Storia del Mandorlo in Fiore: Seconda Puntata

sagra del mandorlo in fiore 1940 agrigento

Dopo il battesimo del 1937 e il significativo successo ottenuto, la Sagra del Mandorlo in Fiore di Agrigento continuerà il suo cammino fino al 1940, a causa della seconda guerra mondiale, per poi interrompersi e riprendere solo nel 1948 con la quinta edizione.

sagra del mandorlo in fiore 1940Dalla seconda alla quarta edizione (1938-1940) la Sagra viene gestita dagli organismi locali fascisti, in particolare dal dopolavoro.

Dopo la fine della guerra, con la caduta del fascismo, saranno invece nuove organizzazioni locali a continuare l’esperienza.

Per la seconda edizione del 1938, viene scelto a presiedere il programma della manifestazione Francesco Sinatra, professore ed intellettuale particolarmente stimato in città.

La manifestazione si tiene nella Valle il 15 febbraio del 1938 e vede la partecipazione di gruppi folcloristici in costume oltre che della provincia di Agrigento anche di Catania, Messina, Palermo.

Continua ad essere un momento centrale molto atteso quello della sfilata dei carri siciliani.

Nel 1939 la sagra viene iscritta nel calendario regionale delle celebrazioni della primavera siciliana. Questa terza edizione si svolge nella domenica del 26 febbraio ed è curata dall’Ente Provinciale del Turismo con la collaborazione del Dopolavoro.

Si registra un considerevole aumento di carovane di automobilisti provenienti da molti comuni della Sicilia. Quell’anno sfilano insieme ai carri allegorici anche autocarri artisticamente addobbati.

La manifestazione si svolge nella spianata del tempio della Concordia e viene ripresa per la prima volta dalle telecamere di Film Luce.

Su uno degli autocarri partecipanti viene posto un gigantesco tempio di Castore e Polluce il legno che fa molto effetto.

I gruppi in costume che partecipano diventano una dozzina.

Il programma della manifestazione prevede anche l’elezione di Miss Primavera e anche la prima giornata dell’auto nella Valle dei Templi, organizzata dall’automobile Club.

La domenica dell’11 febbraio 1940 si svolge la quarta edizione che sarà l’ultima del periodo fascista.

Oltre che nella Valle dei Templi, la Sagra del Mandorlo in Fiore quell’anno comprende alcune iniziative che hanno come palcoscenico il viale della Vittoria e il giardino dove si trova il Monumento ai Caduti.

I negozianti partecipano al concorso per la migliore vetrina, che doveva esaltare la celebrazione della primavera agrigentini.

Carri siciliani e autocarri addobbati fanno ormai parte della festa, ma insieme al loro viene organizzato un corteo con complessi musicali che da Piazza Municipio arrivano in piazza Cavour, dove viene allestito un palco per l’esibizione.

Tra il pubblico spiccano un centinaio di universitari fascisti dell’Università di Palermo con le divise della GUF, la gioventù universitaria fascista.

Nel pomeriggio ci fu il raduno al tempio di Giove con i gruppi dei canterini e danzerini della provincia.

Le cronache del tempo dicono che lo spettacolo viene seguito da almeno 20.000 persone.

Sconti di viaggio per l’occasione sono stati assicurati dalle Ferrovie.

A conclusione di quella giornata si svolge una fiaccolata da piazza Vittorio Emanuele a piazza municipio a cui prendono parte tutti i gruppi folcloristici. Il Giornale di Sicilia il 13 febbraio 1940 dedicò a quella edizione della sagra un ampio articolo corredato da belle foto.

La danza: arte e vitalità

ballerini al mandorlo in fiore agrigento

danza al mandorlo in fiore agrigentoDanzare a suono di musica, senza musica, soli o in gruppo.

La danza accompagna l’uomo in tutto l’arco della sua vita.

Basti pensare al famoso gioco/danza “giro giro tondo”, o più recentemente i video virali sul canale Youtube di bambini che danzano al suono di famose canzoni.

La danza ci “attiva”, ci dà “energia”; comporta l’attivazione di tutta una serie di muscoli e di funzioni corporee vitali, la respirazione, la coordinazione muscolare, etc. La danza ci “rende vivi”.

Martha Graham, celebre danzatrice e coreografa statunitense del XX secolo, definì la danza come “il linguaggio nascosto dell’anima”; scrive della danza:
“Credo che la ragione per cui la danza ha mantenuto intatta la propria eterna magia sia che essa è il simbolo della vita”

Persino in questo istante, mentre scrivo, il tempo sta trasformando l’oggi in ieri, in passato.

Col tempo le scoperte scientifiche più brillanti saranno riviste e superate, e ne emergeranno di nuove. L’arte, invece, è eterna, perché rivela il paesaggio interiore, l’animo umano.” (Memorie di sangue, Martha Graham)

La danza ha origini molto antiche ed ha rivestito diverse funzioni (danze religiose, danze guerriere, danze profane). La si ritrova nella mitologia e in affreschi di ogni epoca.

Nell’opera dell’Iliade, Omero, nel descrivere lo scudo di Achille, rende noto la presenza di giovani uomini e fanciulle che danzano in cerchio.

Si è ballato, e si continua a farlo, in tutto il modo, in ogni nazione, e spesso la danza ha caratterizzato anche l’identità di un popolo.

Basti pensare ad esempio all’Haka, la danza tipica del popolo MᾹORI, l’etnia originaria del popolo della Nuova Zelanda. Lo studioso Alan Armstrong, nel suo libro Games and Haka, la descrive come una complessa danza, espressione della passione, del vigore e dell’identità della razza, un messaggio dell’anima.

In un interessante articolo “La musica e la danza come terapia”, uscito nel 2015 nella Rivista della Società Italiana di Psiconeuroindocrinoimmunologia, il Professore S. Colazzo e il Professore F. Bottacciolo, trattano del ruolo della danza (e della musica) “che cura”.

La danza, come forma di arte, entra a pieno titolo all’interno delle Arti Terapie ed è stata, ed è tuttora, utilizzata per due scopi principali: la modulazione delle emozioni e il consolidamento del senso di comunità.

Si può ricordare l’esempio della “Pizzica” o “Taranta” salentina, una danza popolare ballata un tempo, e tutt’ora in alcune zone del Salento.

Questa danza è legata al rito del tarantismo: le donne morse dalla taranta, che si trovavano in uno stato di alterazione della coscienza (trance), venivano accompagnate, al suon di musica con la presenza di una vera e propria piccola orchestra, in un processo di “purificazione” dal male attraverso il ballo.

La danza coinvolge il corpo e la psiche dell’individuo.

“La danza è un’esperienza sociale, anche quando è a due. Per ballare con un’altra persona occorre aprirsi verso l’altro”.

L’ascolto del suo ritmo, la sincronizzazione del tuo corpo su quello dell’altro, il contatto sensoriale, inducono modificazioni cerebrali che ancora non conosciamo bene per la difficoltà tecnica di registrazione del cervello che danza, ma che sono intuibili e che da studi parziali emergono con chiarezza.” (S. Colazzo, F. Bottacciolo, 2015).

E’ evidente la complessità del ruolo della danza nella vita dell’individuo, la sua funzione sociale, che crea e consolida l’identità e che mette in comunicazione diverse individualità.

Voglio concludere con una frase di Vicki Baum, scrittrice, sceneggiatrice e giornalista austriaca naturalizzata statunitense: “Ci sono delle scorciatoie per la felicità, e la danza è una di queste.”

 

Bibliografia
“Maori Games and Haka: Instructions, Words and Actions”, Alan Armstrong, Reed, 2005.
“Memoria di sangue”, Martha Graham, Garzanti, 1992.
Omero, Iliade, XVIII.
Rivista della Società Italiana di Psiconeuroindocrinoimmunologia, n.2 anno 2015 pneireview.

Cassata alla Siciliana

La cassata è un prodotto tipico della pasticceria siciliana; è una torta a base di ricotta di pecora zuccherata, pan di Spagna, pasta reale e frutta candita.

La parola “cassata” deriva dall’arabo qas’at che significa scodella o dal latino caseum cioè formaggio.

Questa torta tradizionale era nata per celebrare la Pasqua dopo i sacrifici quaresimali, ma è diventata presto un dolce consumato tutto l’anno.

Un proverbio siciliano recita “Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua” che significa “Meschino chi non mangia cassata la mattina di Pasqua”.

La cassata risale dunque al periodo della dominazione araba in Sicilia, fu poi arricchita nel periodo normanno in cui venne creata la pasta reale; agli Spagnoli si deve invece l’introduzione del cioccolato e nel periodo Barocco si aggiungono i canditi. L’introduzione della glassa di zucchero sembrerebbe ricondurre invece il nome all’inglese glass, vetro, da cui glassata, cassata.
La preparazione della cassata richiede molta abilità, soprattutto per realizzare le ricche decorazioni
da cui è caratterizzata.

Inoltre ne esistono diverse varianti, a seconda della parte della Sicilia in cui viene preparata.

La cassata è il dolce siciliano più coreografico e prepararlo contribuisce a diffondere in casa l’aria di festa. Personalmente ogni volta che faccio la cassata mi diletto a creare decorazioni particolarissime.

 

Tempo di preparazione: 70 minuti
Tempo di cottura: 30 minuti
Tempo totale: 100 minuti

 

Ingredienti

Per il Pan di Spagna:
5 uova fresche
220 g di zucchero
220 g di farina
1 bustina di vanillina

Per la farcitura:
700 g di ricotta di pecora
300 g di zucchero a velo
30 g di canditi misti
aroma vaniglia

Per la glassa/ghiaccia:
175 g di zucchero a velo
20 g di albume di uova extra fresche Granarolo
25 g di succo di limone

Per la decorazione:
70 g di gelatina di albicocche
400 g di pasta di mandorle
colorante alimentare verde
20 g di zucchero a velo
35 g di canditi misti

 

Preparazione

Per il pan di Spagna: montate il più possibile le uova con lo zucchero fino ad ottenere una battuta gonfia e spumosa. Aggiungete la vanillina.

Setacciate sulla battuta la farina amalgamandola, poi versate il composto in uno stampo rettangolare, imburrato e infarinato e infornate a 180° per 25/30 minuti.

Sfornate il pan di Spagna, sformatelo e lasciatelo raffreddare su una griglia.
Foderate lo stampo per cassata con pellicola e coprite il fondo con un disco di pan di Spagna tagliato a misura. Tagliate anche delle fette alte circa 5 cm e con i lati leggermente a trapezio per foderare il bordo dello stampo.

Passate nel setaccio la ricotta, aggiungete lo zucchero a velo e l’aroma, poi sbattete fino a renderla cremosa. Aggiungete i canditi. Riempite il guscio di pan di Spagna con la farcitura livellandola.

Coprite con un secondo disco di pan di Spagna tagliato a misura e appoggiatevi sopra un piatto premendo leggermente. Mettete in frigo per 8 ore.

Sformate la cassata ponendola su un disco rigido di diametro leggermente inferiore.

Spennellate la cassata con la gelatina di albicocche calda.

Su un foglio di carta da forno spolverato con zucchero a velo stendete la pasta di mandorle già colorata con una puntina di colorante verde a uno spessore di 3/4 mm.

Fasciate il bordo del dolce lasciando qualche millimetro di abbondanza.

Spennellate con un pennello intinto in poco liquore bianco.

Preparate la glassa sbattendo gli ingredienti indicati, trattenetene da parte 100 g e versate il resto sulla superficie della cassata ricoprendola. Aggiungete alla glassa avanzata 20 g di zucchero a velo e con un sac à poche apponete i puntini sul bordo e il decoro sulla fascia verde.

Riponete di nuovo in frigo per alcune ore e, prima di servire, completate il centro del dolce con una guarnizione di canditi. Infine mangiate con moderazione!

 

Mandorla Benefica: la cura del corpo con l’olio di mandorle

Se è benefico avere gli occhi puntati sopra un campo di mandorli fioriti, meglio ancora annusarne l’odore o assaporare il gusto di questo frutto della primavera, il benessere che se ne può ottenere utilizzandolo in cosmesi può essere pari, se non addirittura superiore.

Non vi donna che non lo abbia provato, Cleopatra e la stessa Giuseppina Bonaparte sono le più elitarie fan di questo prodotto che usavano in grande quantità, a cospargersi del prezioso olio di mandorle il corpo, per i suoi famosi effetti contro gli inestetismi come le fastidiose smagliature, la cellulite, la secchezza e la disidratazione

Dal frutto del mandorlo si ottiene, infatti, attraverso un procedimento di spremitura a freddo, un olio trasparente, chiaro e inodore con elevato potere idratante ed emolliente grazie alla sua natura triglicerica è costituito per oltre il 95% da acidi grassi insaturi e polinsaturi (acido oleico e linoleico), per il restante 5% da acidi grassi saturi come l’acido miristico, elementi questi che fanno benissimo alla pelle!

Vi sono diversi usi in cosmesi.

Innanzitutto le sopracitate smagliature. Sia chiaro non vi sono effetti miracolosi nei confronti delle smagliature già consolidate, ma in quelle dette attive, quando sono ancora rosate, le numerose proteine, le vitamine del gruppo A, B ed E, i glucidi e i sali minerali lo collocano fra i migliori, e meno aggressivi, rimedi per prevenire e lenire gli effetti di questi fastidiosi inestetismi che colpiscono tutte le donne in gravidanza, o in età adolescenziale.

Ovviamente è anche adatto quando la pelle è stressata da un ingrassamento o dimagrimento perché nutrendo il derma, la rende più elastica e quindi meno propensa a lasciare i segni dei mutamenti di estensione.

Come tutti gli olii è meglio applicarlo sulla pelle ancora bagnata dopo la doccia, e grazie alla loro dermo affinità, visto che le proteine in esso contenute sono simili al collagene prodotto dalla pelle stessa, non lasciano unto e idratano perfettamente, penetrando negli strati più profondi della cute dove rilascia i suoi principi attivi.

Un altro uso è quello per i capelli, per i quali un impacco dai 20 minuti a tutta la notte sui capelli umidi, li lascia maggiormente nutriti e lucidi.

La delicatezza dell’olio lo porta ad essere anche un migliore struccante, adatto a tutti i tipi di pelle, che però non va passato sul contorno occhi per evitare reazioni allergiche in questa zona così delicata. Basterà metterne qualche goccia su un batuffolo di cotone e il gioco è fatto.

È molto utile anche per il trattamento delle pelli secche e arrossate e attenua il prurito nel caso di malattie esantematiche come il morbillo o la rosolia e accelera la guarigione delle dermatosi.

Da non dimenticare la cura di mani e unghie, massaggiando infatti tutte le sere con qualche goccia di olio di mandorle questa parte del corpo, si potrà notare un pelle più morbida ed elastica, delle unghie più sane e lucide e si potrà anche prevenire la comparsa delle macchie scure sul dorso delle mani, tipico segno dell’età che avanza.

Bella alla vista, buona al sapore, benefica al corpo: La mandorla regina del Mediterraneo.

Si Presenta Il Festival “I Bambini Del Mondo”

Il Festival Internazionale “I Bambini del Mondo“, che si terrà dal 4 al 7 marzo, verrà presentato venerdì 10 febbraio alle 10:30 presso Casa Sanfilippo.

manifesto i bambini del mondo 2017 agrigento organizzato da Luca CriscenzoCinque i gruppi internazionali partecipanti: il “Children Group Sama” di Baku in Azerbaijan, il “Dance Ensemble Severniache” di Popovo in Bulgaria, il “Kinnari Promosindo” di Jakarta in Indonesia, il “Gop Necla-Ilhan Ipekci” di Ankara in Turchia e il “Folk Song Dance Ensemble Lublin” di Lublin in Polonia.

I gruppi folcloristici dei piccoli agrigentini saranno: “Gergent”, “Oratorio Don Guanella”, “I Piccoli del Val D’Akragas”, “I Picciotti da Purtedda”, “Fabaria Folk” e “Fiori del Mandorlo”.

Quartet Folk: restauro di musica tradizionale

quartet folk agrigento mandorlo in fiore

Il gruppo dei Quartet Folk nasce nel luglio del 2014 dalla collaborazione fra Antonio Cannella (chitarra, fiati e voce), Dario Mantese (mandolino fiato e voce), Gerlando Barbadoro (percussioni e voce), Francesco Carnabuci (fisarmonica e voce) e nonostante sia ancora in lavorazione il loro primo disco, hanno già alle spalle diversi premi e onorificenze.

I Quartet Folk, radicati in Sicilia, ad Agrigento terra natia dei componenti, portano avanti quel meraviglioso progetto di rendere noto e tramandare il suono e le poesie della musica popolare siciliana, arricchendole dei loro studi con nuove colorature interpretative grazie a piccole varianti strumentali.

Abbiamo voluto chiedere a questi “ambasciatori” delle tradizioni canore siciliane quale cosa in più in merito al loro progetto musicale:

 

Quartet Folk, quartet perché siete 4, ma spiegateci cosa vuol dire per voi Folk e come mai questa scelta e non una più Pop, a chi dei 4 è venuta in mente?

A dire il vero abbiamo riflettuto insieme sul nome da acquisire e per prima cosa siamo partiti dalla parola “Folk“perché, a differenza di molti coetanei nostri, abbiamo sin da piccoli portato la musica popolare nel cuore e continueremo a farlo. Alla tradizione del Folk abbiamo voluto abbinare un’altra parola “moderna” come manifesto della nostra musica: la musica tradizionale rivisitata in chiave moderna, e da qui la scelta congiunta di “Quartet“.

 

Nel vostro percorso c’è una bellissima esperienza, con uno scambio interculturale con la Harding University, dell’Arkansas, America. Come siete arrivati all’Università americana e cosa vi portate dietro da questa esperienza?

Abbiamo iniziato a suonare per gli studenti della Harding giá qualche anno fa, prima ancora di unirci sotto il nome di Quartet Folk. L’università americana porta periodicamente i propri studenti in visita nella nostra Agrigento e per 2/3 giorni rimangono in cittá per scoprirne ed ammirarne le meraviglie che essa possiede. In questo breve periodo una serata è dedicata alla conoscenza delle tradizioni popolari e, presso il centro culturale Funduk, ci esibiamo alla presenza di 50/60 studenti.

Non siamo certo nuovi ad esibizioni per gruppi di turisti ma certamente la possibilità di suonare per dei coetanei e vedere che gli stessi, pur non capendo quasi un accidenti di quello che cantiamo, si divertono ed apprezzano il nostro lavoro, ci riempie d’orgoglio e ci spinge a fare sempre meglio.

 

Tanti altri successi come il festival del gelato di palermo, l’artigianato in Fiera, e la Sagra del mandorlo, quali fra questi vi ha dato più energia per continuare a produrre e quale vi ha emozionato di più?

Mandorlo in Fiore, Sherbet e Artigianato in Fiera: stiamo parlando di 3 grandi eventi di significativa rilevanza. La Sagra del Mandorlo in Fiore ci ha visto crescere prima come persone e poi come artisti, ma le grandi emozioni vissute in quel di Milano e Palermo non possono avere paragoni.

Crediamo che questo sia dovuto al fatto che quando ti esibisci a casa, poche e sterili possono essere le critiche, perché sei circondato da parenti ed amici che per tanti motivi si congratulano con te. Invece quando ti ritrovi in contesti molto più grandi come appunto le cittá di Milano e Palermo, dove non conosci nessuno, vedere che il tuo lavoro é molto apprezzato e valorizzato, é davvero una grande soddisfazione.

 

Abbiamo letto che state lavorando sul nuovo e primo disco dei Quartet Folk ci volete dare qualche anticipazione?

Stiamo lavorando a questo nostro primo vero progetto, un album intitolato “Pruvulazzu”, dove oltre a dei brani inediti stiamo “rispolverando” dei brani realizzati da grandi artisti del panorama musicale siciliano rimasti per troppo tempo chiusi in cassetto.

 

Dove possono trovarvi i nostri fan e lettori?
É possibile contattarci e seguirci sulla nostra pagina Facebook, su Instagram e su YouTube.

 

 

 

Musica popolare e Folclore in Sicilia

Dal 4 al 12 Marzo 2017 ad Agrigento si terrà la 72° edizione del “Mandorlo in Fiore”.

Agli ideatori di questo evento va il plauso dell’intera comunità scientifico-culturale internazionale.

 

Probabilmente è la manifestazione folcloristica tra le più significative del patrimonio culturale immateriale promosse in Europa.

 

Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le pratiche, rappresentazioni, espressioni, sapere e capacità, come pure gli strumenti, artefatti, oggetti, e spazi culturali associati, che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi anche i singoli individui, riconoscono come parte integrante del loro patrimonio culturale.

Ciò che rileva, in particolare, non è la singola manifestazione culturale in sé, ma il sapere e la conoscenza che vengono trasmessi di generazione in generazione e ricreati dalle comunità ed i gruppi in risposta al loro ambiente, all’interazione con la natura e alla loro storia.

Il patrimonio immateriale garantisce un senso di identità e continuità ed incoraggia il rispetto per la diversità culturale, la creatività umana, lo sviluppo sostenibile, oltre ché il rispetto reciproco tra le comunità stesse ed i soggetti coinvolti.

Nel 1984 l’UNESCO ha lanciato un programma sul patrimonio culturale immateriale. Dopo qualche anno, nel 1989, la Conferenza Generale dell’UNESCO ha adottato la raccomandazione sulla tutela della cultura tradizionale ed il folclore.

Nel 2003 l’UNESCO ha redatto un documento ove si riconosce l’importanza della trasmissione orale ai fini della continuità del patrimonio culturale immateriale, così come la pluralità globale delle forme tradizionali di espressione culturale.

Il Patrimonio Immateriale, come indicato all’art. 2 della relativa Convenzione del 2003, è individuabile in 5 settori:

  • tradizioni ed espressioni orali, incluso il linguaggio in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale
  • arti dello spettacolo
  • consuetudini sociali, riti ed eventi festivi
  • saperi e pratiche sulla natura e l’universo
  • artigianato tradizionale

La Sicilia è probabilmente la Regione italiana che più si è spesa per evitare di disperdere il proprio patrimonio culturale immateriale.

Sin dai primi anni del XIX secolo diversi intellettuali siciliani hanno cercato di recuperare e di classificare racconti, poesie, filastrocche, fiabe, musiche, danze e balli, canti e inni, usanze religiose e quant’altro avesse attinenza con la cultura popolare.

Tra questi studiosi vorrei citare una delle opere letterarie del medico palermitano Giuseppe Pitré (1841 – 1916).

Nel 1870 esce a Palermo il libro di Pitré “Canti popolari siciliani”.

Un’opera di grandissimo valore storico. Un esempio che aprì la strada all’etnomusicologia”. Ramo della musicologia nato alla fine del XIX° secolo.

Oggetto di studio dell’etnomusicologia è l’insieme delle tradizioni musicali che non rientrano nella musica colta e che comprendono invece tutte le espressioni musicali legate a gruppi etnici o sociali, tramandate principalmente per via orale (patrimonio culturale immateriale).
Lo scrittore palermitano Pitré introdusse così la sua opera:

“ … Ecco una raccolta di poco meno che mille canti popolari siciliani quasi tutti inediti, da aggiungere ai milletrecento di Lionardo Vigo e ai settecentocinquanta di Salvatore Salomone-Marino. Essi son comunissimi in tutta Sicilia, sebbene raccolti altri nelle provincie di Messina e Siracusa, altri in quella di Girgenti, e la maggior parte nella provincia di Palermo. … “.

In tutto furono classificati circa tremila brani.

Ma chi era Giuseppe Pitré?

Fu il primo intellettuale italiano che diede origine allo studio sistematico, su base scientifica, del folclore italiano.

Dopo aver dato alle stampe “Canti popolari siciliani” realizzò nel 1894 un’opera editoriale di grandissimo valore filologico: la «Bibliografia delle tradizioni popolari italiane».

Fondò e diresse ininterrottamente dal 1880 al 1906 la “Rivista Archivio per lo studio delle tradizioni popolari».

Quest’uomo fu davvero un esempio di straordinaria vivacità intellettuale.

L’11 aprile del 1916 il Presidente del Senato del Regno Giuseppe Manfredi lo ricordò durante una seduta ufficiale dell’assemblea. In occasione della commemorazione il Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti Vittorio Emanuele Orlando espresse un nobile pensiero che ivi riporto: “…Ebbene, quest’uomo seppe da solo creare questo immane corpus degli usi, delle tradizioni, delle costumanze siciliane, che, attraverso la fiaba, la leggenda, il motto ci ricollegano ai grandi padri Arii e ci fanno rinvenire negli umili strati della scienza e della sapienza popolare quegli elementi etnici primigeni, che apparivano svaniti e distrutti nelle millenarie vicende de’ tempi ma che, invece, vivono ancora con giovinezza perenne e immortale. …”. (qui il link alla sua pagina su senato.it)

La Sicilia è quindi una terra ricchissima di cultura e di tradizioni.

Ma per certi versi la cultura, la musica ed il folclore di questa splendida isola posta al centro del Mediterraneo, altro non è che il risultato di un connubio tra diverse civiltà che si andarono a innestare nel tempo sul territorio.

Le dominazioni che si succedettero nei secoli lasciarono, infatti, ricchezze consistenti: opere letterarie, opere teatrali, strumenti musicali, inni, canti, balli.

La musica, la danza ed il canto popolare di quest’isola affondano le proprie radici nelle tradizioni elleniche, arabe e bizantine.

Dal tardo medioevo a seguire si succederanno nei secoli regnanti svevi, francesi, spagnoli ed i borboni.

Cercare di tracciare le origini del folclore siciliano sarebbe del tutto inutile.

Verosimilmente si può invece affermare che la tradizione orale e manuale sia riuscita a trasmettere alle generazioni che si succedettero nel tempo melodie, canti e balli i quali, tramandati da villaggio a villaggio, da paese a paese hanno assunto persino aspetti differenti, dando così vita a numerose varianti.

Gli strumenti tipici della musica popolare siciliana sono lo scacciapensieri (in metallo, simile ad un ferro di cavallo) che è chiamato, a seconda della zona, pure mariolu, marranzanu o ngannalaruni, il azzarinu (uno strumento a percussione), il friscalettu o zufolo (flauto a becco), il tammurinu (grande tamburello), la ciarabedda o ciaramella (zampogne ad ancia doppia o semplice), la fisarmonica, il mandolino e la chitarra.

La danza popolare è un’espressione autentica della cultura di un popolo, di un territorio, di una tradizione. La musica, i passi e persino le coreografie sono intrecci di profondi significati culturali.

Danza e canto rappresentavano la tradizione e non esisteva una danza o un canto senza l’accompagnamento di uno strumento.

Di solito si ballava in occasione di un particolare evento e ciò serviva come momento di condivisione e di aggregazione collettiva. Le danze tradizionali appartengono al loro popolo e sono legate a momenti di vita particolare di una specifica comunità.

Tra le danze e i balli che maggiormente si fanno risalire alla tradizione siciliana ricordiamo:

  • Ballo della cordella
    La rappresentazione del ballo della cordella avviene durante i matrimoni o nel mese di maggio, ciò evidenzia un chiaro richiamo alla fertilità della terra. Dodici coppie di ballerini (simboleggianti i mesi dell’anno) ballano intorno ad un palo sormontato da spighe di grano reggendo dei nastri di vari colori, che vengono intrecciati a simboleggiare le stagioni o le costellazioni che ruotano attorno al sole, autore della fecondità agreste e della vita. La danza è omaggio augurale ai giovani sposi affinché la loro unione sia feconda di prole, benessere e gioia.
  • Ballu “a chiovu”
    Il ballu “a chiovu” rappresentava una tipica tarantella siciliana eseguita durante il periodo della mietitura. Dopo la fine della giornata lavorativa, i contadini si riunivano sull’aia ed eseguivano, accompagnati da strumenti tipici, questo ballo. Il nome si deve al fatto che, durante i passi, i piedi battono sempre i tacchi nello stesso punto; difatti vengono fatti dei salti con le gambe aperte che, nel poggiare a terra, si incrociano. Solitamente si balla in due e, alla donna, l’uomo fa spesso scherzi, mosse e riverenze; ci si avvicina e, passando da un punto ad un altro, ci si danno le mani.
  • Controdanza
    Le invasioni francesi nell’isola (già a partire dalla fine del 1200) diffusero una particolare danza definita appunto controdanza. Tipica del periodo carnevalesco ma anche delle feste paesane e soprattutto di quelli nuziali è una danza comandata dove chi vi partecipa esegue gli “ordini” di chi la comanda (solitamente definito caposala). Può essere quindi considerata un vero e proprio ballo di gruppo.
  • Danza di pecorai
    Ballo a coppie in cui l’uomo si pone a gambe incrociate di fianco alla donna; dopo essersi inginocchiato davanti a lei poggia a terra un ginocchio. La donna, nel frattempo, fa dei piccoli movimenti con le anche, mettendo le mani ai fianchi; l’uomo fa finta di volerla abbracciare, le manda dei baci e gioca con le sue braccia. Viene definito un ballo “riposato”.
  • Diavulecchiu
    Si trattava di un girotondo realizzato da uomini e donne a braccetto, tipico del periodo carnevalesco. La danza era accompagnata dagli strumenti tipici della musica siciliana ed era soprattutto utilizzata da pescatori e contadini che, attraverso essa, ringraziavano o auspicavano un buon raccolto e una buona pesca.
  • Fasola della Tubbiana
    Durante il periodo di carnevale la danza più diffusa ma nello stesso tempo più allegra e attraente era la fasola della tubbiana, ovvero una tarantella accompagnata dal canto “Carnascialata dei Pulcinelli”. Mentre le donne danzavano la fasola, gli uomini la accompagnavano con il canto. È una danza antichissima, ballata nei cortili e maggiormente utilizzata proprio nel periodo carnevalesco. Una variante era la fasola, ballata sempre allo stesso modo ma tipica del periodo della mietitura proprio per ringraziare il Signore per il buon raccolto avuto nella stagione.
  • Jolla o Lupulù
    Simile alla danza “u nozzu” ma chiamata così perché eseguita solo dai pecorai. Alla fine del proprio lavoro, durante le feste di paese, i pecorai improvvisavano questo antico ballo.
  • Lanzet
    Anche questa danza richiama il mondo dei pastori, si dice risalga ai primi anni del 1800. Diffusa in particolare in alcune zone della provincia di Messina, veniva ballata dai pastori quando partivano per la transumanza. Durante la migrazione delle greggi i pastori (quindi era ballata solo da uomini), improvvisavano questo antico ballo.
  • Matroccola
    La danza, tipica dell’agrigentino, viene eseguita grazie all’accompagnamento di uno strumento a percussione chiamato crotalo. Si ispira alla festa di San Calogero; i portatori di vara con grandi fazzoletti legati alla testa dimostrano, tramite tale danza, la loro devozione al santo. Ciò è un esempio di come il sacro e il profano molte volte si intrecciano.
  • Quatrigghia
    Danza diffusa su tutto il territorio nazionale; così come la controdanza anch’essa richiama la tradizione francese, in modo particolare le danze contadine. È un ballo di gruppo in cui ci si mette solitamente in due file, una di fronte all’altra, si può anche avere, però, una disposizione a quadrato. È composta da delle fasi chiamate figurazioni; la coppia che si trova in testa rappresenta tali figurazioni che vengono riproposte da tutte le altre coppie che seguono. La danza è molto diffusa in particolare nella provincia di Trapani.
  • Scotis
    Danza di origine austriaca e risalente all’epoca della presenza degli Austriaci in Sicilia (1720 – 1735). Il ballo, appartenente alla famiglia del polke figurato, viene eseguito solitamente a coppie ma può essere anche ballato in tre (l’uomo sta al centro e tiene, grazie a dei fazzoletti, due donne ai lati). Le varianti dello scotis sono molteplici.
  • Siciliana
    Antica danza di pastori, rappresenta una forma musicale spesso inserita all’interno di ampie composizioni musicali già partire dal periodo barocco. In ritmo 6 o 12 ottavi rievoca atmosfere agresti e/o pastorali. Si tratta, come detto, di una danza lenta che è stata inserita all’interno delle composizioni di alcuni tra i più grandi musicisti della storia della musica (Mozart, Haydn, Bach e altri).
  • Tarantella
    Una tra le danze più conosciute e caratteristiche di tutta l’Italia meridionale è la tarantella. Questa danza popolare, riferita alla cultura araba, secondo alcuni prende il nome dalla città di Taranto; altri, invece, credono che derivi dalla tarantola, ovvero dal ragno dal cui morso si guarirebbe solo attraverso questo ballo. Difatti, i suoi movimenti quasi indiavolati causano una notevole sudorazione e ciò aiuterebbe ad eliminare il veleno dell’insetto. Si dice che esistano diverse forme di tarantella: alcuni identificano questa danza con la tammoriata anche se sono evidenti le differenze sia nel ritmo ma soprattutto rispetto al numero di coloro che la eseguono: la tarantella può essere ballata anche da una sola persona invece la tammorriata viene danzata a coppie. Nella pizzica tarantata, tipica del Salento, ad essere pizzicate erano soprattutto le donne che, durante il tormento del veleno, potevano permettersi di tutto, anche mimare amplessi in pubblico fino a quando San Paolo, il protettore delle tarantate non concedeva la grazia.
  • Tataratà
    Danza ancora praticata a Casteltermini (AG) il cui nome si riferisce al suono ritmato del tamburo. Tale ballo richiama diverse interpretazioni: c’è chi sostiene che sia da riferirsi ad una danza propiziatoria per la fertilità della terra, altri al periodo della dominazione islamica (Arabi) nell’isola ed infine una terza teoria che fa riferimento agli Spatolatori di Lino. Di certo, al di là della propria origine vi è un riferimento al ritrovamento di una croce paleocristiana, prima ancora della fondazione di Casteltermini, risalente al 12 dopo Cristo. Il Tataratà viene rappresentata nel mese di maggio e vede i danzatori indossare in testa una corona di fiori; ogni danza si trasforma in una lotta armata che riconduce allo scontro tra il bene e il male, tra la vita e la morte.
  • “U nozzu”
    La danza chiamata “u nozzu” è un ballo di corteggiamento. Gli uomini, per fare la corte alle loro donne cantavano un canto tipico chiamato “u toccu”. Il canto veniva effettuato da un gruppo di uomini davanti a dei boccali di birra o a dei bicchieri di vino; essi nel frattempo, giocando a carte, improvvisavano questa danza. Tale danza può essere definita un misto tra il valzer e la tarantella siciliana.
  • “U Roggiu”
    Danza molto simile a quella “a chiovu”; difatti si svolgeva anch’essa sull’aia e richiamava una forma particolare di tarantella. La differenza, rispetto all’altra, riguardava il periodo: u roggiu veniva danzata durante il periodo della vendemmia.

 

Tra i tanti illustri studiosi e musicisti che diedero vanto alle tradizioni culturali popolari di questa terra, infine, vorrei esprimere un plauso a Francesco Paolo Frontini, Lionardo Vigo Calanna e Salomone Marino Salvatore.

“ … Tra gli artisti dell’Isola voi siete, se non il solo, uno dei pochissimi che comprendono la bellezza e la grazia delle melodie del popolo … “

Con questa frase significativa Giuseppe Pitré scrive il 1 gennaio del 1894 a Francesco Paolo Frontini (Catania 1860-1939) in occasione dell’uscita del suo libro Eco della Sicilia – Cinquanta canti popolari siciliani editi da Ricordi.

Frontini fu davvero un musicista straordinario. Studiò armonia e composizione presso il Conservatorio Musicale di Stato a Palermo. Compose varie opere, composizioni cameristiche, messe, canti religiosi e sinfonie. In Eco della Sicilia si trovano alcune delle canzoni tra le più significative della tradizione siciliana:

  • La Rosa
  • Canzuna di li Carriteri (Canzone dei Carrettieri)
  • La Ficu (Il Fico)
  • Prupunimentu (Proponimento)
  • L’Amanti cunfìssuri (Lo Amante confessore)
  • Serenata
  • La Figghia di lu massaru (La Figliola del massaio)
  • La Niespula (La Nespola)
  • Canzonetta villereccia (Mi votu e mi rivotu)
  • Lu pri li fimmini (Io per le donne)
  • Lu Labbru (Il Labbro). Trascrizione di F. Paolo Frontini
  • Guarda chi sugnu pàllitu! (Guarda come son pallido)
  • Alla Fontana (Canto con Coro)
  • Lu ‘nguì, lu ‘nguì, lu ‘nguà
  • Pri tia diliru e spasimu (Per te deliro e spasimo)
  • Sacciu ca sugnu lària (So che non son vezzosa)
  • A Nici! (A Nice!) Trascrizione di F. Paolo Frontini
  • Canzonettina
  • Ciccina e Don Cocò (Cecchina e Don Nicolò)
  • Canto del carcerato
  • Palummedda (Colombella). Trascrizione di F. Paolo Frontini.
  • Ciuri, ciuri (Fiorellini). Ritornello popolare
  • La Vucca (La Bocca). Trascrizione di F. Paolo Frontini
  • Cianciu, Nici (Piango, Nice).
  • C è’na vecchia (C’è una vecchia)
  • Mi lassasti in abbannunu (Mi lasciasti in abbandono)
  • Giustizia
  • Cori, curuzza (Cantilena popolare)
  • Nici, ricordati (Nice, ricordati)
  • Canto de’ Contadini Etnei (ad una o due voci)
  • Amuri, amuri! (Amore, amore). Cantilena dei Mulattieri
  • Serenata
  • La fidiltà di li fimmini! (Fedeltà de le donne!) Musica di S. Pappalardo
  • Canzonetta popolare nella vendemmia
  • O svinturati giuvini (O sventurati giovani)
  • Mi mancanu li termini (A me mancano i termini)
  • Sunnu li fimmini (Sono le femmine)
  • Celu, comu mi lassi! (Cielo, come mi lasci!) Trascrizione di F. Paolo Frontini
  • Passioni (Passione). Trascrizione di F. Paolo Frontini
  • Lu Labbru (Il Labbro). Musica di G. Pacini
  • Sti silenzii, sta virdura (I silenzi, la verzura). Musica di B. Geraci.
  • Avvirtimentu (Avvertimento). Canzonetta. Musica di Martino Frontini
  • O Rosa virgini… (O Rosa vergine…)
  • Notturno
  • Lu Scarparu (Il Calzolaio). Canzonetta messinese.
  • Mi pozzu maritari (Mi posso maritar)
  • Lu Ritrattu (Il Ritratto)
  • Tùppiti, tìppiti e tappiti
  • Malatu p’amuri (Malato per amore)
  • Trilla e trilla (Ritornello popolare) Nuova Canzone catanese

Tra le più belle canzoni d’amore del repertorio popolare siciliano merita un posto d’onore “Mi votu e mi rivotu”.

La canzone si trova nella “Raccolta amplissima di canti siciliani” che Lionardo Vigo Calanna marchese di Gallodoro (Acireale 1799 –1879) fece pubblicare nel 1870.

Altro studioso da segnalare fu Salomone Marino Salvatore medico e folclorista (Borgetto, Palermo, 1847 - 1916). Diede alla stampa successivamente un’altra opera di rilevante importanza entomusicologica: “Canti popolari siciliani in aggiunta a quelli di Vigo”.

Grandi interpreti della musica folcloristica siciliana della seconda metà del ‘900, sono stati Rosa Balistreri, Orazio Strano, Ciccio Busacca e Gian Campione ai quali vanno affiancati esponenti più recenti come Matilde Politi, Alfio Antico, Etta Scollo, Rita Botto, Franco Trincale. Dell’area agrigentina vorrei citare almeno qualche nome: Serenella Bianchini, Toni Cucchiara, Angelo Daddelli, i Dioscuri, Pippo Flora, Giovanni Moscato, Salvatore Nocera.

Vorrei concludere questo piccolo saggio con la frase che Francesco Paolo Frontini lasciò in eredità ai suoi conterranei:

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra. La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perché soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini.

Febbraio 2017. Nereo Luigi Dani

Sagra del Mandorlo in Fiore: gli Albori

La Sagra del Mandorlo in Fiore fa parte della vita di tre generazioni di agrigentini. Sono però ormai pochi coloro che l’hanno vista nascere e dunque non molti ne conoscono le origini.

canterini d'akragas agrigento prima edizione della sagra
Una foto raffigurante i canterini d’Akragas alla prima edizione della Sagra del Mandorlo in Fiore

La prima edizione si svolse ad Agrigento proprio ottanta anni fa, la domenica del 14 febbraio del 1937. Annunciata dalle pagine del Giornale di Sicilia del 12 febbraio e raccontata in un articolo del 16 febbraio, corredato da una foto del tempio di Giunone e da un maestoso mandorlo fiorito.

Bisogna però andare ad una giornata d’inverno di tre anni prima, cioè del 1934 per andare agli albori della Sagra.

In una saletta dell’Hotel des Temples, attorno ad un caffè, alcuni gentiluomini cominciarono a sognare di festeggiare la precoce primavera agrigentina con una manifestazione folkloristica.

Uno dei protagonisti di quella giornata racconterà agli amici i particolari di un incontro storico.

Così anche noi oggi possiamo immaginare di vedere il Conte Alfonso Gaetani, trentenne aristocratico di Naro e l’ambasciatore di Francia a Roma, conte Charles de Chambrun discutere delle bellezze della Valle dei Templi e possiamo immaginare che appena dopo quella conversazione cominciò balenare nella mente del conte agrigentino l’idea di allestire un appuntamento gioioso, una festa per celebrare la fioritura dei mandorli nella Valle del Paradiso, sotto la Fulgentissima Naro.

Presto quell’idea cominciò a camminare da sola e camminò da Naro verso Agrigento, verso la splendida Valle dei Templi dove già a gennaio fioriscono spesso i primi mandorli. E così nacque la Sagra del Mandorlo in Fiore.

La prima giornata della manifestazione, il 14 febbraio, fu funestata dalla pioggia, così si dovette rinunciare allo spettacolo previsto nella spianata del tempio di Giove e i canterini D’Akragas e quelli Etnei si esibirono sul palco del teatro municipale, il Regina Margherita.

Nei primi posti c’erano le autorità fasciste della provincia e i loro invitati.

canterini d'akragas prima edizione sagra mandorlo fiore
I Canterini d’Akragas nel 1937.

I canterini D’akragas si esibirono cantando e danzando canti e nenie quali “Canta Agrigento”, “O rinninedda”, “Jamuninni a Santulì”, “A la funtana”, “Tammuriniata a San Calò”, “Rapsodia siciliana”. Tutte esaltavano la bellezza della terra agrigentina, la religiosità popolare, le migliori tradizioni dell’anima siciliana.
Insieme ai canti folkloristici vennero inevitabilmente intonati i canti del regime più conosciuti, come Giovinezza, Giovinezza.

La mattina invece poté regolarmente tenersi la sfilata dei carretti siciliani, arrivati da ogni provincia, con partenza da Piazza Municipio sino ai Templi.

Due ali di folla seguirono per tutto il tragitto i carri, su alcuni dei quali suonavano e cantavano ragazze e ragazzi con i costumi popolari della Sicilia antica, riprodotti fedelmente già allora sulla scorta di testimonianze storiche o secondo le tradizioni locali.

Graziella Spina: colei che guida attraverso la storia

Vi presentiamo la Dott.ssa Graziella Spina, guida turistica abilitata che ci parla del suo lavoro (che poi è anche la sua passione)… 🙂

 

Salve… ti va di presentarti?

Salve, mi chiamo Graziella Spina e ho quasi 42 anni. Sono una donna come tante, che cerca di conciliare un marito, due bimbi piccoli, una di 4 l’altro quasi di 3 anni, una casa e… fortunatamente un lavoro!

 

Cosa fai nella vita?

Nel passato ho svolto diversi lavori, spaziando dal mondo dell’insegnamento a quello del turismo, grazie anche ai diversi titoli di studio che ho conseguito (tre diplomi, una laurea, diversi corsi di formazione). Comunque da 12 anni mi dedico quasi esclusivamente a quella che è da sempre stata la mia passione, ovvero la storia e l’arte. Sono infatti una guida turistica autorizzata della Regione Sicilia.

 

Ti va di spiegarci in cosa consiste il tuo lavoro?

E’ un lavoro che forse non tutti conoscono nella sua vera essenza… Spesso, quando dico di essere una guida mi si dice: “Bello! Ti divertirai un sacco a portare in giro le persone!”. Sì, mi diverto anche, ma la guida non è solo chi fa divertire la gente, per quello ci sono gli animatori turistici! La guida turistica è una figura professionale specializzata, che accoglie le persone nel sito da illustrare e li accompagna alla scoperta di un mondo dimenticato e spesso sconosciuto, che però continua a vivere in una dimensione diversa dalla nostra. Io, nello specifico, mi trovo a vivere questa “dimensione” nella Valle dei Templi, dove accompagno gruppi di turisti dal 2005.

 

Come è nata questa passione?

Da sempre il mondo della cultura classica mi ha affascinato, un mondo in cui lo spirito umano ha saputo esprimere al massimo la propria essenza in tutti i campi dello scibile, dalla filosofia alla matematica, dalla letteratura all’architettura. E ad Agrigento, in particolare, l’architettura classica greca ha raggiunto il suo massimo splendore nelle costruzioni templari e non solo…
Quando accolgo i miei gruppi di visitatori ed entro nel sito, mi sento catapultata in un’altra realtà, sento di rivivere in quell’epoca, di respirare quell’aria intrisa di profumo di ulivi, che anche allora sicuramente, con le loro fronde, offrivano protezione dalla calura estiva ai visitatori del tempio…quell’aria oggi intrisa di profumo di mandorli e di brezza che spira dal nostro “mare africano”e che fa da cornice a questo incantevole posto fuori dal mondo. Quando racconto la nostra storia cerco di far rivivere alle persone che ho davanti quel mondo ormai scomparso, di cui le nostre vestigia testimoniano ancora la grandezza e lo splendore; cerco di far capire che la perfezione di un tempio classico era lo specchio della concezione della vita e del mondo di allora; che le astruse formule matematiche che stanno dietro alla facciata del tempio si ispirano alla perfezione della natura; quando racconto qualche episodio della mitologia cerco di far notare che alla base c’è sempre un l’elemento concreto o reale che possiamo rapportare al mondo moderno; quando, nel corso della nostra passeggiata nella storia e nella cultura, passiamo dalle testimonianze greche a quelle ellenistiche e ancora romane e cristiane, faccio notare che il nostro passato non è morto, ma continua a vivere non solo nelle nostre rovine, ma nell’evoluzione stessa del genere umano, che con i suoi corsi e ricorsi storici, dovrebbe insegnarci a guardare indietro per andare avanti, a fare delle rovine del passato le fondamenta del futuro. Vi assicuro che non c’è niente di più gratificante che ricevere dai propri clienti, alla fine della visita, i ringraziamenti non per avergli fatto vedere il sito, ma per averglielo fatto “vivere”.
Ho sempre pensato che nella vita sia giusto cercare di fare quello che più ci piace e ci gratifica; purtroppo non tutti hanno questa possibilità. Io mi sento molto fortunata per essere riuscita a fare della mia passione il mio lavoro, ed è questo che fa la differenza. Essere guida è prima di tutto un modo di essere e di pensare, e poi è anche una professione. Nessuno apprezzerebbe una persona che spiega a “macchinetta” la storia di Akragas o la struttura architettonica del tempio della Concordia…per quello ci sono le audioguide o i libri sul sito. Noi “guidiamo” le persone attraverso la storia, rendendole non meri spettatori ma protagonisti di questo viaggio!
Detto ciò, è vero anche che mi diverto, perché nelle 2 ore di visita che trascorriamo insieme al gruppo si instaura uno strano rapporto tra il gruppo e la guida. La guida è quasi sempre un siciliano, ed è risaputo che in noi è insita questa vena ironica che fa da sottofondo alle spiegazioni e che talvolta le alleggerisce. Anche questo è apprezzato dai visitatori, soprattutto stranieri. Lo dico per esperienza diretta, poiché io lavoro quasi esclusivamente con gruppi in lingua tedesca, che costituiscono un pubblico, sì molto esigente, ma altrettanto gratificante.
Queste persone che organizzano le loro vacanze nella nostra isola vogliono conoscerci a 360°, vogliono conoscere le nostre origini, la nostra storia, ma anche il nostro presente, il modo di vivere della gente comune, cosa mangiamo, cosa coltiviamo, quanto guadagniamo, come viviamo insomma.
Va bene… arrivano i turisti e tu li vai a prendere all’aeroporto ? Ci spieghi la differenza tra i due ruoli? Nello specifico, accogliere il gruppo all’aeroporto e dare un quadro generale sulla nostra cultura isolana è compito dell’accompagnatore turistico, che accompagna appunto il gruppo durante tutto il viaggio. Infatti, cosa che forse non tutti sanno, c’è una sostanziale differenze tra guida e accompagnatore turistico, come specificato anche dalla Legge regionale n.8 del 3 maggio 2004. Questa legge, agli articoli 1 e 4, delinea le figure e i compiti di guida e accompagnatore:

ARTICOLO 1
Definizione della professione di guida turistica

  1. E’ guida turistica chi, per professione, accompagna persone singole o gruppi di persone nelle visite a siti paesaggistici e naturalistici ed a beni di interesse turistico quali monumenti, opere d’arte, musei, gallerie, scavi archeologici, illustrandone le caratteristiche culturali, storiche ed artistiche. La professione di guida turistica disciplinata ai sensi della presente legge corrisponde ad attività di guida specializzata.

ARTICOLO 4
Definizione dell’attività di accompagnatore turistico

  1. E’ accompagnatore turistico chi, per professione, accoglie o accompagna singole persone o gruppi di persone durante viaggi attraverso il territorio nazionale o all’estero per curare l’attuazione dei programmi di viaggio predisposti dagli organizzatori e assicurare i necessari servizi di assistenza per tutta la durata del viaggio, fornendo, inoltre, informazioni significative di interesse turistico sulle zone di transito, al di fuori dell’ambito di competenza delle guide turistiche.

 

Anche se oggi la materia turistica dal punto di vista legislativo è in continua evoluzione, in parte anche per allinearsi alle direttive liberali europee, che tendono appunto a liberalizzare questa professione senza più limiti geografici provinciali, questi due articoli esistono ancora oggi. Cerco di spiegarmi meglio: in tanti stati dell’Unione europea ad oggi non esiste legge in materia turistica, ovvero, non esistono figure formate dal punto di vista professionale per svolgere questo lavoro; ad esempio, arrivano spesso insieme al gruppo straniero figure indefinite che accompagnano il gruppo stesso(loro si definiscono accompagnatori, che da noi, per la nostra legge, non sono tali). Quindi, almeno da questo punto di vista l’Italia è molto avanti rispetto all’Europa. Su questo discorso potrei scrivere fiumi si parole, perché, come dicevo poc’anzi, questa è una materia in continua evoluzione, ad esempio io che sono vincitrice di concorso bandito dalla Regione Sicilia nel 2004, nasco come guida provinciale, negli ultimi anni , con la liberalizzazione, non esistono più gli ambiti provinciali e quindi sono ad oggi guida regionale.

 

Che percorso formativo consiglieresti a chi volesse seguire le tue orme?

Oggi per fare la guida turistica bisogna essere in possesso di una laurea, parlare fluentemente almeno una lingua straniera e partecipare ad un concorso bandito dalla Regione con cadenza biennale. Si entra così in possesso di una abilitazione alla professione di guida.
Inutile aggiungere che per fare questo lavoro è necessario amare la storia, l’arte, l’architettura, bisogna essere in grado di relazionarsi a un pubblico più o meno vasto, avere una buona dialettica, saper comunicare con leggerezza ma incisività…e queste cose purtroppo non ce le insegnano a scuola…si può essere vincitori di concorso, ma poi subentra la “selezione naturale”: se non riesci a trasmettere, se non arrivi al pubblico, hai vita breve…conosco tante persone che hanno una conoscenza e una cultura invidiabile, ma se non riesci a trasmetterla è tutto solo materia morta.

 

Come attrazioni turistiche qual è la più “gettonata”?

Nella nostra provincia ci sono tantissime attrattive che i visitatori apprezzano tanto, a partire dalla valle dei templi che, ovviamente è il sito più visitato. Spesso anche noi cerchiamo di indirizzare i visitatori a scoprire di più della nostra provincia, come la scala dei turchi o il teatro greco di Eraclea, o anche a riscoprire i centri storici dei paesi che gravitano intorno ad Agrigento, ad esempio negli ultimissimi anni è rifiorita Porto Empedocle con le varie opere di miglioramento della zona del porto, o anche Favara che ha subito una profonda trasformazione grazie all’opera e ad investimenti di privati. Ma senza allontanarci da Agrigento, è cosa alquanto risaputa che quasi tutti i turisti che arrivano alla valle non proseguono la visita nel nostro centro storico. O almeno così era fino a poco tempo fa, perché stranamente una città dalla forte vocazione turistica non era attrezzata a ricevere visitatori. In questo senso, ultimamente si è cercato di promuovere iniziative per portare gente al centro, come ad esempio mettere la segnalazione turistica che è da sempre stata una pecca di Agrigento ed anche una delle lamentele più frequenti.

 

Sempre come attrazione turistica… qual’è la “scoperta” più bella per un turista?

Chi vede il centro storico, chi passeggia per la via Atenea e si inerpica su per gli stretti vicoli che si aprono sulla “strada maestra” rimane affascinato dalle viuzze, dai cortiletti, dai panni stesi che riportano indietro tempo… e senza che te lo aspetti spunta un ristorantino dove magari gustare una buona pasta alla norma o perché no, una pepata di cozze! E se si vuole gustare qualcosa di ancora più tipico allora suggerirei al mio turista di fermarsi in un qualsiasi bar a gustare un arancino al ragù o, se si preferisce il dolce, un cannolo alla ricotta! Chiunque abbia ricevuto questi piccoli suggerimenti ancora pensa ad Agrigento con l’acquolina in bocca e… la malinconia nel cuore. Chi vede e vive Agrigento una volta, ne serberà un indelebile ricordo per tutta la vita.
Spero di non aver annoiato nessuno dei lettori, ma parlare di ciò che amo mi fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio…

 

Se qualcuno volesse contattarti puoi lasciarci i tuoi recapiti?

Per ogni suggerimento, chiarimento o semplicemente per una passeggiata “Storica” potete contattarmi

Dott. ssa Spina Graziella
cell. +39.339.6580808
email: [email protected]
www.agrigentoguide.org

 

Di Ciàula, Miniere e Lune Agrigentine

Ieri notte non ho atteso trepidante l’email di Facebook con i dati di copertura: sapevo già che erano buoni.

Però ero curioso e così la prima cosa che ho fatto stamane è stata proprio aprire la mia casella di posta… sono rimasto piacevolmente sorpreso.

Solo questa settimana abbiamo raggiunto le 67,50 mila persone contro le 48,71 mila della settimana precedente e le 31,45 mila della settimana ancora precedente.

Già che c’ero mi sono dedicato un po’ anche a Google Analytics, oltre che ai Facebook Insight, e sono andato a cercare tra i fornitori di servizio alcuni nomi eccellenti che ci avessero fatto visita.

Ed, anche li, sono restato piacevolmente sorpreso: abbiamo ricevuto visite da alcune università (tra cui quella di Weimar, di Siena, di Catania e di Palermo)… ma quella che ha più solleticato la mia autostima è stata quella dello IED (Istituto Europeo di Design).

Vuol dire che il progetto sta funzionando per come era stato pensato e per me è sia una soddisfazione personale che una speranza per il “futuro”.

Perché sapete… il progetto era stato pensato per essere un approfondimento sul Mandorlo in Fiore e su ciò che vi girava intorno; voleva cercare di non essere banale, di farsi leggere e di far vedere la bellezza.

Già la bellezza… è il mio solito chiodo fisso!!! 😉

Ed è qui che mi è sovvenuta un’altra novella di Pirandello: “Ciàula scopre la Luna”.

Non ve la riassumo, farei un pessimo servizio a Pirandello, tuttavia mi sto sentendo un novello Ciàula.

Anche io, come Ciàula, non ho paura del buio della “miniera”, mi è familiare e mi muovo a mio agio nei meandri di Internet; tuttavia ho paura del buio della notte: non so muovermi bene tra la gente.

E vi assicuro che per questo progetto ho dovuto parlare con tanta gente… tuttavia ho scoperto la bellezza della Luna e, come il protagonista della novella, anche io ho posato il mio sacco di zolfo e la sto rimirando, piangendo di gioia.