La Mandorla: Miti, Leggende, Magia E Folklore

La mandorla è il simbolo della nascita e della resurrezione: infatti essendo il mandorlo il primo albero a sbocciare in primavera simboleggia la rinascita della natura, il suo rinnovarsi dopo la morte invernale.

Essa è molto ricca di significati esoterici, è il segreto che si svela rompendo il guscio, che protegge il seme.

Essendo nascosta, rappresenta l’essenza spirituale, la saggezza, la sapienza. Infatti in alcuni riti sacri si prescrive di nutrirsene.

Avendo una forma ovoidale, essa è collegata alla matrice, come simbolo di fecondità e di nascita primordiale dell’universo e, in alcune civiltà, alla Magna Mater (Grande Madre).

Rappresenta un spazio chiuso, protetto, e delimita lo spazio sacro separandolo dallo spazio profano: protettrice che separa il puro, l’originario, dall’impuro.

La vescica piscis, che richiama la mandorla, era un simbolo già noto in India, nell’antica Mesopotamia, in Africa e nelle civiltà asiatiche, ma si diffuse ampiamente soprattutto nel contesto cristiano, mediante l’associazione della figura del pesce a Cristo.

Per tutti questi significati simbolici la mandorla è stata collegata a numerosi miti e leggende, ha. diffuso parole sacre, cultura e folclore, che affondano le radici in tempi lontani nell’area geografica a clima mediterraneo in cui la pianta è coltivata.

Essa è in relazione con particolari divinità antiche, per esempio, nel mito di Attis, la madre Nana concepisce il dio mettendosi in seno una mandorla; nella mitologia greca, essa è il simbolo di Era; noto è anche il mito di Acamante e Fillide.

La fioritura precoce sul ramo di mandorlo appare come un segnale di rinascita al profeta Geremia, nella Bibbia; nell’Esodo, Dio indica a Mosè di prenderne i fiori a modello per forgiare l’oro con il martello in modo da ottenere l’antico candelabro ebraico (Menorah) a sette bracci.

Nel testo biblico dell’Ecclesiaste, i fiori di mandorlo sono l’emblema di quanto la vita scorra velocemente fino all’invecchiamento: entro poco più di una settimana mutano di tonalità dal bianco rosato al bianco candido prima di cadere dai rami.

Antichi riti di magia venivano praticati durante il Medioevo, in cui la mandorla era uno degli ingredienti usati per fantomatici filtri d’amore e persino per pozioni afrodisiache; inoltre era frequente ridurla in poltiglia e mescolarla con olii profumati, tanto da essere utilizzata come base per creme da applicare sul corpo di giovani fanciulle in età da marito, ciò perché i fiori di mandorlo sbocciavano nella stagione considerata propizia per i fidanzamenti.

Anche nel folklore i fiori di mandorlo sono importanti. Alle tradizioni folcloristiche della Spagna appartiene una leggenda araba secondo la quale il califfo musulmano Abd al-Rahman III fece piantare dei mandorli sulle colline attorno al suo palazzo nel villaggio di Madinat-al-Zahra, vicino Cordova.

Voleva restituire il sorriso all’amata moglie Azahara, che soffriva di nostalgia, alla vista dei fiori bianchi assomiglianti al candido manto di neve della Sierra Nevada, che lei un tempo poteva ammirare dalla propria abitazione a Granada.

In Germania vi sono numerose iniziative dirette a promuovere la pianta di mandorlo.

Nella regione del Palatinato è famosissima la “Sagra dei Fiori di Mandorlo” (Gimmeldingen Mandelblütenfest), organizzata a ricorrenza annuale dal 1935, tra la metà di marzo e l’inizio di aprile, nel villaggio di Gimmeldingen, dove i visitatori passeggiano lungo un percorso dedicato alle mandorle, gustando biscotti a forma di questo fiore decorato con glassa rosa; vi è pure l’elezione della “Reginetta dei fiori di mandorlo” dell’anno.

Nel sud del Marocco viene organizzato ogni anno nel mese di febbraio il “Festival del Fiore di Mandorlo”, in cui musicisti, ballerini e cantastorie allietano per l’occasione il villaggio di Tafraoute, tra le montagne Anti-Atlas, al centro della Valle Ameln, famosa per la produzione di mandorle.

Nel nord dell’India, da prima del XIV secolo, tra marzo e aprile, una folla di persone arrivava a Srinagar da tutta la valle del Kashmir per vedere lo spettacolo del giardino storico “Badamwari” (Alcova di mandorle) con i fiori di mandorlo sbocciati appena scomparso il gelo dell’inverno; per l’occasione venivano anche organizzati spettacoli culturali e festival.

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L’appuntamento con Sergio Criminisi

contributo sergio criminisi due 2018
Sergio Criminisi - 2018
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La Mandorla: Miti, Leggende, Magia E Folklore

Temple_of_Hera_-_Agrigento_-_Italy_2015

La mandorla è il simbolo della nascita e della resurrezione: infatti essendo il mandorlo il primo albero a sbocciare in primavera simboleggia la rinascita della natura, il suo rinnovarsi dopo la morte invernale.

 

Essa è molto ricca di significati esoterici, è il segreto che si svela rompendo il guscio, che protegge il seme.

 

Essendo nascosta, rappresenta l’essenza spirituale, la saggezza, la sapienza.

Infatti in alcuni riti sacri si prescrive di nutrirsene.

Avendo una forma ovoidale, essa è collegata alla matrice, come simbolo di fecondità e di nascita primordiale dell’universo e, in alcune civiltà, alla Magna Mater (Grande Madre).

Rappresenta un spazio chiuso, protetto, e delimita lo spazio sacro separandolo dallo spazio profano: protettrice che separa il puro, l’originario, dall’impuro. La vescica piscis, che richiama la mandorla, era un simbolo già noto in India, nell’antica Mesopotamia, in Africa e nelle civiltà asiatiche, ma si diffuse ampiamente soprattutto nel contesto cristiano, mediante l’associazione della figura del pesce a Cristo.

Per tutti questi significati simbolici la mandorla è stata collegata a numerosi miti e leggende, ha. diffuso parole sacre, cultura e folclore, che affondano le radici in tempi lontani nell’area geografica a clima mediterraneo in cui la pianta è coltivata.

 

Tempio di Era ad Agrigento
Tempio di Era ad Agrigento / Di © José Luiz Bernardes Ribeiro /, CC BY-SA 4.0

Essa è in relazione con particolari divinità antiche, per esempio, nel mito di Attis, la madre Nana concepisce il dio mettendosi in seno una mandorla; nella mitologia greca, essa è il simbolo di Era; noto è anche il mito di Acamante e Fillide.

La fioritura precoce sul ramo di mandorlo appare come un segnale di rinascita al profeta Geremia, nella Bibbia; nell’Esodo, Dio indica a Mosè di prenderne i fiori a modello per forgiare l’oro con il martello in modo da ottenere l’antico candelabro ebraico (Menorah) a sette bracci.

Il profeta Geremia - Michelangelo, volta della Cappella Sistina
Il profeta Geremia - Michelangelo, volta della Cappella Sistina

Nel testo biblico dell’Ecclesiaste, i fiori di mandorlo sono l’emblema di quanto la vita scorra velocemente fino all’invecchiamento: entro poco più di una settimana mutano di tonalità dal bianco rosato al bianco candido prima di cadere dai rami.

Antichi riti di magia venivano praticati durante il Medioevo, in cui la mandorla era uno degli ingredienti usati per fantomatici filtri d’amore e persino per pozioni afrodisiache; inoltre era frequente ridurla in poltiglia e mescolarla con olii profumati, tanto da essere utilizzata come base per creme da applicare sul corpo di giovani fanciulle in età da marito, ciò perché i fiori di mandorlo sbocciavano nella stagione considerata propizia per i fidanzamenti.

 

Anche nel folklore i fiori di mandorlo sono importanti.

 

Alle tradizioni folcloristiche della Spagna appartiene una leggenda araba secondo la quale il califfo musulmano Abd al-Rahman III fece piantare dei mandorli sulle colline attorno al suo palazzo nel villaggio di Madinat-al-Zahra, vicino Cordova.

Voleva restituire il sorriso all’amata moglie Azahara, che soffriva di nostalgia, alla vista dei fiori bianchi assomiglianti al candido manto di neve della Sierra Nevada, che lei un tempo poteva ammirare dalla propria abitazione a Granada.

 

In Germania vi sono numerose iniziative dirette a promuovere la pianta di mandorlo.

 

Nella regione del Palatinato è famosissima la “Sagra dei Fiori di Mandorlo” (Gimmeldingen Mandelblütenfest), organizzata a ricorrenza annuale dal 1935, tra la metà di marzo e l’inizio di aprile, nel villaggio di Gimmeldingen, dove i visitatori passeggiano lungo un percorso dedicato alle mandorle, gustando biscotti a forma di questo fiore decorato con glassa rosa; vi è pure l’elezione della “Reginetta dei fiori di mandorlo” dell’anno.

 

Nel sud del Marocco viene organizzato ogni anno nel mese di febbraio il “Festival del Fiore di Mandorlo”, in cui musicisti, ballerini e cantastorie allietano per l’occasione il villaggio di Tafraoute, tra le montagne Anti-Atlas, al centro della Valle Ameln, famosa per la produzione di mandorle.

Nel nord dell’India, da prima del XIV secolo, tra marzo e aprile, una folla di persone arrivava a Srinagar da tutta la valle del Kashmir per vedere lo spettacolo del giardino storico “Badamwari” (Alcova di mandorle) con i fiori di mandorlo sbocciati appena scomparso il gelo dell’inverno; per l’occasione venivano anche organizzati spettacoli culturali e festival.

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La cuccia, una tradizione millenaria tra Sicilia e Grecia

kokkeia panspermiaLa tradizione cristiana, ricordata oggi, 13 dicembre, giorno dedicato alla protomartire siracusana Santa Lucia e celebrato con un piatto a base di chicchi di frumento, conditi con zucchero, latte o ricotta e cioccolato, in realtà ha profonde radici nella religiosità magnogreca.

l termini kokkeion e panspermia indicavano nella religione dell’antica Grecia e quindi anche per gli antichi abitanti della nostra isola, delle pietanze a base di vari cereali e semi, condite con frutta e mosto.

 

Questi piatti potevano anche essere salati e a volte costituivano delle vere zuppe, altamente nutrienti, consumate in onore di particolari divinità: Demetra, la dea delle messi, la figlia Persefone, associata con la madre al melograno,
Dioniso dio del vino e Hermes, protettore dei viandanti.

 

Il grano, la cui spiga recisa simboleggia la morte e i cui semi sono fonte di vita, protagonista di queste pietanze, era caro sia a Demetra che a Dioniso, la cui nascita era celebrata proprio con la recisione di una spiga.

 

kokkeiaGrosse pentole (chytra) venivano lasciate agli angoli delle strade nei giorni in cui si credeva che i defunti tornassero sulla terra e servivano anche per rifocillare i viaggiatori.

 

Questa usanza passerà dai greci ai romani, per poi arrivare ai monaci cristiani che distribuivano pentole di cibarie ai poveri.

Morte e resurrezione si celebrano quindi oggi, gustosamente, da millenni.
Buona kokkeia/cuccia a tutti!

 

Alessandra Conti – Progetto Archeo Cuisine, Associazione Culturale The Phoenicians, Agrigento

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La versione romantica del ciclo delle stagioni: Cerere e Proserpina

ratto di proserpina luca giordano

Molte sono le leggende, i racconti e i miti della storia greca e molti sono i percorsi pagani della terra agrigentina, antica Akragas che si respirano per vie e strade della città e ovviamente percorrendo la via sacra della Valle dei templi, luogo caro agli antichi dei, dove lo splendore dei mandorli in fiore da segni di divinità anche oggi.

Fra i tanti racconti che vengono narrati in questa area vi è un luogo che è magico, ma poco conosciuto, e forse anche per questo continua ad avere questa aurea mistica, e veniva usato fino a pochi decenni fa per riti propizi alla dea Cerere o Demetra come la si voglia chiamare.

Questo luogo è la chiesa di San Biagio, San Milasi per gli autoctoni, costruito su uno degli antichi templi scomparsi che appartenevano alla vecchia Agrigento, dedicati proprio a questa dea che aveva il compito di proteggere la terra, definire con i suoi stati d’animo raccolti e l’avvicendarsi delle stagioni.

Quando si sale sul promontorio proprio sopra al cimitero monumentale della città, si può ammirare la Valle nel suo splendore, specialmente durante il periodo di febbraio e marzo, nel quale tutta la valle sembra vestita di bianco e rosa grazie alla fioritura dei mandorli, e i templi si stagliano di fronte al mare argentato, poco ci vuole a capire perché fosse sorto li il tempio della dea dedicata alla terra, davanti a questo regalo della natura e come da qui si possa vedere lo scorrere delle stagioni.

La mitologia attribuisce infatti a una vicenda legata a Cerere e a sua figlia Proserpina il definire della ricchezza della terra e il susseguirsi dello scorrere del tempo dei fiori e della aridità dai quali nascono i riti eleusini. La storia narra infatti che Proserpina, mentre raccoglieva i fiori presso il lago di Pergusa, dove oggi vi è il Parco di Proserpina, venne rapita da Ade, il dio dei morti e degli inferi, che la portò con sé sottoterra. Cerere, udito il grido della figlia, vagò per 9 giorni alla sua ricerca, riposandosi nel città di Elusi dove venne a sapere del rapimento e che Zeus aveva deciso di dare in sposa sua figlia ad Ade. Il dolore della Madre fu così forte e così grande la sua ira che Cerere fece cadere una carestia sulla terra, non facendo più germogliare i semi, una carestia che avrebbe portato all’estensione degli esseri umani. Zeus preoccupato, senza umani non vi sarebbero stati sacrifici agli dei, chiede ad Ade di restituire Proserpina a Cerere.

Ovviamente Ade, innamorato della bellissima fanciulla, non acconsentì così facilmente, ma fece mangiare a Proserpina i chicchi del melograno, così che avendo condiviso il cibo dei morti non potesse staccarsi completamente dal regno degli inferi. Si raggiunse così il compromesso che la figlia trascorresse 6 mesi con la madre e sei con il marito

Ed è così che quando Proserpina si ricongiunge al marito la madre è triste, ed è autunno e inverno, quando madre e figlia si congiungono Cerere è felice ed è primavera ed estate.

Ad Agrigento nella Valle, già da febbraio, quando i mandorli fioriscono dalla collinetta dove sorge San Milasi, si può vedere il cuore di Cerere, palpitante dell’amore di una madre per l’imminente arrivo della figlia, vestirsi a festa e rinascere.

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Candele, crespelle e purificazione: La Candelora

fiaccolata sagra del mandorlo in fiore agrigento

Si ‘un chiovi ‘a cannilòra ‘u ‘nvernu è sciutu fora“, e così che ogni 2 febbraio aprendo le finestre di casa le signore anziane diventavano le nostre metereologhe e facevano previsioni su future piogge e raccolta delle messi.

Noto è che ad Agrigento la Sagra del Mandorlo in Fiore veniva prima celebrata i primi di febbraio, probabilmente conseguentemente a questa festa che nelle celebrazioni pre-cristiane era la festa di Imbolc che segnava, appunto, il lento arrivo della primavera che scacciava l’inverno, che proprio in questi momenti lasciava le genti allo stremo per la scarsità delle risorse e delle provviste che cominciavano a scarseggiare.

Questa festa era celebrata con l’accensione delle candele per determinare la purificazione del terreno dall’inverno e scacciare i suoi demoni, e resta tradotta nella religione cattolica con la purificazione di Maria Vergine e la presentazione di Gesù al tempio.

Febbraio è anche il mese che vede i festeggiamenti della dea Februa (Giunone, la quale, nel mondo romano, veniva celebrata con l’accensione delle candele ed infatti era anche chiamata Lucina, cioè dea della luce.

Non dimentichiamo che Giunone era protettrice delle partorienti e forse anche per questo le religioni moderne festeggiano il 2 febbraio come festa della purificazione dopo il parto.

Secondo i giudei infatti, una donna che aveva partorito era impura per 40 giorni del sangue mestruale e doveva recarsi al tempio ad accendere una candela per la purificazione al 40° giorno dal parto, e così fece anche Maria dopo la nascita di Gesù.

Le candele accese sono anche ricondotte alle parole di Simenone, che quando vide Gesù lo definì dicendo “luce per illuminare le genti, per questo motivo il simbolo della candela benedetta diviene per i credenti simbolo stesso della vicinanza a Gesù.

La tradizione culinaria, invece, fa delle crepes o crespelle il piatto della Candelora, in diversi gusti cucinate tenendo in mano una moneta, sono di buon’auspicio per festeggiare questo periodo che comincia a profumare di primavera.

Quindi occhio alla finestra oggi per il meteo futuro e buone crespelle a tutti, illuminati da una bella candela!

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Ospitalità, un principio caro a Zeus ed agli Agrigentini

Andrea Appiani (circle) Jupiter und Merkur bei Philemon und BaucisTra le qualità possedute dagli agrigentini senza dubbio una delle più note è l’ospitalità.

Il calore verso chi proviene da altri posti accomuna tutti i siciliani, ma gli agrigentini nell’aprire le porte di casa agli ospiti sono davvero straordinari.

La premura con cui ogni “giurgintano” si prodiga ad aiutare chi è nuovo del posto è notevole già dalla cura con cui ci si mette a disposizione quando si incontra qualcuno che è in cerca di una via o di un albergo; ecco che subito vedi l’agrigentino cercare di farsi capire dallo straniero di turno, improvvisando un inglese scolastico e forse un po’ gesticolato.

Che tu sia un turista italiano o straniero non resterai mai senza l’informazione desiderata perché troverai sempre una persona premurosa pronta a donarti la sua ospitalità fino al punto di accompagnarti all’ingresso del posto desiderato.

Un altro esempio di ospitalità è possibile ritrovarlo nella cura con cui gli agrigentini sono soliti mettere a disposizione le proprie case agli ospiti, anche se si tratta di persone con le quali non si hanno stretti rapporti di amicizia o parentela.

Si parte dai cibi gustosi e abbondanti, preparati secondo le tipiche ricette locali, fino ad arrivare alle profumatissime lenzuola, che odorano di bucato, messe a disposizione dai padroni di casa.

Gli agrigentini hanno fatto loro il principio dell’ospitalità caro a Zeus, noto anche grazie al mito di Filemone e Bauci, narrato nelle “Metamorfosi” di Ovidio.

Si narra che Zeus, sceso sulla terra insieme al figlio Ermes con l’aspetto di poveri mortali, si vide rifiutato dagli abitanti del luogo. Soltanto due anziani coniugi, Filemone e Bauci, che vivevano in una misera casa, diedero loro generosa accoglienza, mettendo a disposizione tutto quello che avevano.

Zeus, riacquistato insieme al figlio l’aspetto da divinità, punì gli abitanti della città, colpevoli di non avere onorato il principio dell’ospitalità, sommergendo tutto con le acque.

Ma Zeus salvò i due coniugi e trasformò la vecchia capanna in un tempio.

Inoltre concesse loro di morire nello stesso momento per non vedere la morte dell’altro coniuge; alla loro morte Filemone fu trasformato in quercia e Bauci in tiglio.

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Il Mito del Mandorlo in Fiore: Acamante e Fillide

Edward Burne-Jones - Phyllis and Demophoon - Google Art Project
Edward Burne-Jones - Phyllis and Demophoon

Oggi vorrei narrarvi la storia dell’albero di mandorlo, quell’albero che, insieme all’omonima festa, ha sempre rallegrato il mio cuore ed i miei occhi ogni volta che lo vedo fiorito nella bella Valle dei Templi, ad Agrigento.

Secondo il mito narrato dal bardo cieco, l’albero esiste come atto di compassione della dea Atena verso uno sfortunato amore.

Se andiamo a cercare in uno di quei bellissimi e polverosi volumi di mitologia, troveremo la storia della passione tra due sfortunati amanti: la bella Fillide ed il valoroso Acamante.

Si tratta di una vicenda tra le più commoventi che la mitologia greca ci tramanda, ricca di pathos ma anche di delicatezza e speranza verso il futuro.

Acamante parte per la guerra, la guerra di Troia; durante il viaggio si trova a sostare per qualche giorno in Tracia.

Durante la sosta, Acamante, figlio di Fedra e Teseo, conosce la bellissima principessa tracia Fillide e, come nella migliore tradizione mitologica e romantica, tra i due nasce un amore delicato e sconvolgente.

Tuttavia le Parche, che tutto filano, hanno in serbo per i due un diverso destino: Acamante deve riprendere il suo viaggio verso la città di Troia e qui rimane per i dieci lunghi anni della guerra a lottare e guerreggiare.

Fillide aspetta l’amato per tutto questo tempo e, non vedendolo arrivare ne avendo sue notizie, muore di dolore.

La bella e sfortunata storia d’amore non sfugge agli occhi della dea Atena, che decide di regalare una sorta di immortalità a Fillide, trasformandola in un albero di mandorlo.

Acamante, finalmente di ritorno dalla guerra, alla fine dell’inverno ritorna in Tracia per incontrare Fillide e qui apprende il destino che le è toccato in sua assenza: egli è distrutto dal dolore e decide di recarsi a trovare l’albero per piangere la sua bella.

Giunto all’albero, Acamante lo abbraccia e qui avviene il miracolo: l’albero, che era stata Fillide, fiorisce regalando all’amato i suoi delicati fiori di quel bel colore bianco e leggermente venato di violetto che sono caratteristici.

Come insegna il saggio Platone, i miti sono come ombre che vengono proiettate a noi, che siamo imprigionati in una caverna, per cui riusciamo a coglierne solo il riflesso.

La fioritura di quest’albero avviene già nel tardo inverno e precede la stessa primavera.

L’albero è il primo a sbocciare e, i suoi fiori sono considerati un simbolo di speranza e delicatezza.

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