Dal 4 al 12 Marzo 2017 ad Agrigento si terrà la 72° edizione del “Mandorlo in Fiore”.
Agli ideatori di questo evento va il plauso dell’intera comunità scientifico-culturale internazionale.
Probabilmente è la manifestazione folcloristica tra le più significative del patrimonio culturale immateriale promosse in Europa.
Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le pratiche, rappresentazioni, espressioni, sapere e capacità, come pure gli strumenti, artefatti, oggetti, e spazi culturali associati, che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi anche i singoli individui, riconoscono come parte integrante del loro patrimonio culturale.
Ciò che rileva, in particolare, non è la singola manifestazione culturale in sé, ma il sapere e la conoscenza che vengono trasmessi di generazione in generazione e ricreati dalle comunità ed i gruppi in risposta al loro ambiente, all’interazione con la natura e alla loro storia.
Il patrimonio immateriale garantisce un senso di identità e continuità ed incoraggia il rispetto per la diversità culturale, la creatività umana, lo sviluppo sostenibile, oltre ché il rispetto reciproco tra le comunità stesse ed i soggetti coinvolti.
Nel 1984 l’UNESCO ha lanciato un programma sul patrimonio culturale immateriale. Dopo qualche anno, nel 1989, la Conferenza Generale dell’UNESCO ha adottato la raccomandazione sulla tutela della cultura tradizionale ed il folclore.
Nel 2003 l’UNESCO ha redatto un documento ove si riconosce l’importanza della trasmissione orale ai fini della continuità del patrimonio culturale immateriale, così come la pluralità globale delle forme tradizionali di espressione culturale.
Il Patrimonio Immateriale, come indicato all’art. 2 della relativa Convenzione del 2003, è individuabile in 5 settori:
- tradizioni ed espressioni orali, incluso il linguaggio in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale
- arti dello spettacolo
- consuetudini sociali, riti ed eventi festivi
- saperi e pratiche sulla natura e l’universo
- artigianato tradizionale
La Sicilia è probabilmente la Regione italiana che più si è spesa per evitare di disperdere il proprio patrimonio culturale immateriale.
Sin dai primi anni del XIX secolo diversi intellettuali siciliani hanno cercato di recuperare e di classificare racconti, poesie, filastrocche, fiabe, musiche, danze e balli, canti e inni, usanze religiose e quant’altro avesse attinenza con la cultura popolare.
Tra questi studiosi vorrei citare una delle opere letterarie del medico palermitano Giuseppe Pitré (1841 – 1916).
Nel 1870 esce a Palermo il libro di Pitré “Canti popolari siciliani”.
Un’opera di grandissimo valore storico. Un esempio che aprì la strada all’etnomusicologia”. Ramo della musicologia nato alla fine del XIX° secolo.
Oggetto di studio dell’etnomusicologia è l’insieme delle tradizioni musicali che non rientrano nella musica colta e che comprendono invece tutte le espressioni musicali legate a gruppi etnici o sociali, tramandate principalmente per via orale (patrimonio culturale immateriale).
Lo scrittore palermitano Pitré introdusse così la sua opera:
“ … Ecco una raccolta di poco meno che mille canti popolari siciliani quasi tutti inediti, da aggiungere ai milletrecento di Lionardo Vigo e ai settecentocinquanta di Salvatore Salomone-Marino. Essi son comunissimi in tutta Sicilia, sebbene raccolti altri nelle provincie di Messina e Siracusa, altri in quella di Girgenti, e la maggior parte nella provincia di Palermo. … “.
In tutto furono classificati circa tremila brani.
Ma chi era Giuseppe Pitré?
Fu il primo intellettuale italiano che diede origine allo studio sistematico, su base scientifica, del folclore italiano.
Dopo aver dato alle stampe “Canti popolari siciliani” realizzò nel 1894 un’opera editoriale di grandissimo valore filologico: la «Bibliografia delle tradizioni popolari italiane».
Fondò e diresse ininterrottamente dal 1880 al 1906 la “Rivista Archivio per lo studio delle tradizioni popolari».
Quest’uomo fu davvero un esempio di straordinaria vivacità intellettuale.
L’11 aprile del 1916 il Presidente del Senato del Regno Giuseppe Manfredi lo ricordò durante una seduta ufficiale dell’assemblea. In occasione della commemorazione il Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti Vittorio Emanuele Orlando espresse un nobile pensiero che ivi riporto: “…Ebbene, quest’uomo seppe da solo creare questo immane corpus degli usi, delle tradizioni, delle costumanze siciliane, che, attraverso la fiaba, la leggenda, il motto ci ricollegano ai grandi padri Arii e ci fanno rinvenire negli umili strati della scienza e della sapienza popolare quegli elementi etnici primigeni, che apparivano svaniti e distrutti nelle millenarie vicende de’ tempi ma che, invece, vivono ancora con giovinezza perenne e immortale. …”. (qui il link alla sua pagina su senato.it)
La Sicilia è quindi una terra ricchissima di cultura e di tradizioni.
Ma per certi versi la cultura, la musica ed il folclore di questa splendida isola posta al centro del Mediterraneo, altro non è che il risultato di un connubio tra diverse civiltà che si andarono a innestare nel tempo sul territorio.
Le dominazioni che si succedettero nei secoli lasciarono, infatti, ricchezze consistenti: opere letterarie, opere teatrali, strumenti musicali, inni, canti, balli.
La musica, la danza ed il canto popolare di quest’isola affondano le proprie radici nelle tradizioni elleniche, arabe e bizantine.
Dal tardo medioevo a seguire si succederanno nei secoli regnanti svevi, francesi, spagnoli ed i borboni.
Cercare di tracciare le origini del folclore siciliano sarebbe del tutto inutile.
Verosimilmente si può invece affermare che la tradizione orale e manuale sia riuscita a trasmettere alle generazioni che si succedettero nel tempo melodie, canti e balli i quali, tramandati da villaggio a villaggio, da paese a paese hanno assunto persino aspetti differenti, dando così vita a numerose varianti.
Gli strumenti tipici della musica popolare siciliana sono lo scacciapensieri (in metallo, simile ad un ferro di cavallo) che è chiamato, a seconda della zona, pure mariolu, marranzanu o ngannalaruni, il azzarinu (uno strumento a percussione), il friscalettu o zufolo (flauto a becco), il tammurinu (grande tamburello), la ciarabedda o ciaramella (zampogne ad ancia doppia o semplice), la fisarmonica, il mandolino e la chitarra.
La danza popolare è un’espressione autentica della cultura di un popolo, di un territorio, di una tradizione. La musica, i passi e persino le coreografie sono intrecci di profondi significati culturali.
Danza e canto rappresentavano la tradizione e non esisteva una danza o un canto senza l’accompagnamento di uno strumento.
Di solito si ballava in occasione di un particolare evento e ciò serviva come momento di condivisione e di aggregazione collettiva. Le danze tradizionali appartengono al loro popolo e sono legate a momenti di vita particolare di una specifica comunità.
Tra le danze e i balli che maggiormente si fanno risalire alla tradizione siciliana ricordiamo:
- Ballo della cordella
La rappresentazione del ballo della cordella avviene durante i matrimoni o nel mese di maggio, ciò evidenzia un chiaro richiamo alla fertilità della terra. Dodici coppie di ballerini (simboleggianti i mesi dell’anno) ballano intorno ad un palo sormontato da spighe di grano reggendo dei nastri di vari colori, che vengono intrecciati a simboleggiare le stagioni o le costellazioni che ruotano attorno al sole, autore della fecondità agreste e della vita. La danza è omaggio augurale ai giovani sposi affinché la loro unione sia feconda di prole, benessere e gioia. - Ballu “a chiovu”
Il ballu “a chiovu” rappresentava una tipica tarantella siciliana eseguita durante il periodo della mietitura. Dopo la fine della giornata lavorativa, i contadini si riunivano sull’aia ed eseguivano, accompagnati da strumenti tipici, questo ballo. Il nome si deve al fatto che, durante i passi, i piedi battono sempre i tacchi nello stesso punto; difatti vengono fatti dei salti con le gambe aperte che, nel poggiare a terra, si incrociano. Solitamente si balla in due e, alla donna, l’uomo fa spesso scherzi, mosse e riverenze; ci si avvicina e, passando da un punto ad un altro, ci si danno le mani.
- Controdanza
Le invasioni francesi nell’isola (già a partire dalla fine del 1200) diffusero una particolare danza definita appunto controdanza. Tipica del periodo carnevalesco ma anche delle feste paesane e soprattutto di quelli nuziali è una danza comandata dove chi vi partecipa esegue gli “ordini” di chi la comanda (solitamente definito caposala). Può essere quindi considerata un vero e proprio ballo di gruppo.
- Danza di pecorai
Ballo a coppie in cui l’uomo si pone a gambe incrociate di fianco alla donna; dopo essersi inginocchiato davanti a lei poggia a terra un ginocchio. La donna, nel frattempo, fa dei piccoli movimenti con le anche, mettendo le mani ai fianchi; l’uomo fa finta di volerla abbracciare, le manda dei baci e gioca con le sue braccia. Viene definito un ballo “riposato”.
- Diavulecchiu
Si trattava di un girotondo realizzato da uomini e donne a braccetto, tipico del periodo carnevalesco. La danza era accompagnata dagli strumenti tipici della musica siciliana ed era soprattutto utilizzata da pescatori e contadini che, attraverso essa, ringraziavano o auspicavano un buon raccolto e una buona pesca.
- Fasola della Tubbiana
Durante il periodo di carnevale la danza più diffusa ma nello stesso tempo più allegra e attraente era la fasola della tubbiana, ovvero una tarantella accompagnata dal canto “Carnascialata dei Pulcinelli”. Mentre le donne danzavano la fasola, gli uomini la accompagnavano con il canto. È una danza antichissima, ballata nei cortili e maggiormente utilizzata proprio nel periodo carnevalesco. Una variante era la fasola, ballata sempre allo stesso modo ma tipica del periodo della mietitura proprio per ringraziare il Signore per il buon raccolto avuto nella stagione.
- Jolla o Lupulù
Simile alla danza “u nozzu” ma chiamata così perché eseguita solo dai pecorai. Alla fine del proprio lavoro, durante le feste di paese, i pecorai improvvisavano questo antico ballo.
- Lanzet
Anche questa danza richiama il mondo dei pastori, si dice risalga ai primi anni del 1800. Diffusa in particolare in alcune zone della provincia di Messina, veniva ballata dai pastori quando partivano per la transumanza. Durante la migrazione delle greggi i pastori (quindi era ballata solo da uomini), improvvisavano questo antico ballo.
- Matroccola
La danza, tipica dell’agrigentino, viene eseguita grazie all’accompagnamento di uno strumento a percussione chiamato crotalo. Si ispira alla festa di San Calogero; i portatori di vara con grandi fazzoletti legati alla testa dimostrano, tramite tale danza, la loro devozione al santo. Ciò è un esempio di come il sacro e il profano molte volte si intrecciano.
- Quatrigghia
Danza diffusa su tutto il territorio nazionale; così come la controdanza anch’essa richiama la tradizione francese, in modo particolare le danze contadine. È un ballo di gruppo in cui ci si mette solitamente in due file, una di fronte all’altra, si può anche avere, però, una disposizione a quadrato. È composta da delle fasi chiamate figurazioni; la coppia che si trova in testa rappresenta tali figurazioni che vengono riproposte da tutte le altre coppie che seguono. La danza è molto diffusa in particolare nella provincia di Trapani.
- Scotis
Danza di origine austriaca e risalente all’epoca della presenza degli Austriaci in Sicilia (1720 – 1735). Il ballo, appartenente alla famiglia del polke figurato, viene eseguito solitamente a coppie ma può essere anche ballato in tre (l’uomo sta al centro e tiene, grazie a dei fazzoletti, due donne ai lati). Le varianti dello scotis sono molteplici.
- Siciliana
Antica danza di pastori, rappresenta una forma musicale spesso inserita all’interno di ampie composizioni musicali già partire dal periodo barocco. In ritmo 6 o 12 ottavi rievoca atmosfere agresti e/o pastorali. Si tratta, come detto, di una danza lenta che è stata inserita all’interno delle composizioni di alcuni tra i più grandi musicisti della storia della musica (Mozart, Haydn, Bach e altri).
- Tarantella
Una tra le danze più conosciute e caratteristiche di tutta l’Italia meridionale è la tarantella. Questa danza popolare, riferita alla cultura araba, secondo alcuni prende il nome dalla città di Taranto; altri, invece, credono che derivi dalla tarantola, ovvero dal ragno dal cui morso si guarirebbe solo attraverso questo ballo. Difatti, i suoi movimenti quasi indiavolati causano una notevole sudorazione e ciò aiuterebbe ad eliminare il veleno dell’insetto. Si dice che esistano diverse forme di tarantella: alcuni identificano questa danza con la tammoriata anche se sono evidenti le differenze sia nel ritmo ma soprattutto rispetto al numero di coloro che la eseguono: la tarantella può essere ballata anche da una sola persona invece la tammorriata viene danzata a coppie. Nella pizzica tarantata, tipica del Salento, ad essere pizzicate erano soprattutto le donne che, durante il tormento del veleno, potevano permettersi di tutto, anche mimare amplessi in pubblico fino a quando San Paolo, il protettore delle tarantate non concedeva la grazia.
- Tataratà
Danza ancora praticata a Casteltermini (AG) il cui nome si riferisce al suono ritmato del tamburo. Tale ballo richiama diverse interpretazioni: c’è chi sostiene che sia da riferirsi ad una danza propiziatoria per la fertilità della terra, altri al periodo della dominazione islamica (Arabi) nell’isola ed infine una terza teoria che fa riferimento agli Spatolatori di Lino. Di certo, al di là della propria origine vi è un riferimento al ritrovamento di una croce paleocristiana, prima ancora della fondazione di Casteltermini, risalente al 12 dopo Cristo. Il Tataratà viene rappresentata nel mese di maggio e vede i danzatori indossare in testa una corona di fiori; ogni danza si trasforma in una lotta armata che riconduce allo scontro tra il bene e il male, tra la vita e la morte.
- “U nozzu”
La danza chiamata “u nozzu” è un ballo di corteggiamento. Gli uomini, per fare la corte alle loro donne cantavano un canto tipico chiamato “u toccu”. Il canto veniva effettuato da un gruppo di uomini davanti a dei boccali di birra o a dei bicchieri di vino; essi nel frattempo, giocando a carte, improvvisavano questa danza. Tale danza può essere definita un misto tra il valzer e la tarantella siciliana.
- “U Roggiu”
Danza molto simile a quella “a chiovu”; difatti si svolgeva anch’essa sull’aia e richiamava una forma particolare di tarantella. La differenza, rispetto all’altra, riguardava il periodo: u roggiu veniva danzata durante il periodo della vendemmia.
Tra i tanti illustri studiosi e musicisti che diedero vanto alle tradizioni culturali popolari di questa terra, infine, vorrei esprimere un plauso a Francesco Paolo Frontini, Lionardo Vigo Calanna e Salomone Marino Salvatore.
“ … Tra gli artisti dell’Isola voi siete, se non il solo, uno dei pochissimi che comprendono la bellezza e la grazia delle melodie del popolo … “
Con questa frase significativa Giuseppe Pitré scrive il 1 gennaio del 1894 a Francesco Paolo Frontini (Catania 1860-1939) in occasione dell’uscita del suo libro Eco della Sicilia – Cinquanta canti popolari siciliani editi da Ricordi.
Frontini fu davvero un musicista straordinario. Studiò armonia e composizione presso il Conservatorio Musicale di Stato a Palermo. Compose varie opere, composizioni cameristiche, messe, canti religiosi e sinfonie. In Eco della Sicilia si trovano alcune delle canzoni tra le più significative della tradizione siciliana:
- La Rosa
- Canzuna di li Carriteri (Canzone dei Carrettieri)
- La Ficu (Il Fico)
- Prupunimentu (Proponimento)
- L’Amanti cunfìssuri (Lo Amante confessore)
- Serenata
- La Figghia di lu massaru (La Figliola del massaio)
- La Niespula (La Nespola)
- Canzonetta villereccia (Mi votu e mi rivotu)
- Lu pri li fimmini (Io per le donne)
- Lu Labbru (Il Labbro). Trascrizione di F. Paolo Frontini
- Guarda chi sugnu pàllitu! (Guarda come son pallido)
- Alla Fontana (Canto con Coro)
- Lu ‘nguì, lu ‘nguì, lu ‘nguà
- Pri tia diliru e spasimu (Per te deliro e spasimo)
- Sacciu ca sugnu lària (So che non son vezzosa)
- A Nici! (A Nice!) Trascrizione di F. Paolo Frontini
- Canzonettina
- Ciccina e Don Cocò (Cecchina e Don Nicolò)
- Canto del carcerato
- Palummedda (Colombella). Trascrizione di F. Paolo Frontini.
- Ciuri, ciuri (Fiorellini). Ritornello popolare
- La Vucca (La Bocca). Trascrizione di F. Paolo Frontini
- Cianciu, Nici (Piango, Nice).
- C è’na vecchia (C’è una vecchia)
- Mi lassasti in abbannunu (Mi lasciasti in abbandono)
- Giustizia
- Cori, curuzza (Cantilena popolare)
- Nici, ricordati (Nice, ricordati)
- Canto de’ Contadini Etnei (ad una o due voci)
- Amuri, amuri! (Amore, amore). Cantilena dei Mulattieri
- Serenata
- La fidiltà di li fimmini! (Fedeltà de le donne!) Musica di S. Pappalardo
- Canzonetta popolare nella vendemmia
- O svinturati giuvini (O sventurati giovani)
- Mi mancanu li termini (A me mancano i termini)
- Sunnu li fimmini (Sono le femmine)
- Celu, comu mi lassi! (Cielo, come mi lasci!) Trascrizione di F. Paolo Frontini
- Passioni (Passione). Trascrizione di F. Paolo Frontini
- Lu Labbru (Il Labbro). Musica di G. Pacini
- Sti silenzii, sta virdura (I silenzi, la verzura). Musica di B. Geraci.
- Avvirtimentu (Avvertimento). Canzonetta. Musica di Martino Frontini
- O Rosa virgini… (O Rosa vergine…)
- Notturno
- Lu Scarparu (Il Calzolaio). Canzonetta messinese.
- Mi pozzu maritari (Mi posso maritar)
- Lu Ritrattu (Il Ritratto)
- Tùppiti, tìppiti e tappiti
- Malatu p’amuri (Malato per amore)
- Trilla e trilla (Ritornello popolare) Nuova Canzone catanese
Tra le più belle canzoni d’amore del repertorio popolare siciliano merita un posto d’onore “Mi votu e mi rivotu”.
La canzone si trova nella “Raccolta amplissima di canti siciliani” che Lionardo Vigo Calanna marchese di Gallodoro (Acireale 1799 –1879) fece pubblicare nel 1870.
Altro studioso da segnalare fu Salomone Marino Salvatore medico e folclorista (Borgetto, Palermo, 1847 - 1916). Diede alla stampa successivamente un’altra opera di rilevante importanza entomusicologica: “Canti popolari siciliani in aggiunta a quelli di Vigo”.
Grandi interpreti della musica folcloristica siciliana della seconda metà del ‘900, sono stati Rosa Balistreri, Orazio Strano, Ciccio Busacca e Gian Campione ai quali vanno affiancati esponenti più recenti come Matilde Politi, Alfio Antico, Etta Scollo, Rita Botto, Franco Trincale. Dell’area agrigentina vorrei citare almeno qualche nome: Serenella Bianchini, Toni Cucchiara, Angelo Daddelli, i Dioscuri, Pippo Flora, Giovanni Moscato, Salvatore Nocera.
Vorrei concludere questo piccolo saggio con la frase che Francesco Paolo Frontini lasciò in eredità ai suoi conterranei:
«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra. La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perché soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini.
Febbraio 2017. Nereo Luigi Dani
Nereo Luigi Dani Musicista e didatta. Apprezzato studioso della prassi esecutiva dei periodi rinascimentale, barocco e del classicismo. Suona il Liuto, la Vihuela, la Chitarra barocca e classica, la Viola da gamba ed il Violone. Con questi strumenti esegue concerti in varie parti del mondo sia in qualità di solista sia come esecutore in formazioni cameristiche e orchestrali di rilievo. Insegna prassi esecutiva del repertorio antico in diversi corsi di specializzazione italiani e stranieri E’ docente titolare presso il Conservatorio di Musica di Stato di Palermo.