Il termine tradizione, dal latino traditiònem (deriv. da tràdere = consegnare, trasmettere) può assumere diverse accezioni: nel nostro caso la utilizzeremo come sinonimo di consuetudine, intendendo con questo termine, la trasmissione nel tempo, all’interno di un gruppo umano, della memoria di eventi sociali o storici, delle usanze, dei riti, della mitologia, delle credenze religiose, dei costumi, delle superstizioni e leggende.
Le tradizioni popolari o folkloristiche sono in questo senso una consuetudine, le danze, i canti, i proverbi, gli antichi mestieri che attraverso le tradizioni di un popolo si mantengono in vita e che il Gruppo Folklorico Gergent con la sua attività costante, in campo nazionale e internazionale, porta avanti da circa ventisei anni.
Dell’innumerevole patrimonio di costumi tipici siciliani, purtroppo oggi non resta molto, essendo oramai quasi del tutto spariti; tuttavia, qualche traccia la si può ritrovare nei paesi dell’entroterra siciliana dove ancora oggi usi e tradizioni sono più radicati, e con essi alcuni costumi tradizionali sia maschili che femminili.
Tutto quello che oggi sappiamo sui costumi lo dobbiamo al grande maestro delle tradizioni popolari siciliane Giuseppe Pitrè, che nel corso dei suoi anni raccolse e poi riunì in un museo etnografico da lui fondato nel 1909, diviso in 20 sezioni, documentazioni sugli usi e sui costumi del popolo siciliano, insieme alle credenze, ai miti, alle tradizioni di Sicilia (la casa, filatura e tessitura, arredi e corredi, i costumi, le ceramiche, l’arte dei pastori, caccia e pesca, agricoltura e pastorizia, arti e mestieri, e così via).
In Sicilia i costumi tradizionali antichi erano piuttosto semplici, variegati e in alcuni casi anche ricchi. L’abbigliamento tradizionale della donna e dell’uomo siciliano erano dunque composti da diversi capi realizzati con diverse fogge e fatture, e spesso e volentieri anche i colori variavano; gli abiti dei giorni quotidiani inoltre erano distinti da quelli della festa.
I costumi a cui il gruppo Gergent rimanda sono un rifacimento pressoché verosimile degli abiti dei popolani e delle popolane dell’ottocento siciliano.
Il costume femminile è composto: da una gonna lunga di broccato blu, rossa, gialla o da gonne nere orlate con pizzo sangallo; da un grembiule di cotone bianco o a fiori, oppure di lino a seconda dell’uso; dai mutandoni in cotone bianco, che coprono le gambe sino alle ginocchia, arricchiti da pizzo san gallo e da un nastrino rosso all’estremità; da calze di lana o di cotone (a seconda della stagione); da scarpe di pelle nera con punta leggermente arrotondata e da una fibbietta sul collo del piede.
La parte superiore è composta da un gilet nero di velluto orlato da una passamaneria a fiori per decorare e rifinire il corpetto, stretto e allacciato da un filo di coda di topo lucida di raso rosso; la camicia bianca fornita di pizzo san gallo nel girocollo e nei polsini con un nastrino rosso intrecciato ad esso.
Il capo è acconciato da alcuni spilloni e fiori che servono a rendere più prezioso il “tuppu”, ciò deriva da un’antica usanza di raccogliere i capelli delle donne per facilitarne il lavoro e altresì per essere più sistemate e non avere la necessità di lavare i capelli, data la scarsa possibilità di un tempo. Il capo è inoltre talvolta coperto da un “fazzulettu”, a seconda delle occasioni, di lavoro o di festa.
Il fazzulettu talvolta poteva essere di pizzo nero o bianco o di cotone. Durante le processioni, infatti, le donne solevano abbinare ai propri capi di tutti i giorni un pezzo più raffinato, che veniva per l’appunto dedicato alle grandi occasioni, questo poteva essere di pizzo bianco o nero.
Il vestito viene completato da una mantellina di lana, generalmente nera e lavorata a mano, che veniva indossata per qualsiasi evenienza. Infatti sempre il Pitrè ci riporta che lo scialle era un capo universale, che andava bene per ogni ora del giorno e della notte e per ogni stagione e veniva indossato dalle donne siciliane per andare al mercato oppure in città, a sbrigare le commissioni per la casa. Il manto aveva anche in un certo senso una funzione sociale. A Messina, chiamavano il manto ‘orate frates’ perché all’occorrenza consentiva alle ragazze di scoprirsi per mettere in evidenza il collo e il seno.
In altri luoghi dell’Isola invece, la mantella aveva il compito di distinguere le donne di buona famiglia da quelle appartenenti ai ceti meno abbienti e dunque possederlo era un vanto, ma anche una ricchezza per una donna dell’epoca.
L’abito maschile rimanda anch’esso a quello tipico dei popolani dell’ottocento ed è costituito: da camicia bianca di cotone; gilet a coste di velluto nero con bottoni neri e una fibbietta nella parte posteriore; da un fazzoletto rosso posto sul collo o sul capo, se utilizzato durante la raccolta dell’uva o la mietitura del grano, per far sì che tutto il sudore venisse trattenuto e asciugato dallo stesso; ed infine dai pantaloni sempre a coste di velluto nero, detti in siciliano “causi” lunghi fino alle ginocchia con delle aperture ai lati e stretti da un bottone, senza apertura davanti bensì sui fianchi, ai quali viene poi abbinata una fascia di lana in vita di colore rossa o gialla che funge da ‘panzera’.
Le scarpe sono basse nere a punta rotonda mentre i calzettoni sono o di cotone o di lana bianca. L’abito può talvolta essere completato da una “coppula” nera di velluto oppure da una giacca di velluto a coste nera, in occasioni di festa.
Il Pitrè ancora una volta è essenziale per la nostra ricerca sui costumi e per quanto concerne l’abito maschile si apprende che innanzitutto anche gli abiti che venivano indossati dagli uomini si potevano dividere in abiti per le attività quotidiane e per le occasioni speciali.
Una prima differenza si ha invariabilmente con il passaggio da un ceto all’altro.
L’abito era più semplice tanto più basso era il rango sociale difatti, quello più semplice era dei pastori. I contadini si vestivano invece con dei pratici ‘causi’, ai quali veniva poi abbinata una cintura in vita che solitamente era una fascia in tessuto; in essa infatti il contadino poteva riporre alcuni piccoli attrezzi per la pausa, come i coltellini che servivano a creare “i friscaletti”, i piccoli strumenti a fiato del folclore musicale, oppure il pranzo. In seguito, con il passare delle epoche, i calzoni si allungarono, le giacche si accomodarono al corpo e stoffa e colore iniziarono ad essere associati all’appartenenza sociale.
Nata ad Agrigento il 10 ottobre 1991. Ha frequentato il Liceo scientifico E. Majorana di Agrigento; ha conseguito la Laurea triennale in Lettere moderne presso Università degli studi di Palermo; sta conseguendo la laurea magistrale in Filologia moderna ed Italianistica presso Università degli studi di Palermo. Componente dell’Associazione Culturale Gergent dal 2001, promoter della pagina Facebook ed Instagram del gruppo folkloristico Gergent di Agrigento.