Il racconto nel canto: la Sicilia del popolo

Chi non ha mai intonato “Ciuri ciuri” si morda la lingua, chi non ha mai battuto le mani al ritmo di “Vitti na crozza” si faccia avanti e chi non ha mai sorriso ascoltando “La luna in mezzu u mari” scagli la prima pietra: questa musica è di tutti e rappresenta le origini e l’ancestrale grembo di questa isola e dei suoi isolani.

La Sicilia è una terra sonora, dove ogni luogo ha un suo rumore, tramandato da secoli di invasione che hanno dato note diverse e diverse infiltrazioni a un popolo notoriamente rumoroso.

Comunemente a ciò che è la musica, anche in questa isola così multi variegata, spesso la si usa per esprimersi: in primis fu nel lutto, poi i canti dei lavoratori e in particolare degli zolfatari, ed a seguire per tramandare storie affinando melodie e nenie accompagnate da strumenti in uso ancora oggi come il marranzano, il tamburello e lo zufolo.

Per capire l’importanza che riveste il canto e la musica popolare possiamo ricorrere alle parole scritte dal scritte dal filosofo, teologo e letterato tedesco, Johann Gottfried Herder (1744-1803), “I canti popolari sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione […] della vita dei suoi padri, de’ fasti della sua storia…”

Una storia che si tramanda quindi con i suoi costumi e i suoi principali mestieri e abitudine quotidiane come ad esempio il famoso canto dei pescatori “Jetta la riti”, o “U cantu di lu carritteri” o ancora “Passa u ricuttaru”. Questi brani che in taluni casi sono antichi vengono in gran parte interpretati da Gian Campione, cantautore agrigentino del ’46 che ha portato la musica popolare siciliana in tutto il mondo.

Usata per condividere storie, culti ed emozioni la musica siciliana odierna non smette di essere canto di amore, spesso anche di denuncia, verso persone e soprattutto nei confronti della Sicilia stessa, perché un isolano ha un profondo senso di attaccamento alla terra, viscerale e sentimentale come un canto d’amore sa essere, anche quando non corrisposto.

Quindi a volte il canto può essere di una dolcezza commovente e altre di una violenta passione.

Di questo genere di musica non si può non ricordare la più famosa interprete che è Rosa Balistreri, che appunto diceva in merito al suo modo di fare musica: “Si può fare politica e protestare in mille modi, io canto. Ma non sono una cantante.. sono diversa, diciamo che sono un’attivista che fa comizi con la chitarra”.

Una donna forte, che cantava per sfogare la sua rabbia. Il timbro forte ed originale della voce le consentì in seguito di interpretare le canzoni popolari siciliane con un tono fortemente drammatico esprimendo il senso di povertà e orgoglio della sua terra. Un esempio è la sua meravigliosa “Terra ca nun senti”.

“Rosetta a licatisa” (nome d’arte all’inizio della sua carriera) era anche una donna, e in quanto tale romantica, e forse la sua più famosa canzone è appunto “Cu ti lu dissi”.

Nessun siciliano resta fermo o non mostra emozione davanti alle sonorità che abbiamo raccontato qui sopra, dalla prima all’ultima fanno parte della tradizione, della appartenenza e dell’ancestrale natura di ogni isolano, scorrono nel sangue e aspettano solo una nota che li riporti alla luce facendoli risuonare.

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