e per questo ben rappresenta la santità.

La Mandorla Mistica si ritrova frequentemente nelle basiliche paleocristiane e nelle catacombe, nelle quali è posta in maniera orizzontale anziché in verticale, rappresentante la stilizzazione di un pesce, simbolo di Cristo Redentore, che prende il nome di Ichthys.

In particolare, i due cerchi che si incontrano sono la rappresentazione dei due mondi su cui si basa la creazione dell’Universo, ovvero il Divino e l’Umano. Il simbolo si ritrova anche nelle lunette dei maestosi portali delle cattedrali tardo-romaniche e gotiche, in particolar modo quelli delle cattedrali francesi.

Lo schema compositivo presenta il Cristo in Maestà racchiuso nel tipico guscio-vulva della Mandorla Mistica, accerchiato dai simboli dei Quattro Evangelisti e dai Dodici Apostoli.

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La Mandorla: Miti, Leggende, Magia E Folklore

La mandorla è il simbolo della nascita e della resurrezione: infatti essendo il mandorlo il primo albero a sbocciare in primavera simboleggia la rinascita della natura, il suo rinnovarsi dopo la morte invernale.

Essa è molto ricca di significati esoterici, è il segreto che si svela rompendo il guscio, che protegge il seme.

Essendo nascosta, rappresenta l’essenza spirituale, la saggezza, la sapienza. Infatti in alcuni riti sacri si prescrive di nutrirsene.

Avendo una forma ovoidale, essa è collegata alla matrice, come simbolo di fecondità e di nascita primordiale dell’universo e, in alcune civiltà, alla Magna Mater (Grande Madre).

Rappresenta un spazio chiuso, protetto, e delimita lo spazio sacro separandolo dallo spazio profano: protettrice che separa il puro, l’originario, dall’impuro.

La vescica piscis, che richiama la mandorla, era un simbolo già noto in India, nell’antica Mesopotamia, in Africa e nelle civiltà asiatiche, ma si diffuse ampiamente soprattutto nel contesto cristiano, mediante l’associazione della figura del pesce a Cristo.

Per tutti questi significati simbolici la mandorla è stata collegata a numerosi miti e leggende, ha. diffuso parole sacre, cultura e folclore, che affondano le radici in tempi lontani nell’area geografica a clima mediterraneo in cui la pianta è coltivata.

Essa è in relazione con particolari divinità antiche, per esempio, nel mito di Attis, la madre Nana concepisce il dio mettendosi in seno una mandorla; nella mitologia greca, essa è il simbolo di Era; noto è anche il mito di Acamante e Fillide.

La fioritura precoce sul ramo di mandorlo appare come un segnale di rinascita al profeta Geremia, nella Bibbia; nell’Esodo, Dio indica a Mosè di prenderne i fiori a modello per forgiare l’oro con il martello in modo da ottenere l’antico candelabro ebraico (Menorah) a sette bracci.

Nel testo biblico dell’Ecclesiaste, i fiori di mandorlo sono l’emblema di quanto la vita scorra velocemente fino all’invecchiamento: entro poco più di una settimana mutano di tonalità dal bianco rosato al bianco candido prima di cadere dai rami.

Antichi riti di magia venivano praticati durante il Medioevo, in cui la mandorla era uno degli ingredienti usati per fantomatici filtri d’amore e persino per pozioni afrodisiache; inoltre era frequente ridurla in poltiglia e mescolarla con olii profumati, tanto da essere utilizzata come base per creme da applicare sul corpo di giovani fanciulle in età da marito, ciò perché i fiori di mandorlo sbocciavano nella stagione considerata propizia per i fidanzamenti.

Anche nel folklore i fiori di mandorlo sono importanti. Alle tradizioni folcloristiche della Spagna appartiene una leggenda araba secondo la quale il califfo musulmano Abd al-Rahman III fece piantare dei mandorli sulle colline attorno al suo palazzo nel villaggio di Madinat-al-Zahra, vicino Cordova.

Voleva restituire il sorriso all’amata moglie Azahara, che soffriva di nostalgia, alla vista dei fiori bianchi assomiglianti al candido manto di neve della Sierra Nevada, che lei un tempo poteva ammirare dalla propria abitazione a Granada.

In Germania vi sono numerose iniziative dirette a promuovere la pianta di mandorlo.

Nella regione del Palatinato è famosissima la “Sagra dei Fiori di Mandorlo” (Gimmeldingen Mandelblütenfest), organizzata a ricorrenza annuale dal 1935, tra la metà di marzo e l’inizio di aprile, nel villaggio di Gimmeldingen, dove i visitatori passeggiano lungo un percorso dedicato alle mandorle, gustando biscotti a forma di questo fiore decorato con glassa rosa; vi è pure l’elezione della “Reginetta dei fiori di mandorlo” dell’anno.

Nel sud del Marocco viene organizzato ogni anno nel mese di febbraio il “Festival del Fiore di Mandorlo”, in cui musicisti, ballerini e cantastorie allietano per l’occasione il villaggio di Tafraoute, tra le montagne Anti-Atlas, al centro della Valle Ameln, famosa per la produzione di mandorle.

Nel nord dell’India, da prima del XIV secolo, tra marzo e aprile, una folla di persone arrivava a Srinagar da tutta la valle del Kashmir per vedere lo spettacolo del giardino storico “Badamwari” (Alcova di mandorle) con i fiori di mandorlo sbocciati appena scomparso il gelo dell’inverno; per l’occasione venivano anche organizzati spettacoli culturali e festival.

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Siciliano Sono Band: Un Pop Adrenalinico Dai Ritmi Siciliani

I “Siciliano Sono” rappresentano una delle realtà musicali emergenti di maggiore spicco.

La band è nata ad Agrigento nel 2009 da un’idea del cantautore Biagio Marino.

La loro carriera inizia in giro per la Sicilia, dove esce nell’estate del 2012 il loro primo disco intitolato “Siroko”, cioè Scirocco.

L’album riscuote subito grande apprezzamento di pubblico e critica.

Nel 2015, invece, la band intraprende un nuovo progetto dal titolo “Mundo Malo”, in cui sono anche presenti quattro tracce in lingua spagnola.

Ne segue il “Mundo Malo Tour” che vanta all’attivo più di cinquanta concerti in Italia e in Europa.

La loro musica si distingue per essere un pop adrenalinico con ritmi latini e tropicali combinati a quelli più tradizionali del Sud Italia.

Lo spettacolo che sanno offrire al pubblico è incalzante, divertente e ballabile.

Abbiamo chiesto loro di rispondere alle nostre domande in modo da farci sapere qualcosa di più della loro band.

Senza dubbio l’essere siciliani influenza tantissimo la vostra musica. Cosa in particolare vi ispira della Sicilia?

Dalla Sicilia veniamo ispirati sia dalle cose positive che negative. Attraverso la musica raccontiamo la visione del mondo del siciliano.

Com’è nato lo stile particolare che caratterizza la vostra musica?

Nasce attraverso un mix di diversi elementi stilistici. I nostri punti di riferimento sono stati sempre all’estero, continuiamo ad essere siciliani anche in questo, assorbendo continue influenze altre che scaturiscono poi in una musica semplice e immediata. Ci rivolgiamo al popolo, alla gente comune e non ai critici musicali.

Il vostro primo disco, che richiama suoni, culture ed essenze diverse che si mescolano, si intitola “Siroko” cioè Scirocco. Indubbiamente si tratta di un forte richiamo alla Sicilia, ma perché avete scelto proprio questa parola per il vostro primo album?

Scirocco è un vento caldo che avvolge il mediterraneo e la Sicilia. Quello che viviamo quando c’è lo scirocco è quello di stare “immobili” perché altrimenti suderemo di più muovendoci. Ecco quel momento in cui ti fermi per non sudare ti dà la possibilità di “ragionare” (anche se grondi di sudore) di lamentarti su come si evolvono i fatti di vita quotidiana, imprechi contro chiunque per le cose che vanno male, ma nonostante ciò rimani lì fermo per paura di muoverti e non puoi che rassegnarti e sperare.
Siroko racconta l’incanto per le bellezze della nostra terra, le azioni e le mancate azioni del siciliano nei confronti della sua terra.

Perché avete scelto di inserire nel vostro progetto “Mundo Malo” quattro tracce in lingua spagnola?

Lo spagnolo è una delle lingue più parlate al mondo e la cultura siciliana è stata fortemente dominata storicamente dalla presenza iberica nell’isola. Ciò ha influenzato anche l’evoluzione del dialetto siciliano che risente del periodo spagnolo. Inoltre la cultura musicale spagnola, a differenza di quella italiana, si apre maggiormente alle nostre esigenze stilistico-musicali e questo ci permette di affacciarci ad un mercato musicale più eterogeneo.

Vi aspettavate tanto successo pur partendo da una piccola realtà come Agrigento?

Lavoriamo per quello, non conta tanto il fatto della realtà piccola, ci aiuta indubbiamente a mantenere i piedi per terra. Il nostro lavoro è orientato ad un raggiungimento di un successo più alto. Però sai la musica poi tocca confini a te impensabili…

Quali difficoltà avete dovuto superare per potervi fare conoscere anche all’estero?

Le difficoltà primarie sono prevalentemente economiche. Investire all’estero per una band come la nostra significa andare incontro a delle spese che riguardano prevalentemente le attività organizzative, gestionali e strategiche. Ciò che siamo è sia merito della nostra qualità dello spettacolo musicale, che curiamo puntigliosamente in ogni parte, ma anche dal lavoro dietro le quinte che molti non vedono.

Quali sono i messaggi principali che volete portare con le vostre canzoni?

Le canzoni che fin ora ho scritto e composto insieme alla mia band rivolgono lo sguardo prevalentemente alla quotidianità, ad una realtà sociale in cui poi alla fine si rivede ogni persona. E così che le mie storie sono le storie di tutti. Tutto diventa universale. Facciamo quello che dobbiamo fare: musica con il cuore.

Durante il Mandorlo in Fiore di quest’anno vi siete esibiti in piazza Cavour.

D’altronde quale migliore connubio se non l’incontro tra i ritmi incalzanti della tradizione del Sud Italia e della Word Music, combinati a contaminazioni sonore gitane, che caratterizza la vostra musica e il Festival Internazionale del Folklore.

Quale particolare ricordo legato a quell’evento vi è rimasto?

Indubbiamente il più bel ricordo e inaspettato è stato quello di aver visto un’intera piazza che cantava le nostre canzoni e si divertiva. La nostra Fiesta Total ha colpito nel segno. Il nostro pubblico in quell’occasione ha dimostrato di avere una cultura musicale pari a pubblici ben più blasonati, un pubblico eterogeneo e al pari di un festival in Europa.

In che modo la musica può, a vostro parere, favorire la fratellanza e la solidarietà tra i popoli?

La musica non ha mai creato rivalità fra i popoli, è un’arte che fa dell’unione la sua forza. Le note musicali sono 7 ma attraverso queste puoi creare infinite melodie. Alcune si assomiglieranno tra loro, ma è solo una percezione. In questo senso, attraverso le stesse note puoi unire e stare in armonia con il mondo. Un finito che produce un infinito. La musica è l’unica lingua universale.

E ora un’ultima domanda. Quali sono i vostri prossimi progetti musicali?

Abbiamo appena concluso una tournée in giro fra le più belle piazze di ogni provincia della Sicilia e non; subito dopo ci siamo messi a lavoro a perfezionare il nostro spettacolo grazie all’aiuto di Adrià Salas Viñallonga cantante de La Pegatina, band di Barcellona molto famosa in spagna.

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Terzo appuntamento con Sergio Criminisi

disegno di sergio criminisi che rappresenta un tempio da cui nasce un mandorlo
Autore: Sergio Criminisi - Anno: 2018
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“Le Vergini Delle Rocce” di D’annunzio, Il Libro Che Ispirò La Festa Del Mandorlo In Fiore

L’idea di realizzare una manifestazione che, attraverso l’eccezionale raro fenomeno della precoce fioritura dei mandorli, esaltasse la primavera agrigentina fornendo così un indiretto ma significativo contributo per il lancio e la commercializzazione di alcuni prodotti agricoli tipici siciliani nacque un pomeriggio d’inverno del 1934 in una saletta dell’Hotel des Temples, un insediamento ricettivo di prim’ordine sorto dalla ristrutturazione di una villa intorno al 1882 e frequentato da una selezionata clientela internazionale anche perché solidamente inserito in un qualificato circuito isolano di escursioni (Palermo, Agrigento, Siracusa e Taormina).

Attorno ad un caffè si erano incontrati il dottor Alfonso Gaetani conte d’Osero, passato alla storia come ideatore della Sagra, e l’ambasciatore di Francia a Roma, conte Charles De Chambrun, che, quando gli impegni erano meno pressanti, raggiungeva volentieri la Sicilia delle cui bellezze si dichiarava ammirato sostenitore.

Fra i due, non si sa come, la conversazione era improvvisamente scivolata sul poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio, per cui l’ambasciatore, incantato dalla natura agrigentina, aveva confidato di essere rimasto colpito un giorno da alcune descrizioni colte nella lettura di un testo dello scrittore pescarese dal titolo “Le vergini delle rocce”.

Nel libro scritto da D’Annunzio nel 1895 ci sono alcuni riferimenti geografici alla Sicilia e al territorio che lo fa singolarmente somigliare a quello agrigentino.

 

L’autore descrive un centro abitato di nome Trigento con una vallata sottostante limitata in fondo dal mare dove fioriscono filari di mandorli le cui piante di aspetto arido e tormentato sono datrici di un frutto opulento. Che Trigento fosse allora Agrigento?

 

Questa fu la domanda che si posero i due interlocutori.

E così, mentre il diplomatico francese rifletteva sulla bellezza di quel paesaggio meravigliosamente descritto da D’Annunzio, il conte Gaetani partorì l’idea di celebrare il rito spontaneo dei mandorli in fiore con una festa aperta a tutti, la Festa del Mandorlo in Fiore appunto.

Composto nel 1894 e pubblicato a puntate sulla rivista “Il Convito”, “Le vergini delle rocce” fu edito in volume nel 1896. Il titolo allude a un famoso quadro di Leonardo conservato al Louvre.

Il romanzo rappresentò una svolta importante, non tanto per la resa poetica, inferiore a quella dei romanzi precedenti, quanto per la testimonianza che offre sia dell’evoluzione spirituale e culturale dello scrittore, sia di una nuova disposizione narrativa.

Il protagonista del romanzo è Claudio Cantelmo, che vorrebbe un figlio per farne un nuovo Re di Roma, un superuomo quindi, e cerca invano una moglie fra le tre figlie dei Capece – Montagna, famiglia borbonica tra le più illustri e magnifiche delle due Sicilie, che vive ritirata nei suoi feudi, nell’antico castello di Trigento (Agrigento, appunto?); ma è difficile scegliere fra le tre belle principesse variamente seducenti e attraenti che vivono sullo sfondo di magnifici e suggestivi scenari naturali.

Cantelmo, assertore della dottrina del «superuomo», convinto che solo la classe aristocratica ha il diritto e la possibilità di governare, disgustato dalla realtà politica contemporanea, dominata, a suo parere, da demagogia e corruzione, sostiene che i nobili devono tenersi lontani dalla lotta politica finché non verrà il giorno in cui il popolo, oppresso dal disordine e dalla miseria, offrirà ad uno di loro la corona regale; ecco che il protagonista vorrebbe procreare il futuro sovrano.

In questo romanzo, dall’intreccio debole, la dottrina del superuomo diventa misura di giudizio etico – politico sulla società contemporanea e il portante strutturale di un idoleggiamento di creature belle, di paesaggi stupendi, tra cui quelli di Trigento che ispirarono la Festa del Mandorlo in Fiore, di scene voluttuose e seducenti, al di là di ogni preoccupazione morale o psicologica.

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La mostra dello strumento popolare

L’amore per la musica e per l’arte in generale portarono il noto agrigentino Claudio Criscenzo, a creare una vera e propria mostra di strumenti popolari provenienti da tutto il mondo.

 

Nel 1994 con la prima rassegna di musica popolare, inserita all’interno della kermesse del mandorlo in fiore, ebbe il merito di portare alla ribalta la sua collezione privata formata da circa 400 strumenti di varia natura (membranofoni, aerofoni, idiofoni, cordofoni e a percussione).

 

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 1Gli innumerevoli viaggi all’estero, la ricerca puntigliosa e puntuale con la quale Claudio Criscenzo amava approcciarsi alla cultura popolare e all’arte in generale, fecero nascere in lui la voglia di trasmettere al vasto pubblico, la collezione di strumenti popolari, che gelosamente nei vari anni aveva raccolto e custodito, prefiggendosi lo scopo di diffondere alle nuove generazioni, ad adulti e bambini, il ricchissimo patrimonio etnico, musicale e culturale; in altre parole l’amore per la musica popolare siciliana e non solo.

Le varie mostre organizzate in tutto il territorio regionale siciliano, oltre all’esposizione visiva degli strumenti, prevedono spiegazioni e dimostrazioni apposite da parte di esperti musicisti, con l’intento di far appassionare l’uditore e promuovere la conoscenza tecnica e non solo di alcuni degli strumenti esposti.

È inoltre installata una postazione multimediale, accessibile a tutti i visitatori, permettendo in questo modo, agli astanti di viaggiare con la mente e con il cuore nel mondo affascinante dei suoni differenti, ma allo stesso tempo accomunati dalla sintonia ritmica della cultura musicale.

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 2Dopo la scomparsa del fondatore Claudio Criscenzo, la mostra da lui ideata viene con amore e dedizione, nonostante le tante incombenze, portata avanti magistralmente dal figlio Luca, con la collaborazione di alcuni musicisti professionisti dell’associazione culturale Gergent.

Di recente, è stata la scuola ‘G. Guarino’ e il Liceo ‘M.L.King’ di Favara che ha accolto con grande entusiasmo la mostra, riscontrando tra i ragazzi enorme fervore.

Una mostra preziosa e unica nel suo genere, composta da innumerevoli strumenti provenienti da ogni angolo della terra, che suonati hanno permesso di far sintonizzare la mente e il cuore dei ragazzi con quelli dei popoli di tutto il mondo.

La musica, che i presenti hanno avuto modo di ascoltare, anche se differente, ha alla base la stessa atavica bellezza e bisogno primitivo di collegarsi al primo “sentire” dell’uomo.

Dall’altra parte, la lingua, come la musica e la cultura non conoscono confini; anzi sono proprio questi ad essere frantumati e trasformati in sentimenti univoci e unilaterali.

collezione di strumenti popolari claudio criscenzo 3Pertanto poco importa, se gli strumenti in questione siano di origine europea piuttosto che africana o asiatica, tutti suonano e intonano la stessa melodia, ovvero quella della musica popolare, etnica, folk.

La mostra oltre a vantare con orgoglio la “collezione Criscenzo” conserva in principio questo scopo; far avvicinare il più possibile, le nuove generazioni e non solo, alla cultura musicale popolare, portatrice della linfa vitale necessaria per i suoni e le melodie del nostro futuro. La musica col suo linguaggio universale, ha la capacità di unire le anime all’unisono, perché la musica con la sua genuina potenza è in grado, più di ogni altra forma espressiva, di superare ogni limite imposto dalle società odierne collegandosi al mondo dei riti e dei canti popolari, prendendo le distanze da ogni genere di consumismo e ideologia di mercato, principale causa di distruzione delle primordiali tradizioni.

Come ha scritto Angelo Vita “Psicopedagogista e docente di storia e filosofia”

mentre Luca ed Angelo erano intenti a farci conoscere con suoni e parole gli strumenti provenienti da ogni parte del mondo, ci hanno permesso di guardare oltre, di ascoltare altro, di trasferirci altrove… in quel mondo in cui la vita è ancora scandita dai suoni tribali fatti di ritmo, di passione e di tanta voglia di vivere la vita nel rispetto assoluto delle a/ritmie che segnano l’esistenza di ciò che solo noi siamo ogni qualvolta lo percepiamo.

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